10 ANNI DI EURO, 10 ANNI DI RINCARI RECORD IN ITALIA
La Brexit, la clamorosa uscita dall’Unione Europea decisa con un referendum dai cittadini della Gran Bretagna, ha rinfocolato anche da noi polemiche, in realtà mai sopite, su quanto sia costato a famiglie e imprese italiane entrare e restare nell’Eurozona.
I calcoli li ha fatti la sempre rigorosa e puntuale CGIA di Mestre. L’Ufficio studi della Confederazione Artigiana, oltre ad eseguire una comparazione tra l’andamento delle tariffe amministrate nei principali paesi d’Europa, ha analizzato anche il trend registrato tra il 2004 e i primi 11 mesi del 2014 delle tariffe dei principali servizi pubblici nel nostro Paese.
Rincari per gli italiani in dieci anni di euro:
acqua +79,5%
rifiuti +70,8%
elettricità +48,2%
treni +46,3%
Ci batte solo la Spagna – Tra il 2010 e il 2014 solo in Spagna le tariffe pubbliche hanno subito rincari maggiori rispetto all’Italia: a Madrid l’aumento medio è stato del 23,7 per cento, in Italia l’incremento del 19,1 per cento.
Molto meglio è andata in casa dei grandi partner europei: in Francia rincaro medio del 12,9 per cento, in Germania solo 4,2 per cento. La media dei rincari in Eurozona è stata pari al + 11,8%, vale a dire oltre 7 punti percentuali in meno che da noi.
«E’ evidente – commenta il presidente di www.noiconsumatori.it Angelo Pisani – che più costi per forniture essenziali significa meno competitività sui mercati internazionali, quindi meno imprese, calo dell’occupazione e impossibilità di rilanciare i consumi, che invece si comprimono, in una spirale negativa che risulta fatale per la nostra economia».
Scendendo ancor più nel dettaglio, con un’inflazione che negli ultimi dieci anni è stata in media del + 20,5 per cento, il costo delle forniture idriche in Italia è salito del + 79,5 per cento, quello dei rifiuti del 70,8 per cento, l’energia elettrica del 48,2 per cento, i pedaggi autostradali del 46,5 per cento, i trasporti ferroviari del 46,3 per cento, il gas del 42,9 per cento, i trasporti urbani del 41,6 per cento, il servizio taxi del 31,6 per cento e i servizi postali del 27,9 per cento. Cioè molto, ma molto di più dell’inflazione.
Ad impennarsi sono state in particolare le tariffe locali, ma il vero “scandalo” riguarda le tariffe per smaltire i rifiuti. «Gli indicatori ufficiali mostrano – va giù duro Pisani – che i consumi delle famiglie nel periodo considerato, che è poi la fase acuta della crisi, si sono contratti, così come quelli dell’apparato industriale, con migliaia di fabbriche costrette a chiudere i battenti. Logico perciò che si sia enormemente ridotta anche la massa di rifiuti da smaltire. Quindi un rincaro di oltre il 70% nelle tariffe per lo smaltimento rifiuti rappresenta un doppio scandalo, che va denunciato in tutte le sedi e pone un ulteriore freno ai già timidi o timidissimi segnali di uscita dalla crisi di cui parlano i Soloni dell’economia UE». Gli fa eco il Centro Studi della CGIA: «Si pensi che nell’ultimo anno, a seguito del passaggio dalla Tares alla Tari, gli italiani hanno pagato addirittura il 12,2 per cento in più, a fronte di una inflazione che è aumentata solo dello 0,3 per cento».
La maggior parte dei rincari sono riconducibili in primo luogo alla mancata riduzione della spesa pubblica, tante volte annunciata e mai realmente attuata. Di qui il peso fiscale che grava sempre di più sulle tariffe, a differenza di quanto accaduto negli altri Paesi d’Europa. Insomma, paghiamo di più e la qualità dei servizi è peggiorata. In compenso abbiamo un ceto politico e una galassia di funzionari pubblici e manager di Stato sempre più ricchi.