100 MILIARDI DALLE IMPRESE ITALIANE AL FISCO. E POI SI PARLA DI COMPETITIVITA’….
«Come è possibile ragionare sulla competitività delle nostre piccole e medie imprese, quando il Tassificio Italia continua ad imporre la sua scure sull’apparato produttivo
nostrano con una pressione che non ha uguali in Europa?». Non ha peli sulla lingua come sempre il presidente di noiconsumatori.it, avvocato Angelo Pisani, nel commentare il dato reso pubblico in queste ore dalla CGIA di Mestre: dalle imprese arrivano nelle casse del fisco la bellezza di quasi 100 miliardi. E’ vero: secondo quanto calcolato dagli esperti, la lunga mano del fisco italiano “sfila” dalle tasche degli imprenditori circa 97 miliardi l’anno, solo considerando Ires, Irpef, Irap e tasse locali.
Il gettito, per quanto elevatissimo, è stato leggermente ridimensionato dalla crisi economica, che ha presentato un conto allo Stato di quasi 19 miliardi, il valore di una manovra finanziaria, solo per quanto riguarda il mancato gettito incassato dalle imprese. «E’ il numero che emerge da un’analisi della Cgia di Mestre sulla vessazione delle aziende da parte dell’Erario – si legge su Repubblica – che si concentra sul rilevare come i 5 milioni di aziende presenti in Italia abbiano versato nel 2014 96,9 miliardi di tasse. Solo considerando Ires (31 miliardi), Irpef sul reddito pagata dalle persone fisiche (23,5 miliardi), Irap (20,9 miliardi) e tributi locali (13 miliardi). Un conto complessivo, quindi, sicuramente al ribasso, visto che mancano all’appello voci quali rifiuti, imposta di registro, imposta di bollo, canone Rai, concessioni governative e contributi delle concessioni edilizie, per le quali non è possibile calcolare gli importi esatti pagati dalle imprese».
La CGIA, nel tracciare l’allarmante quadro, aggiunge un dato non meno clamoroso: «va sottolineato che ciò (il minor gettito per la crisi, ndr) non è avvenuto a seguito di una riduzione della pressione fiscale generale che, invece, ha continuato a salire, ma, in particolar modo, per effetto della crisi economica che ha influenzato negativamente la crescita del Pil ed ha ridotto di 168.000 unità il numero complessivo delle aziende presenti nel paese».
«E’ inutile – rincara la dose Pisani – che il Governo sbandieri prospettive sulla nuova occupazione, specie in territori devastati dalla piaga dei senzalavoro e relativo costo sociale elevatissimo, quando a parlare ci sono i numeri: con 168.000 imprese scomparse in Italia, l’esecutivo ci deve spiegare di cosa parla, e come pensa concretamente di creare nuova occupazione al Sud se prima non abbassa l’insostenibile scure fiscale».
Considerando i dati fino al 2014, l’Ires è diminuita di quasi 16 miliardi, l’Irap di 8,6 miliardi e l’Irpef di 4,5 miliardi, mentre le tasse locali sono aumentate di circa 6 miliardi, in buona parte a causa dell’introduzione dell’Imu (poi ritoccata). «E’ comunque doveroso ricordare – sottolineano gli esperti di Mestre – che le uniche imposte a carico delle aziende che il legislatore ha alleggerito nel periodo da noi considerato sono state l’Irap e l’Ires. La prima attraverso una serie di sconti e deduzioni della base imponibile legate alla presenza di lavoratori a tempo indeterminato. La seconda con l’introduzione dell’Ace. Misure che, comunque, hanno avvantaggiato soprattutto le medie e grandi imprese».