Nota a Commissione Tributaria Regionale del Veneto – Sezione XXVIII, Ordinanza 10 giugno 2008, n. 8
filodiritto
La Commissione Tributaria Regionale del Veneto, Sez. XXVIII, con l’importante ordinanza n. 8 del 10/06/2008, prima in Italia, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in merito alla nota questione delle c.d. “cartelle mute” a seguito dell’entrata a gamba tesa del Legislatore con il c.d. Decreto Legge Milleproroghe.
In sostanza, i Giudici veneti hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 36, comma 4 ter, del D.L. n. 248 del 31/12/2007, convertito in Legge n. 31 del 28/02/2008, in relazione agli artt. 3, 23 e 97 della Costituzione, per contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza ed imparzialità dell’attività amministrativa.
A tal proposito, per ben comprendere l’importanza nazionale della succitata ordinanza, è bene riassumere brevemente i termini giuridici del problema.
1) Lo Statuto dei diritti del contribuente: le prescrizioni contenute all’art. 7.
L’art. 7, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212 del 27 luglio 2000), dispone quanto segue:
“Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:
a) l’ufficio presso il quale é possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;
b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali é possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela;
c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui é possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.”
Per ciò che interessa in questa sede, la norma de qua, al comma 1, lett. a), prescrive tassativamente l’indicazione del responsabile del procedimento, bene inteso che tassativamente significhi a pena di nullità.
Infatti, occorre rammentare che il termine “nullità” non deve necessariamente comparire nel lessico normativo, potendo lo stesso desumersi per tabulas, tenuto conto dello scopo che persegue e la funzione che adempie (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio sotto il controllo del giudice), come più volte affermato dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 2787/2006, n. 138/04 e n. 1771/04.
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – con le suddette sentenze, ha decretato, per esempio, la natura perentoria di un termine, ancorché in assenza di espressa previsione legislativa.
Infatti, sebbene l’art. 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si può da tale norma dedurre che, ove manchi un’esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la perentorietà del termine “perché nulla vieta di indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato” (Cass., sent. n. 1771/2004).
2) La valenza costituzionale dello Statuto dei diritti del contribuente
È necessario, altresì, ricordare come in ordine al valore ed alla portata dei principi espressi nello Statuto dei diritti del contribuente, la giurisprudenza della Cassazione abbia precisato che il cui contenuto di tali norme, richiamando in materia tributaria i principi costituzionali, debba ritenersi immanente nell’ordinamento giuridico, anche prima della sua entrata in vigore, vincolando l’interprete al canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice alla Costituzione, che si sostanzia nel preferire l’interpretazione della legge più conforme alla Costituzione ( ex multis: Cassazione, sentenze n. 21513 del 2006; n. 7080 del 2004 e n. 17576 del 2002).
Cassazione, sentenza n. 17576 del 2002
..“alle specifiche clausole rafforzative” di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” deve essere attribuito un preciso valore normativo…“ il quale è costituito, quantomeno, dalla superiorità assiologica” dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l’interprete. In altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla Legge 212 del 2000 deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari”. Cassazione, sentenza n. 7080 del 14/04/2004
..”ogni qual volta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme a criteri generali introdotti con lo Statuto del contribuente, e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio ed interpretati direttamente dello stesso legislatore attraverso lo Statuto” .
Del resto il principio della tutela della ragionevolezza e dell’affidamento, posto legittimamente sulla certezza dell’ordinamento giuridico, ha trovato già riconoscimento non solo nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., 23 maggio 2003, n. 8146), ma anche in quella della Corte Costituzionale (sentenze nn. 211/97, 416/99, 525/2000) ed in quelle della Corte di Giustizia CEE (24 settembre 2002, C. 255/2000, Gr. It. S.p.A. C. Ministero delle Finanze) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (30 maggio 2000, Ca. e Ve. C. Italia)”.
Ai sensi dell’art. 7 dello Statuto cit., gli atti dei concessionari, tra cui la cartella esattoriale, devono riportare la sottoscrizione del Funzionario investito dall’Ufficio avente competenza ad emanare l’atto e l’indicazione dell’Ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni in merito all’atto stesso ed il responsabile del procedimento.
La suddetta informativa è necessaria:
– per assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, in quanto, soprattutto in un complesso sistema tributario come il nostro, non si possono emettere e notificare atti o cartelle esattoriali “anonimi”, stampati in modo meccanico dai computers, con il rischio delle c.d. “cartelle pazze”;
– per la prima informazione del cittadino-contribuente, anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile, soprattutto oggi che sono state potenziate al massimo le procedure di riscossione e di esecuzione, con l’utilizzo, alcune volte inopportuno, di ipoteche e fermi amministrativi;
– infine, per la garanzia del diritto di difesa, perché deve consentire al cittadino-contribuente di conoscere “a priori” il responsabile del procedimento cui chiedere specifiche motivazioni, soprattutto nel calcolo delle indennità di mora e degli interessi.
3) L’ordinanza della Corte Costituzionale n. 377 del 9 novembre 2007.
L’ordinanza della Corte Costituzionale n. 377 del 2007 trae origine dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto che, nel giudizio di appello in riferimento alla legittimità o meno della cartella di pagamento emessa dal Concessionario, ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lett. a), della Legge n. 212 del 27 luglio 2000, nella parte in cui prevede che gli atti dei Concessionari della riscossione devono, così come gli atti emessi dall’Amministrazione finanziaria, tassativamente indicare, tra le altre cose, il responsabile del procedimento.
Il giudice rimettente ha rilevato, altresì, come le disposizioni del tipo di quella censurata, proprio perché si adattano bene all’attività procedimentale svolta dagli Uffici della pubblica amministrazione, al fine di emettere un provvedimento amministrativo destinato ad incidere sulla sfera giuridico – patrimoniale del destinatario, non possono essere rivolte nello stesso modo all’attività del Concessionario della riscossione, poiché l’attività di formazione della cartella di pagamento non sarebbe equiparabile a quella di un vero e proprio procedimento.
La Corte Costituzionale, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lett. a), della Legge n. 212 del 2000, ha statuito quanto segue:
• l’art. 7 della Legge n. 212/2000 si applica ai procedimenti tributari non solo dell’amministrazione finanziaria, ma anche dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche. Tali procedimenti comprendono sia quelli che il giudice definisce “procedimenti di massa” (i quali culminano in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia di quelli di natura non discrezionale;
• l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost. (si veda l’art. 1, comma 1, della Legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”);
• anche prima dell’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000, e cioè dello Statuto dei diritti del contribuente, la Corte ha statuito l’applicabilità ai procedimenti tributari della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 (ordinanza n. 117 del 2000, relativa all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento).
4) I contrasti giurisprudenziali delle Commissioni di merito.
In merito alla nullità o meno delle cartelle prive dell’indicazione del responsabile si era venuto a creare un forte contrasto nella giurisprudenza di merito, così come si evince dalla tabella di seguito:
Giurisprudenza di merito favorevole alla nullità delle cartelle mute
• Commissione Tributaria Provinciale di Lecce – Sezione II- sentenza n. 517/2/7, pronunciata il 12 dicembre 2007 e depositata il 14 gennaio 2008.
• Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, sezione seconda, sentenza n. 35/2/08, pronunciata il 23/01/2008 e depositata il 30 gennaio 2008.
• Commissione Tributaria Provinciale di Bari, Sezione IV, sentenza n. 445/4/07, depositata il 14/01/2008.
• Commissione Tributaria Provinciale di Piacenza, Sezione II, sentenza n. 103/2/07.
• Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, Sezione III, sentenza n. 163/03/2007.
• Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, con la sentenza n. 1/4/08 del 24 gennaio 2008.
• Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, Sezione I, sentenza n. 09/01/08 depositata l’11/01/2008;
• Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, Sezione I, sentenza n. 570 depositata il 31/12/2007;
• Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, Sezione II, sentenza n. 114 depositata il 19/12/2007.
• Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, sentenze nn. 43/02/08 e 44/02/08 del 7 marzo 2008.
Giurisprudenza di merito contraria alla nullità delle cartelle mute
• Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi, Sezione 1ª, sentenza n. 227/01/2007, pronunciata il 13 dicembre e depositata il 25 gennaio.
• Commissione Tributaria Regionale del Veneto, la n. 49/14/07 del 17 gennaio 2008.
• Commissione Tributaria Provinciale di Milano, Sezione XLI, n. 510 del 6 dicembre 2007.
• Commissione Tributaria Provinciale di Torino, Sezione VII, n. 1 del 12 febbraio 2008.
In sostanza, l’orientamento favorevole alla nullità delle cartelle di pagamento ritiene che il requisito dell’indicazione del responsabile sia un elemento indefettibile della cartella di pagamento, tale per cui la sua omissione abbia come conseguenza l’illegittimità della cartella medesima, in virtù dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212 del 2000).
Il principio, che in realtà è consolidato nella giurisprudenza dei Giudici di pace, trova così riconoscimento anche nell’ambito della giustizia tributaria.
Secondo tale orientamento espresso dei Giudici di merito, il Legislatore, con l’art. 7 dello Statuto, ha espresso, chiaramente, la volontà di predisporre determinate garanzie ai destinatari di un’iscrizione a ruolo e, quindi di una cartella di pagamento. Il mancato rispetto anche di una sola prescrizione dettata dalla legge non può essere ritenuto una mera irregolarità, quando tali cautele legislative sono finalizzate ad apprestare una tutela di rango costituzionale.
Le pronunce succitate non fanno altro che aderire alla statuizione contenuta nell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 377/2007, secondo cui “l’indicazione del responsabile del procedimento, lungi dall’essere definito come un inutile adempimento, ha la funzione di fornire all’utente ogni informazione utile sull’atto che gli è stato notificato.”
In particolare, la Commissione Tributaria Provinciale di Bari, Sezione IV, (sentenza n. 445/4/07, depositata il 14/01/2008 citata in tabella) ha correttamente evidenziato come l’obbligo imposto all’agente della riscossione di indicare nelle cartelle di pagamento il succitato responsabile rilevi anche ai fini delle eventuali azioni risarcitorie.
La Commissione Tributaria Provinciale di Piacenza, Sezione II, (sentenza n. 103/2/07 citata in tabella), invece, ha compensato le spese di giudizio soltanto per l’Agenzia delle Entrate, condannando al contempo l’Agente per la riscossione alla rifusione al contribuente di 1.000 € a titolo di spese di giudizio. Da rilevare è che in questa pronuncia non si sia fatto alcun riferimento all’ordinanza costituzionale n. 377 del 2007, fondando l’accoglimento del ricorso del contribuente sulla lettera della norma e, quindi, sull’art. 7 dello Statuto che prevede espressamente e tassativamente l’indicazione del summenzionato responsabile.
Ancora, la Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, Sezione III, sentenza n. 163/03/2007 ha statuito come ai fini dell’indicazione del responsabile del procedimento non possa essere sufficiente l’annotazione prestampata, che indica quale responsabile del procedimento d’iscrizione a ruolo il direttore del relativo Ufficio o un suo delegato, poiché tale adempimento “nulla dice in merito al procedimento di riscossione che si svolge presso il concessionario”.
La Commissione di Catanzaro (la sentenza n. 1/4/08 del 24 gennaio 2008) fa riferimento all’ordinanza della Corte Costituzionale n. 377 del 2007, evidenziando come, in tal sede, si sia ribadito che l’indicazione del responsabile sia un adempimento necessario per garantire la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino, la garanzia del diritto di difesa ed infine l’immediata fattibilità di eventuali azioni esperibili nei confronti del responsabile indicato.
La Commissione, inoltre, si spinge fino a fornire una sua nozione di provvedimento amministrativo, secondo la quale : ogni provvedimento amministrativo è il risultato di un procedimento e poiché gli Agenti per la riscossione sono obbligati ad osservare gli adempimenti di cui all’art. 7, L. n. 212/2000, la cartella deve essere sottoscritta, in similitudine sia di qualsiasi atto amministrativo, sia ancora ai sensi dell’art. 125 c.p.c., che prevede per l’atto di precetto la sottoscrizione da parte dell’autore, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare (sulla similitudine tra la cartella di pagamento e l’atto di precetto il giudice non ritiene necessario spendere alcuna parola, stante l’ovvietà del raffronto).
Infine, sulla illegittimità delle c.d. cartelle mute in relazione all’art. 7 dello Statuto del contribuente, si è pronunciata recentemente la Commissione Tributaria Provinciale di Messina – Sezione 8- con la sentenza n. 255/8/08, depositata in segreteria l’11/06/2008 (R.G.R. N. 5843/06), tuttora inedita.
Dopo aver illustrato le molteplici pronunce di merito che hanno accolto l’eccezione di nullità della cartella per omessa indicazione del responsabile del procedimento, è bene dare contezza del filone giurisprudenziale opposto (che a dire il vero è minoritario).
In tal senso, la Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi, Sezione 1ª (sentenza n. 227/01/2007) facendo eco ad una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, precisa come l’indicazione del responsabile, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, sia richiesta soltanto ai fini della chiarezza degli atti dell’amministrazione finanziaria, non predeterminando alcuna nullità degli atti impositivi, trascurando probabilmente che tale norma statutaria sia attuativa dei principi costituzionali di cui agli articoli 3, 23, 24, 53 e 97.
La pronuncia, peraltro, fa riferimento al principio espresso dall’art. 156 c.p.c., secondo il quale “la nullità non può essere pronunciata per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge” e “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”, principio di ordine generale, quindi, applicabile sia agli atti processuali, per i quali è stato codificato, sia, in mancanza di impedimenti di carattere normativo o logico sistematico, a quegli atti di natura sostanziale che, come gli atti di imposizione fiscale, per avere efficacia e consentire all’interessato l’impugnazione in sede giudiziaria, devono essere notificati. Quanto agli atti impositivi in particolare, il principio trova applicazione sia che la nullità attenga alla notificazione dell’atto, sia che esso discenda dalla mancata o insufficiente indicazione del soggetto che lo ha emesso. Ne conseguirebbe che le nullità che traggono origine dalla mancata o inesatta indicazione del soggetto che ha emanato l’atto impositivo, tali da indurre in errore circa la sua provenienza, sono sanate, per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., dalla proposizione del ricorso nei confronti del soggetto che lo ha formato, legittimato a contraddire.
Nella sentenza de qua si afferma, peraltro, che la ricorrente avrebbe potuto avere conferma e cognizione anche mediante semplice richiesta indirizzata all’Agenzia della riscossione, tenuta per legge a dare al contribuente tutte le informazioni dallo stesso ritenute utili e necessarie per la tutela dei suoi legittimi interessi.
Interpretando, la questione, in siffatta maniera, i Giudici brindisini concludono osservando che l’ordinanza n. 377 della Corte Costituzionale rileverebbe soltanto per aver affermato la costituzionalità dell’art. 7, comma 2, lett. a) della L. n. 212/2000, posta in dubbio dal giudice remittente, in riferimento agli articoli 3, primo comma , e 97 della Costituzione.
In ultimo, per scongiurare ulteriormente la nullità della cartella per omessa indicazione del responsabile, la Commissione, premesso che la cartella di pagamento sia un provvedimento amministrativo a natura vincolata, in quanto costituirebbe la riproduzione fedele del ruolo consegnato all’agente di riscossione, ritiene applicabile l’art. 21 octies della Legge n. 241 del 1990, secondo il quale: “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
La decisione pronunciata dal Giudice brindisino, dunque, aderisce completamente alle tesi abbozzate dall’Agenzia dell’Entrate e dall’Agenzia di riscossione [Si veda circolare n. 16/E del 6 marzo 2008 dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale normativa e contenzioso].
In senso favorevole alla piena validità delle cartelle mute, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, (la n. 49/14/07 del 17 gennaio 2008 cit. in tabella), ha statuito che le cartelle prive del responsabile non sarebbero nulle, poiché non vi sarebbe alcuna norma che preveda la sanzione della nullità a seguito della mancata sottoscrizione del responsabile. Di poco precedente, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, Sezione XLI, n. 510 del 6 dicembre 2007, secondo cui la nullità della cartella per mancata indicazione del responsabile del procedimento deve essere considerata collegata e funzionale al diritto alla difesa, per cui qualora, come nel caso di specie, tale diritto, come quello all’informativa, non risulti comunque leso, non potrà sollevarsi l’eccezione di nullità della cartella per la mancata indicazione del responsabile del procedimento.
Da ultimo, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Torino, Sezione VII, n. 1 del 12 febbraio 2008, non condividendo il prevalente indirizzo giurisprudenziale e dottrinale formatosi in materia, motiva in modo piuttosto articolato il rigetto dell’eccezione di nullità della cartella muta. In sostanza, il Giudice torinese fa un’elencazione degli elementi essenziali in presenza dei quali possa ritenersi esistente un atto amministrativo, annoverando:
– il soggetto
– l’oggetto;
– il contenuto;
– la forma;
– la finalità dell’atto.
Da qui, il Collegio giudicante ritiene che l’indicazione del responsabile del procedimento non sia attinente a nessuno di questi elementi, riconoscendo però che tale indicazione consista comunque in un requisito formale dell’atto amministrativo, tale per cui vi sarebbe una violazione di legge, ai sensi dell’ art. 21 – octies, 1 comma, della L. n. 241/1990).
Tuttavia, tale violazione non rileverebbe in virtù del comma 2 dell’art. 21 – octies, secondo cui in presenza di un provvedimento che sia espressione di un’attività amministrativa vincolata, come quello della cartella esattoriale, il provvedimento non può essere annullato.
5) L’intervento legislativo del Decreto Milleproroghe.
Con l’art. 36, comma 4 – ter, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito in legge n. 31 del 28 febbraio 2008, sono state aggiunte disposizioni inerenti al contenuto della cartella di pagamento, disciplinata dall’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973.
In base a tale norma: “La cartella di pagamento di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973, e successive modificazioni, contiene altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse.”
In particolare, le cartelle di pagamento dovranno contenere, a pena di nullità, anche:
• l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo;
• l’indicazione del responsabile di emissione e di notificazione delle cartelle stesse.
Tali nuove disposizioni sono applicabili ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1°giugno 2008.
In relazione a tale normativa, quindi, la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti non è comunque causa di nullità delle cartelle di pagamento, qualora queste siano relative a ruoli consegnati prima del 1° giugno.
Tale disposizione di legge nel sanare il vizio di nullità delle cartelle mute, emanate in data precedente al 1° giugno 2008, realizza una sanatoria che in teoria (e solo in teoria) porrebbe la parola fine sulla polemica creatasi intorno all’interpretazione dell’art. 7, comma 2, lett. a), dello Statuto cit. e all’ordinanza n. 377 del 2007 della Corte Costituzionale.
In sostanza, la sanatoria riguarda:
• le cartelle già notificate in data anteriore al 1° giugno 2008;
• le cartelle notificate dopo tale data, ma relative a ruoli consegnati all’agente della riscossione prima del 1° giugno 2008.
Il contenuto della nuova cartella di pagamento, perciò, prevede un’informativa piuttosto allargata, estesa oltre che al responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo, anche al responsabile dell’emissione (agente della riscossione) e al responsabile della notificazione.
L’intervento legislativo ad opera del Milleproroghe, inserendosi fra i numerosi adottati in favore del Fisco, nell’intento di realizzare maggiori entrate, si pone in antitesi con il principio della certezza del diritto, della legittimità dell’affidamento e della buona fede del contribuente (art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente), cui invece dovrebbe ispirarsi [In tal senso, si è espressa la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 25506 del 30 novembre 2006, ove si criticano aspramente gli interventi legislativi pro – fisco adottati in spregio ai diritti fondamentali dei contribuenti. Il caso di specie riguarda la questione della retroattività dell’art. 2, comma 1, lett. b), del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, così come interpretato dalla norma di cui all’art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006, convertito con modificazioni, in L. 4 agosto 2006, n. 248, in base alla quale …”Ai fini dell’applicazione…del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”].
L’art. 36, comma 4 – ter, si evidenzia soprattutto per il netto contrasto con i principi generali dell’ordinamento tributario, contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente, principi che come più volte la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare devono ritenersi, a loro volta, di attuazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione e, pertanto, principi di rango costituzionale.
La Corte Costituzionale, da sempre, nell’affrontare la questione dell’incidente di incostituzionalità relativo alla retroattività delle norme di legge, ha riconosciuto in maniera indiscutibile che il divieto generale di retroattività della legge sia un principio generale dell’ordinamento, cui il Legislatore deve attenersi.
Secondo la giurisprudenza della Consulta “il Legislatore ordinario può, nel rispetto di tale limite, emanare norme retroattive, purchè trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere dalle leggi precedenti. Se queste condizioni sono osservate, la retroattività, di per sé sola, non può ritenersi elemento idoneo ad integrare un vizio della legge .
Ed è appunto, dal profilo della ragionevolezza che viene a mancare un benché minimo supporto alla norma di cui all’art. 36, comma 4 ter, cit.. Appare, infatti, evidente l’assoluta irrazionalità, irragionevolezza, nonché la palese illogicità, incoerenza e contraddittorietà, rispetto al contesto normativo pregresso, della norma de qua, che pur riconoscendo formalmente la nullità nell’eventualità, alquanto remota, di una violazione futura, nega al contempo la nullità per la medesima violazione di legge perpetrata nel presente e nel passato. Diversi, quindi, i profili di incostituzionalità dell’art. 36, comma 4 ter, cit.:
• violazione del principio costituzionale di uguaglianza (art. 3) per evidente disparità di trattamento del contribuente destinatario della notificazione di una cartella di pagamento prima e dopo il 1° giugno 2008, nonché irragionevolezza, illogicità ed incoerenza della norma che riconoscendo e sanzionando un vizio nullità per il futuro, al contempo lo sana per il passato;
• conseguente violazione del principio costituzionale di diritto alla difesa (art. 24) per tutti coloro i quali, avendo ricevuto una cartella di pagamento priva del responsabile prima del 1° giugno 2008, vedranno ridursi grandemente la possibilità di difendersi efficacemente dalla pretesa tributaria, considerata la sanatoria della nullità rilevata;
• nonché violazione del principio del buon andamento e imparzialità dell’operato della pubblica amministrazione (art. 97), in base al quale il contribuente deve essere posto in condizione di conoscere l’autore dell’atto impositivo, al fine di proporre contestazioni e porre in rilievo eventuali responsabilità.
Tali argomentazioni, lungi dall’essere una mera interpretazione o lettura della norma di cui all’art. 36, comma 4 ter cit., costituiscono il contesto sulla base del quale la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 377 del 2007, ha stabilito che l’indicazione del responsabile del procedimento deve essere ritenuto elemento imprescindibile di trasparenza, informazione del cittadino e garanzia del diritto alla difesa, i quali sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, 1 comma, Cost.
Concludendo, si ritiene che tali diritti costituzionali (articoli 3, 24 e 97 della Cost.), che in quanto tali sono insopprimibili per definizione, siano volti ad apprestare una tutela piena al contribuente, tutela che non può e non deve essere limitata e condizionata ad ambiti temporali predeterminati, ma che deve poter essere invocata sempre e comunque dai soggetti cui è destinata.
In relazione a tali rilievi critici, pertanto, non rimane che osservare come la norma di cui all’art. 36 comma 4 – ter cit., realizzando un’iniqua sanatoria pro – fisco, si ponga completamente al di fuori dell’ordinamento costituzionale – tributario cogente attuato per mezzo dello Statuto dei diritti del contribuente.
Conclusioni
Alla luce di quanto sopra esposto, è auspicabile una sollecita pronuncia della Corte Costituzionale, anche in attesa di ulteriori ordinanze di rinvio di altre Commissioni Tributarie di merito, con la speranza che possa essere dichiarato incostituzionale l’intervento legislativo a gamba tesa, soprattutto alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale, contenuto nelle sentenze n. 155 del 1990, n. 397 del 1994 e n. 14 del 1995, tese a tutelare le prerogative del potere giudiziario espresse nella Carta Costituzionale agli artt. 101, 102 e 108. Nelle succitate sentenze, si è, infatti, stabilito come il Legislatore vulneri le funzioni giurisdizionali ogni qual volta intervenga per annullare gli effetti del giudicato qualora la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie “sub iudice”.
Si tratta proprio della medesima situazione che si è venuta a creare nella vicenda delle cartelle mute, ove in pendenza di giudizio, il Legislatore è intervenuto facendo una sanatoria illegittima e lesiva degli importantissimi principi costituzionali succitati. Viene in luce, così, un ennesimo profilo di illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 36, comma 4 – ter, del D.L. Milleproroghe, in relazione agli artt. 101, 102 e 108 della Costituzione.
Infine, a titolo puramente personale, un particolare plauso e ringraziamento ai Giudici veneti per la tempestività ed il coraggio che hanno avuto nel rimettere gli atti alla Corte Costituzionale perché abroghi l’illegittimo ed inopportuno intervento legislativo, che fino ad oggi ha totalmente calpestato i diritti del contribuente, ignorando le precise disposizioni del relativo Statuto.