9 novembre 1989: così cadde il Muro La notte che cambiò il mondo/ I Video
l Muro di Berlino cessò di essere un
confine tra le due Germanie, la Repubblica Federale Tedesca e la
Repubblica Democratica Tedesca, retta da un regime comunista, il 9
novembre 1989. Fu un avvenimento fortemente simbolico, che segnò per il
mondo l’inizio della fine del comunismo sovietico. Per comprendere il
significato della caduta del Muro, occorre però ricordare quando e
perché era stato innalzato. L’ordine di costruirlo fu dato dal governo
comunista della Rdt e fu eseguito il 13 agosto ’61 (anche se Stalin era
morto nel ’53, erano gli anni più pericolosi della guerra fredda).
La sua costruzione trasformò la linea di separazione tra Berlino Est e
Berlino Ovest in un confine di Stato e segnò il definitivo
riconoscimento da parte sovietica dell’esistenza della Repubblica
Democratica Tedesca, con un nuovo assetto internazionale in Europa che
le potenze occidentali potevano rifiutare, ma non modificare con la
forza.
L’Urss non aveva ancora firmato il trattato di pace con il governo
comunista della Repubblica Democratica Tedesca e sembrava decisa ormai
a farlo: in questo caso la Rdt avrebbe avuto la gestione delle strade
che consentivano ad americani, inglesi e francesi di rifornire le loro
truppe presenti a Berlino Ovest, che era stata appunto assegnata, dopo
la guerra, alle forze di occupazione americane, inglesi e francesi.
Nikita Krusciov e John Kennedy si incontrarono a Vienna il 3 giugno
1961, ma l’incontro non portò a nessun risultato. A proposito della
Germania, Krusciov appariva deciso a sostenere a ogni costo lo Stato
comunista dell’Est e la divisione di Berlino in due parti. Kennedy
disse di avere avuto l’impressione che «l’Unione Sovietica avesse
intenzione di presentargli l’alternativa di accettare la decisione
sovietica su Berlino oppure di avere un confronto diretto». Krusciov
ribatté: «Se gli Stati Uniti vogliono la guerra, è un problema loro.
Non è l’Unione Sovietica che minaccia la guerra, sono gli Stati Uniti».
La situazione diventò molto tesa. In un colloquio tenuto ai primi di
agosto con Amintore Fanfani, Krusciov disse che, poiché la Rdt era
ormai uno Stato sovrano, gli accessi a Berlino Ovest avrebbero potuto
essere chiusi. Per dare forza alla sua affermazione rivelò che i
sovietici possedevano una superbomba all’idrogeno e affermò che, in
caso di guerra, la Germania occidentale sarebbe stata distrutta e lo
stesso sarebbe avvenuto per tutti i Paesi in cui c’erano basi americane
(e dunque anche per l’Italia). «Gli Stati Uniti inizieranno la guerra –
disse Krusciov – e voi dovrete morire. Capitemi bene. Questa non è una
minaccia, è la realtà».
La Cia disponeva di una spia vicina allo stato maggiore sovietico e gli
Stati Uniti seppero così che le minacce di Krusciov non dovevano essere
prese alla lettera: poiché intendeva andare avanti sulla strada delle
riforme della società sovietica, aveva deciso di rendere più duro il
suo atteggiamento in politica estera, per far fronte alla possibile
opposizione dei suoi avversari interni.
La costruzione del Muro mostrò in maniera del tutto evidente che l’Urss
non si sarebbe fermata ma avrebbe proceduto al pieno riconoscimento
della Germania Orientale come realtà statale autonoma e le potenze
occidentali sembrarono accettare uno stato di fatto, che avrebbe potuto
essere modificato solo con la guerra.
A ottobre però si verificò un nuovo aggravamento della tensione.
Krusciov annunziò al mondo che l’Urss aveva sperimentato una superbomba
nucleare da cinquanta megatoni e ne possedevano anche una da cento. Gli
Stati Uniti elaborarono un piano che prevedeva l’impiego di armi
nucleari, per rispondere a un eventuale attacco a Berlino Ovest.
La crisi diventò estremamente acuta tra il 27 e il 29 ottobre, quando
carri armati americani e sovietici si fronteggiarono pericolosamente al
posto di blocco «Charlie», che gli americani avevano costruito a
Berlino, nella Friedrichstrasse.
Il 1961, l’anno della costruzione del Muro, si chiuse così in
un’atmosfera che sembrava preludere a una guerra devastatrice. Anche se
gli Usa erano, in realtà, ancora militarmente superiori, l’Urss era
abbastanza forte per poter rispondere con colpi mortali: un conflitto
nucleare tra Usa e Urss avrebbe significato il reciproco annientamento.
Ventotto anni più tardi, nel 1989, non ci fu bisogno di combattere,
perché l’Unione Sovietica e l’intero sistema di Stati comunisti che
aveva costruito dopo la seconda guerra mondiale, si dissolse
pacificamente. L’Urss era ancora un gigante militare, ma aveva una base
economica ingessata, incapace di crescere e anche di rispondere alla
sfida lanciata dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, con il
suo progetto di «guerra stellare». Alla guida dell’Urss c’era
Gorbaciov, che aveva in parte ripreso i programmi di riforma che
Krusciov alla fine non era riuscito ad attuare, ma si era spinto molto
più avanti.
La sua politica riformatrice segnò l’inizio di un terremoto che squassò
prima gli Stati comunisti dell’Est europeo e poi la stessa Unione
Sovietica. Nel giugno del 1989 Gorbaciov visitò Berlino Est e accennò
alla possibilità di una riunificazione della Germania. Subito dopo, la
crisi del regime comunista tedesco si sviluppò con grande rapidità,
fino portare alla caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre. Il giorno
seguente un assistente di Gorbaciov scrisse: «Il Muro di Berlino è
crollato. Un’epoca della storia del sistema sovietico è finita». In
realtà, stava finendo non un’epoca di quel sistema, ma la sua intera
storia.
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