È a rischio-risarcimento l’avvocato che non impugna la dichiarazione di fallimento per conto del cliente
Il cliente non può difendersi dalla dichiarazione
di fallimento pronunciata dal Tribunale. E la colpa è dell’avvocato che
non ha proposto un’impugnazione tempestiva in base al mandato relativo
al primo grado di giudizio. Il difensore negligente rischia di pagare i
«gravi danni» lamentati dal mandante. Lo precisa la sentenza 24554/09
della Cassazione che fa il punto sulla responsabilità dell’operatore
forense. La Suprema corte offre agli avvocati le “regole d’oro” della
professione. Innanzitutto la valutazione della diligenza impiegata
avviene in base al tipo di prestazione dovuta. E poi dall’atto del
conferimento del mandato fino alla conclusione del rapporto il
difensore deve sempre: tenere informato il cliente, sollecitarlo e
dissuaderlo dalle iniziative dannose; chiedere tutti gli elementi
necessari o utili di cui il mandante dispone e prefigurare le questioni
di fatto e di diritto che rischiano di impedire il raggiungimento del
risultato.
E’ stata bocciata la sentenza
d’appello: l’avvocato avrebbe dovuto attivarsi per proporre nei tempi
stabiliti l’impugnazione contro la decisione del Tribunale che aveva
pronunciato la soccombenza del cliente nel giudizio di opposizione al
fallimento. Oppure avrebbe dovuto rendere noto in modo tempestivo
all’interessato di non poter provvedere alla presentazione del ricorso.
Non conta che la procura al difensore fosse stata rilasciata ormai anni
prima per il primo grado di giudizio: vale il principio della
permanenza dei poteri fino a revoca o rinuncia. L’omessa impugnazione
si risolve in un’attività difensiva inadeguata e fa scattare la
responsabilità dell’avvocato al pari delle ipotesi in cui al cliente
non sono fornite informazioni fondamentali o risulta violato il segreto
professionale.