Acquistare auto, imbarcazioni ed immobili giustifica gli studi di settore
Con ordinanza 27 settembre – 4 ottobre 2004, n. 16939, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un contribuente avverso la sentenza della CTR del Piemonte n. 65/10/09 con la quale veniva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate concernente un avviso di accertamento relativo ad Irpef, Irap ed Iva per l’anno d’imposta 2002.
In particolare, nella sentenza di appello il giudice aveva avuto modo di sottolineare come nell’atto impositivo, basato sugli studi di settore, si era tenuto conto del reddito portato in dichiarazione e conseguentemente dei costi; a tal proposito, peraltro, si riscontrava che, nonostante il contribuente avesse denunziato la crisi del comparto, la stessa non aveva avuto influenze sullo scostamento dei ricavi relativi alle annualità precedenti ma, al contrario, il contribuente aveva addirittura provveduto all’acquisto di un’autovettura Mercedes, di un’imbarcazione e di un’immobile di otto vani.
Nel ricorso per Cassazione il contribuente ha eccepito quale unico e sterile motivo il fatto che la CTR non aveva preso in considerazione la circostanza che l’atto impositivo si fondava su vari elementi che non erano stati in egual modo posti a conoscenza dell’interessato nella fase del contradditorio precontenzioso, trattandosi nel caso di specie non di presunzione legale, ma a carattere semplice non supportata da dati concreti.
Al riguardo, giova ricordare come gli studi di settore siano stati introdotti nel nostro ordinamento dall’art. 62 – bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 e come gli stessi costituiscano uno strumento di ausilio per l’Amministrazione Finanziaria con il quale mediante l’utilizzo di funzioni e strumenti statici e di un apposito software, GE.Ri.Co. (Gestione dei Ricavi e dei Compensi) vengono ricostruiti induttivamente i ricavi ed i compensi ritenuti “normali” degli esercenti attività d’impresa e degli esercenti arti e professioni.
Ebbene, gli ermellini con la sentenza in commento, nel rigettare il ricorso del contribuente hanno osservato come “ … in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili <<dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta>>, sia sugli studi di settore, come nella specie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore medesimo, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente”.
Del resto, già in precedenza la Suprema Corte con altre pronunce aveva avuto modo di sottolineare come in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore dimostri “una grave incongruenza” ai fini dell’avvio della procedura accertativa, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, co. 1, L. 146/1998 che non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento.