Una sentenza penale di condanna non passata in giudicato non è motivo d’impedimento della pronuncia dell’affidamento condiviso.
Lo ha stabilito la Suprema Corte tornando ad esprimersi (con la sentenza 7 dicembre 2010, n. 24841) in materia di affido condiviso e sulle cause di deroga all’applicazione di tale istituto.
In particolare, con la summenzionata decisione, gli Ermellini hanno accolto il ricorso di una madre avverso la decisione della Corte d’Appello di Bari che aveva disposto l’affidamento esclusivo dei tre figli al padre, poiché la ricorrente era stata condannata per calunnia nei confronti dell’altro genitore.
La Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza dei giudici dell’appello dovesse essere cassata in quanto a fondamento di tale pronuncia vi era la valutazione di fatti accaduti molti anni addietro, e del tutto insufficienti a dimostrare “in rapporto all’attualità, del tutto evidente l’inidoneità della madre a svolgere adeguatamente e responsabilmente il ruolo materno, sia nelle forme dell’affido esclusivo sia in quello dell’affido condiviso».
I giudici di Piazza Cavour hanno confermato l’orientamento maggioritario, secondo cui l’applicazione dell’affidamento condiviso può essere derogata solo se la sua applicazione risulti essere «pregiudizievole per l’interesse del minore».
In effetti, la magistratura di merito, negli ultimi anni, non ha mancato di occuparsi della tematica, come emerge dalle sentenze n. 16593/2008 e n. 26587/2009, secondo le quali “l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore”.
Viene dunque cristallizzato il principio che, nella pronuncia dell’affido condiviso, debba sempre prevalere la valutazione dell’interesse del minore e l’eventuale pregiudizio che lo stesso subirebbe qualora venisse affidato esclusivamente ad un solo genitore.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
Ordinanza 7 dicembre 2010, n. 24841
Svolgimento del processo – Motivi della decisioneLA CORTE:
A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti: “Il relatore, Cons. Stefano Schirò, esaminati gli atti.
Osserva:
1. Il Tribunale per i Minorenni di Bari, nella procedura relativa ai minori D.R., Ga. e G., figli di D. M. e di D’.Ma.Ro., genitori naturali non uniti in matrimonio e non più conviventi, affidava R. e Ga. al padre e G. alla madre.
La Corte di appello di Bari, accogliendo il reclamo del D., disponeva l’affidamento esclusivo dei tre figli al padre, pur reintegrando entrambi i genitori nella potestà genitoriale nei confronti dei tre figli e imponendo ai genitori di favorire la ripresa dei rapporti sia con entrambi i genitori e i relativi ascendenti, che tra gli stessi fratelli.
2. La D’. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, a cui ha resistito con controricorso il D..
11 ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., e appare meritevole di accoglimento.
3. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo.
La questione posta è la seguente.
La Corte di merito ha attribuito l’affidamento esclusivo dei figli minori al padre, utilizzando, quale unica fonte del proprio convincimento, una sentenza penale, con la quale il Tribunale di Bari ha condannato la ricorrente, madre dei minori, per calunnia nei confronti del padre degli stessi (accusato falsamente e pur nella consapevolezza della sua innocenza, di aver abusato sessualmente della figlia, dell’età di tre anni), senza tener conto che detta sentenza non è passata in giudicato, in quanto oggetto di gravame, riguarda fatti accaduti molti anni addietro ed aventi ad oggetto situazioni interpersonali tra i due genitori e che nulla hanno a che vedere con il rapporto genitoriale e con l’interesse dei minori, e senza ulteriormente valutare le complessive risultanze di causa e in particolare le relazioni dei servizi sociali.
4. Il ricorso appare fondato.
Questa Corte, con sentenze 2008/16593 e 2009/26587, ha affermato il principio di diritto forza del quale, alla regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore.
La Corte di appello ha disposto l’affidamento esclusivo dei minori al padre, ponendo a base della sua decisione i fatti enunciati in una sentenza penale di condanna, non ancora passata in giudicato, emessa nei confronti della D’. in ordine a vicende risalenti ad alcuni anni addietro e relative ai suoi rapporti personali con il padre, anche se strettamente correlate al loro ruolo di genitori e ai loro rapporti con i figli, senza però enunciare le ragioni per le quali tali vicende renderebbero, in rapporto all’attualità, del tutto evidente la inidoneità della D’. a svolgere adeguatamente e responsabilmente il ruolo materno, sia nelle forme dell’affido esclusivo, sia in quello dell’affido condiviso ed altrettanto evidente il grave pregiudizio che la piccola G. ha subito e subirebbe rimanendo affidata alla madre, come dalla stessa Corte affermato con motivazione apodittica e non supportata da riferimenti specifici al rapporto tra madre e figli e al ruolo di genitore dalla madre stessa svolto”;
B) osservato che la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione in atti;
ritenuto che, alla stregua delle argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, che di conseguenza il decreto impugnato deve essere annullato e che la causa va rimessa, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1, ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, che si individua nella Corte d’appello di Lecce e che riesaminerà il reclamo del D. alla stregua delle considerazioni svolte nella relazione che precede e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Lecce.