Affido condiviso, figli naturali equiparati a quelli legittimi Cassazione civile , sez. I, sentenza 30.10.2009 n° 23032
In seguito all’introduzione della Legge n. 54/2006,
la quale è applicabile anche ai figli di genitori non coniugati, è
ammissibile il ricorso in cassazione dei provvedimenti emessi, ai sensi
dell’art. 317 bis c.c.,
in sede di reclamo, relativi all’affidamento dei figli e alle relative
statuizioni economiche, ivi compresa l’assegnazione della casa
familiare, nel caso in cui i genitori non siano coniugati.
(*) Riferimenti normativi: art. 317 bis c.c.; Legge n. 54/2006.
In tema di affido condiviso, si vedano i seguenti contributi della dottrina:
– GIACARDI, L’affidamento dei minori a terzi dopo la riforma sull’affido condiviso;
–
MAGLIETTA, Affido condiviso: un anno di vita tra difficoltà e scarsa
conoscenza, in Guida al diritto, 2007, n. 10, IL SOLE 24 ORE, p. 10;
–
DE SISTO, Sulla praticabilità dell’affido condiviso anche quando i
genitori vivano in località molto distanti o addirittura in Stati
diversi, in Giurisprudenza di merito, 2007, n. 12, GIUFFRÈ, p. 3110;
–
SPALAZZI CAPRONI, Affido condiviso e interesse del minore, in Vita
notarile, 2006, n. 3, EDIZIONI GIURIDICHE BUTTITTA, p. 1625.SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 2 aprile – 30 ottobre 2009, n. 23032
(Presidente Luccioli – Relatore Dogliotti)
Svolgimento del processo
D.
G. L. presentava ricorso al Tribunale per i minorenni di Ancona,
chiedendo la sospensione della potestà del padre naturale della minore
A., nata nel omissis, M. M.. Questi chiedeva rigettarsi la domanda
della D. G., instando, a sua volta, per la sospensione della potestà
della D. G..Veniva svolta attività istruttoria (relazione dei servizi; consulenza tecnica d’ufficio).
All’esito,
il Tribunale minorile, con decreto 20/12/2007, disponeva l’affidamento
condiviso della minore ai genitori, con collocamento della bambina
presso il padre.Proponeva reclamo la D. G., ribadendo la richiesta di sospensione della potestà paterna.
Il M. chiedeva il rigetto del reclamo.
La
Corte d’Appello di Ancona – Sezione per i minorenni, con decreto in
data 26/3/2008, fermo l’affidamento condiviso ad entrambi i genitori,
disponeva la collocazione della minore presso la madre, con ampia
facoltà di visita del padre; condannava quest’ultimo alla
corresponsione di un assegno periodico per la minore di euro 250
mensili.Ricorre per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. il M., con cinque motivi.
Resiste, con controricorso, la D. G., proponendo ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Vanno riuniti i ricorsi principale ed incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Questione
preliminare, da esaminare d’ufficio, non avendola dedotta nessuna delle
parti, riguarda la ricorribilità per cassazione, ancorché ai sensi
dell’art. 111 Cost., del decreto della Corte di Appello, Sezione per i
minorenni che abbia pronunciato, ai sensi dell’art. 317 bis c.c.
sull’affidamento dei figli di genitori non coniugati. È ben consapevole
il Collegio che la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha
risolto la questione nel senso dell’inammissibilità del ricorso,
ricollegando tale materia a quella dell’esercizio della potestà e dei
suoi limiti (art. 333, 330 c.c.). (Tra le altre, Cass. sez. un. n.
25008 del 2007; n. 13286 del 2004).Ritiene tuttavia il Collegio
che a diversa soluzione debba pervenirsi alla luce del recente
intervento normativo di cui alla l. n. 54 del 2006.Considerando
la questione in prospettiva storica, va osservato che, anteriormente
alla riforma del 1975, l’affidamento dei figli di genitori non
coniugati veniva fatto rientrare nella previsione dell’art. 333 c.c.:
una limitazione della potestà, una sorta di sanzione per il genitore
non idoneo (anche se, fin d’allora, l’interpretazione dell’art. 333
c.c. si andava facendo più estesa, ed iniziava a considerare le
situazioni oggettivamente pregiudizievoli, indipendentemente dalla
colpa del genitore). Quanto ai profili economici, si richiamava
l’obbligo alimentare, e la relativa procedura (art. 433 c.c. e segg.),
introducendosi così una distribuzione di competenza tra tribunale
minorile ed ordinario, mantenutasi fino a tempi assai recenti.La
riforma del diritto di famiglia del 1975 introdusse elementi di novità
anche in questo settore. L’art. 317 bis c.c., che non trovava alcuna
corrispondenza nella normativa anteriore, disciplina, tra l’altro,
l’affidamento dei figli di genitori non coniugati, a seguito di rottura
della convivenza tra essi e i figli, ovvero quando convivenza non vi
sia mai stata. La disposizione attribuisce notevole discrezionalità al
giudice (il Tribunale per i minorenni) che, nell’interesse del minore,
può escludere dall’esercizio della potestà entrambi i genitori,
nominando un tutore, previsione assai lontana da quella dell’art. 155
c.c., che regola l’affidamento dei figli di genitori (uniti in
matrimonio e) separati.È indubbio che l’introduzione dell’art.
317 bis c.c. comportava un’autonomia del procedimento in esame,
rispetto a quello di limitazione e decadenza dalla potestà (e tuttavia
il riferimento all’esercizio della potestà, contenuto nella
disposizione, l’ampia discrezionalità attribuita al giudice, la
competenza del Tribunale per i minorenni e, di conseguenza, la
procedura in camera di consiglio, di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg.
contribuirono a mantenerlo nell’alveo dei predetti procedimenti di cui
agli artt. 333 e 330, 336 c.c.).Al contrario, la procedura
davanti al Tribunale ordinario conquistava una sua autonomia rispetto a
quelle relative ai crediti alimentari. Del resto, la riforma del 1975
precisa, con chiarezza, al novellato art. 261 c.c. che il genitore che
ha riconosciuto il proprio figlio naturale assume nei suoi confronti
tutti i diritti e doveri che ha nei confronti dei figli nati nel
matrimonio. Dunque di mantenimento si doveva parlare, e non di
alimenti, e la relativa azione veniva proposta nell’ambito di un
ordinario procedimento di cognizione, promosso con atto di citazione,
avvicinando così tale procedura a quella di separazione e divorzio, per
quanto attinente ai provvedimenti relativi ai figli. Un “avvicinamento”
ulteriore si verificava in virtù di una nota sentenza della Corte
costituzionale (Corte Cost. 13/5/1988, n. 166) che, pur ritenendo
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 c.c.
nella parte in cui non ammetterebbe la possibilità di assegnazione
della casa familiare di proprietà di un genitore all’altro, affidatario
del figlio naturale, perveniva al medesimo risultato in via
interpretativa.La recente L. n. 54 del 2006, esprimendo
un’evidente scelta di assimilazione della posizione dei figli naturali
a quelli nati nel matrimonio, quanto al loro affidamento, precisa che
“le disposizioni della presente legge si applicano anche (…) ai
procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. Dunque sono
applicabili, anche in questo settore, le regole introdotte dalla
predetta legge per la separazione e il divorzio: potestà esercitata da
entrambi i genitori, decisioni di maggior interesse di comune accordo
(con intervento diretto del giudice, in caso di contrasto), quelle più
minute assunte anche separatamente, privilegio dell’affidamento
condiviso rispetto a quello ad uno dei genitori, che comunque può
essere disposto, quando il primo appaia contrario all’interesse del
minore; assegno per il figlio, in subordine, essendo preminente il
principio del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore,
audizione obbligatoria del minore ultradodicenne, possibilità di
revisione delle condizioni di affidamento, ecc.Ma le
innovazioni introdotte dalla l. n. 54 comportano, oltre agli effetti
sostanziali sopraindicati, pure rilevanti problematiche processuali, in
quanto forniscono una definitiva autonomia al procedimento di cui
all’art. 317 bis c.c., allontanandolo dall’alveo della procedura ex
art. 330, 333, 336 c.c. e avvicinandolo, e per certi versi
assimilandolo, a quello di separazione e divorzio, con figli minori.Né
si potrebbe obiettare che si mantiene comunque la competenza funzionale
del Tribunale per i minorenni e il rito della camera di consiglio:
l’ordinamento prevede, ormai con una certa frequenza, la scelta del
rito camerale, in relazione a controversie oggettivamente contenziose,
per ragioni di celerità e snellezza, primo tra tutti il giudizio di
appello nei procedimenti di separazione e divorzio.Delle
innovazioni della l. n. 54 già ha tenuto conto questa Corte, con
orientamento ormai consolidato, opportunamente superando la
distribuzione di competenze tra tribunale minorile ed ordinario
(affidamento dei figli di genitori non uniti in matrimonio, al primo,
pronuncia sul mantenimento e sull’assegnazione della casa familiare, al
secondo) e attribuendo ogni competenza al tribunale minorile (Cass.
S.U. n. 8362 del 2007).Da quanto si è finora osservato consegue
dunque la piena ricorribilità per cassazione, nel regime dettato dalla
legge n. 54 del 2006, di provvedimenti emessi, ai sensi dell’art. 317
bis c.c., in sede di reclamo, relativi all’affidamento dei figli e alle
relative statuizioni economiche, ivi compresa l’assegnazione della casa
familiare.Vanno esaminate altre due questioni preliminari, prospettate dalla controricorrente e ricorrente incidentale.
Lamenta
essa di aver ricevuto copia notificata del ricorso incompleta della
pag. 11 e del mancato deposito del decreto di concessione del gratuito
patrocinio. Le eccezioni sono infondate. Quanto alla prima, va
osservato che la relata di notifica indica chiaramente la “copia” del
ricorso, conforme all’originale, e, secondo orientamento consolidato
presso questa Corte {tra le altre, Cass. n. 23429 del 2007), la
contestazione della veridicità della relata dovrebbe essere effettuata
con querela di falso. Relativamente alla seconda, va rilevato che la
controricorrente non indica uno specifico interesse al riguardo.Vanno ora esaminati i motivi del ricorso principale e di quello incidentale.
Con
il primo motivo, il ricorrente principale lamenta violazione dell’art.
132 c.p.c. (art. 360, n. 4 c.p.c.) per omessa sottoscrizione della
“sentenza” da parte del giudice estensore, nonché per mancanza della
dicitura “Repubblica italiana. In nome del popolo italiano”
nell’intestazione.Il motivo è infondato. Il ricorrente si
riferisce a sentenza, laddove, nella specie, si tratta di decreto, per
il quale è sufficiente la sottoscrizione del Presidente (al riguardo,
Cass. n. 2381 del 2000) e non occorre la predetta intestazione.Con
il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 112
c.p.c. (art. 360, n. 4 c.p.c). Egli sostiene che il giudice a quo
avrebbe pronunciato ultra petitum, disponendo che il padre provveda al
mantenimento della minore nella misura di euro 250 mensili, nonostante
nessuna richiesta fosse stata formulata, al riguardo, dalla controparte.Il
motivo è parimenti infondato. Il principio espresso dall’art. 112
c.p.c., per cui il giudice deve pronunciarsi “non oltre” la domanda,
non deve essere inteso in senso letterale e formale (soprattutto in una
materia, come quella familiare e minorile, dove l’interesse del
fanciullo – che spesso non è parte del procedimento – è nettamente
preminente); il giudice dunque, accogliendo una domanda, può ben
pronunciare sulle conseguenze che derivano da tale accoglimento (tra le
altre, Cass. n. 6891 del 2005).La D. G. aveva chiesto, già in
primo grado, l’allontanamento del M. dalla casa familiare, e ciò
comportava implicitamente che, se la domanda fosse stata accolta, il
giudice si pronunciasse sul mantenimento della minore. Ciò ha fatto il
giudice d’appello, riformando il decreto del Tribunale minorile, e
disponendo il collocamento della minore presso la madre.Con il
terzo e quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente,
perché strettamente collegati, il ricorrente lamenta omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione nel disporre il
collocamento della minore presso la madre.I motivi sono
inammissibili. Le “sintesi” formulate, ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c., sono del tutto generiche e mancano le chiare indicazioni del
fatto controverso (v., al riguardo, Cass. n. 8897/2008). In ogni caso
il ricorrente introduce profili di fatto inerenti la scelta del
genitore più idoneo, insuscettibili di valutazione in questa sede.Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 155 quater c.c. e 4, co. 2 l. n. 54 del 2006.
Sostiene che erroneamente il giudice d’appello ha revocato l’assegnazione a suo favore della casa familiare.
Il
motivo è sostanzialmente assorbito, in quanto la casa era stata
assegnata all’odierno ricorrente, quale collocatario della figlia
minore: la revoca dell’assegnazione è diretta conseguenza del
collocamento della minore presso la madre.Va, conclusivamente, rigettato il ricorso principale.
Il
ricorso incidentale è affidato ad un unico motivo: si lamenta omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine al regime di
visita ritenuto troppo ampio per il padre. Il motivo è inammissibile:
manca il necessario momento di “sintesi” (omologo al quesito di
diritto) che circoscriva i limiti della censura, richiesto dalla
giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., Cass. n. 8897/2008), in
applicazione dell’art. 366 bis c.p.c..Il tenore della decisione
richiede la compensazione delle spese di giudizio tra le parti, in
ragione di metà, con condanna del ricorrente principale per l’altra
metà.P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara
inammissibile quello incidentale; dichiara compensate per metà le spese
di giudizio tra le parti e condanna il ricorrente al pagamento per
l’altra metà, liquidandole in euro 1.500, di cui euro 200 per esborsi,
oltre spese generali ed accessori di legge.