Ai fini dell’equa riparazione il giudizio di cognizione e di ottemperanza non sono cumulabili
La durata del processo ordinario o amministrativo
di cognizione non si somma a quella del processo esecutivo o di
ottemperanza.
È il principio sancito dalla Cassazione che permette al cittadino di poter chiedere l’indennizzo per il
procedimento troppo lungo entro i sei mesi successivi alla fine di ciascuno
dei processi.
Questa interessante conclusione si evince da una sentenza del 24
dicembre 2009 depositata dalle
Sezioni unite civili della Suprema corte, nella quale si spiega
che “in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole
di durata del processo, questo va identificato, in base all’art. 6
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, in considerazione delle situazioni soggettive controverse
e azionate su cui il giudice adito deve decidere, le quali, per la
citata norma sovranazionale, sono <diritti e obblighi>, ai quali,
per gli arti. 24, 111, e 113 della Cost. devono aggiungersi gli
interessi legittimi di cui sia chiesta tutela ai giudici
amministrativi. In rapporto al criterio di distinzione della
Convenzione sopra richiamato, il processo di cognizione e quello di
esecuzione regolati dal codice di procedura civile come quello
cognitivo del giudice amministrativo e il processo di ottemperanza,
teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede cognitoria,
devono considerarsi tra loro autonomi, in rapporto alla diversità delle
situazioni soggettive azionate in ciascuno di essi (nei primi,
cognitori, diritti e interessi legittimi, e nei secondi esclusivamente
diritti all’adempimento).
Dalla differenza funzionale richiamata
deriva la diversità della struttura di ognuno di detti procedimenti,
nascendo il processo di cognizione da una domanda di accertamento di un
diritto, obbligo o interesse legittimo controverso, e il secondo dalla
valutazione positiva di tali situazioni contenuta in una pronuncia
esecutiva, la cui inadempienza dal convenuto o resistente soccombente,
comporta che la stessa costituisca titolo esecutivo che, notificato con
il precetto, introduce i procedimenti (alcuni anche cognitori) tesi a
soddisfare quanto accertato dal giudice della cognizione (cfr. libro
terzo del c.p.c.), potendosi, qualora soccombente sia una pubblica
amministrazione agire anche in ottemperanza, perché la predetta si
conformi al giudicato, ponendo in essere atti sostitutivi di quelli
annullati perché illegittimi, a seguito di notifica della messa in mora
a provvedere nei sensi della decisione emessa in sede cognitoria non
osservata. Consegue alla detta autonomia dei diversi giudizi che le
loro durate non possono sommarsi per rilevarne una complessiva dei due
processi, di cognizione da un canto e di esecuzione o di ottemperanza
dall’altro, e che solo dal momento delle decisioni definitive in
ciascuno dei processi, sarà possibile, per ognuno di essi, domandare,
nei termini dell’art. 4 della logge n. 89 del 2001, l’equa riparazione
per violazione dell’art. 6 della Convenzione”.