Alle fatture commerciali la Cassazione non riconosce valore di prova
La fattura commerciale non rappresenta una prova documentale. Questo perché – spiega la Cassazione (sentenza n. 20802/11 pubblicata sul sito di Guida Normativa on line) – il documento ha una valore esclusivamente formale di un accordo già raggiunto tra le parti. E quindi incombe sull’emittente l’onere di dimostrare l’esatto ammontare del proprio credito, fermo restando che la richiesta si intende superata se il debitore convenuto, oltre a contestare la somma pretesa, riesca a provare di aver già pagato la diversa e inferiore somma dovuta.
La vicenda
La Corte si è trovata alle prese con un soggetto che, nella veste di panificatore, aveva preteso da un esercizio commerciale di generi alimentari una somma superiore ai 40 milioni delle vecchie lire per il rifornimento di pane avvenuto nell’arco temporale 1992-1994. La vicenda aveva visto due decisioni di merito diametralmente opposte. Mentre, infatti, il tribunale di Pisa aveva condannato i titolari dell’esercizio a versare la somma pretesa dal panificatore, la Corte d’appello fiorentina aveva bocciato la domanda. In particolare, quest’ultima, aveva eccepito come la richiesta non fosse adeguatamente supportata in quanto le consegne della merce avvenivano giornalmente e anche i rispettivi pagamenti erano effettuati giorno per giorno.
Il peso della testimonianza
Tesi questa, peraltro, avvalorata dalla deposizione di un testimone assiduo frequentatore del negozio. Ma proprio su quest’ultimo soggetto il ricorrente aveva sollevato le proprie perplessità in quanto ritenuto parente di uno dei proprietari del centro commerciale (zio della moglie). Sul punto la Cassazione ha chiarito che bene ha fatto la Corte d’appello a prendere in debita considerazione le dichiarazioni, in virtù del potere lasciato ai giudici di valutare tra le risultanze probatorie quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione. Per quanto concerne la prova testimoniale il divieto di testimoniare previsto per i parenti non consente ai giudici un’aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate dall’articolo 247 del cpc, a maggior ragione nel caso concreto in cui il teste era un affine in linea collaterale. Fatte queste precisazioni la Corte ha bocciato anche la pretesa del ricorrente basata sulle fatture commerciali. Queste ultime rappresentano esclusivamente un atto partecipativo e non una prova documentale.