“Allo sbaraglio o dimenticati” La formazione di 22mila medici
Di notte reggono da soli interi reparti, con rischi altissimi per dei
tirocinanti. Di giorno restano con le mani in mano, e in pochi
conseguono la specializzazione avendo accumulato la giusta esperienza.
È un quadro con
troppe ombre quello che emerge dall’inchiesta di Federspecializzandi,
la sigla più rappresentativa dei 22 mila iscritti a una scuola di
medicina post-laurea. Da Trieste a Palermo, il cahier de doléances
dei futuri chirurghi, radiologi, anestesisti, oncologi…, è
fittissimo. Regolamenti disattesi, attività didattica insufficiente,
scarsa attenzione da parte dei tutor, gli strutturati che dovrebbero
seguirli da vicino. E soprattutto poche occasioni per svolgere le
attività cliniche, se non da soli e con enormi responsabilità.
“Ma il vero paradosso” spiega il segretario dell’associazione, Domenico
Montemurro, “è che si impara poco lavorando tantissimo: il 46% dei
giovani medici dichiara di passare in corsia tra le 50 e le 70 ore alla
settimana, quando il contratto ne prevede in tutto 38 tra teoria e
pratica”.
Il ricorso ai tirocinanti è massiccio soprattutto di notte e nei giorni
festivi, quando gli strutturati abbandonano la corsia e diventano
reperibili. Così, il 64% dei giovani medici si trova a svolgere
servizio di guardia in autonomia, il 65% a fornire prestazioni in
ambulatorio (dove i pazienti, che hanno pagato il ticket, credono di
avere di fronte uno strutturato) e quasi uno su due a scegliere se
ricoverare o no un utente del pronto soccorso. Tutte decisioni per le
quali bisognerebbe consultare il tutor, che però in quasi metà dei casi
è assente o, se c’è, dà un apporto “insufficiente” per il 22% degli
intervistati e “scarso” per il 19%.
A questo surplus di responsabilità non corrisponde una formazione
adeguata. La vera emergenza è nell’area chirurgica: la metà degli
intervistati completa il ciclo di studi senza effettuare un solo
intervento di alta chirurgia (nel 37% dei casi nemmeno come secondo
operatore). In sala operatoria si lasciano effettuare ai giovani medici
solo interventi considerati minori. “Sette allievi chirurghi su dieci
bocciano l’attività pratica” spiega Montemurro. Prendere in mano un
bisturi può diventare un privilegio, ma rischioso, visto che nell’80%
dei casi non esistono percorsi graduali di apprendimento delle tecniche
di base. Né risultano diffusi simulatori (pelvic trainer, vascular
intervention simulator…) decisivi per la formazione. Oltre la metà
dei tirocinanti, e non solo quelli dell’area chirurgica, non disponne
neanche del log-book, il taccuino previsto dal contratto su cui
annotare gli interventi e le prestazioni svolti, fissati dalle tabelle
ministeriali. E se il registro esiste, è usato solo in un caso su
quattro. Quanto alle prestazioni, il 55% degli intervistati dichiara di
non svolgere tutte quelle tipiche della disciplina studiata, nel 37%
dei casi perché gli è stato impedito, nel 30% perché la struttura non
ha i requisiti necessari.
Non stupisce, allora, che alla domanda “ti riscriveresti alla stessa
scuola di specializzazione”, la risposta più frequente è “sì, ma in un
altro ateneo”. Qualche nota positiva c’è. Il 66 per cento delle
strutture permette di completare la formazione in altre sedi
convenzionate, anche private, alle quali molti si rivolgono per fare
esperienza su macchinari all’avanguardia. Quasi otto scuole su dieci
consentono, poi, di completare il ciclo di studi all’estero. Due
aspetti, questi ultimi, che potrebbero però rivelarsi un boomerang per
la sanità pubblica del futuro, con le cliniche private destinate ad
assorbire i giovani più preparati, mentre quanti scelgono di restare a
lavorare in un Paese straniero sono già in aumento da anni.
Intanto, Federspecializzandi chiede al ministero dell’Istruzione che il
prossimo bando di concorso per l’ingresso nelle scuole sia pubblicato
entro marzo 2010, e non a giugno come quest’anno.