Alzheimer, scoperti 5 nuovi geni coinvolti. Prospettive per prevenzione e terapia
Due lavori, uno statunitense e uno europeo, pubblicati contemporaneamente su Nature Genetics 1, aprono la strada a nuovi approfondimenti sulle cause della malattia – che in Italia colpisce in modo conclamato il 5 per cento delle persone al di sopra dei 60 anni – e puntano, in futuro, a identificare chi ha un rischio maggiore di ammalarsi, con lo scopo di sviluppare interventi preventivi.
All’origine dei risultati, due consorzi che hanno lavorato separatamente per poi mettere in comune i risultati, al fine di confermare i dati. Sono stati coinvolti per la prima volta tutti i maggiori gruppi di ricerca del mondo che si occupano della genetica della malattia, racconta Sandro Sorbi, dell’università di Firenze, che ha partecipato al lavoro europeo insieme alla collega Benedetta Nacmias. Direttore del dipartimento di scienze neurologiche e psichiatriche a Firenze, da decenni si occupa di Alzheimer ed è l’unico italiano a comparire fra i primi 100 studiosi della malattia nella classifica redatta dal Journal of Alzheimer disease.
Non si tratta di geni banali, chiarisce Sorbi: “Tre di loro, ad esempio, si occupano dell’ingresso e dell’uscita di molecole all’interno della cellula; un altro si occupa di mettere insieme proteine all’interno della cellula, o, ancora, due sono legati all’attivazione di immunità all’interno dei neuroni”. E il lavoro è particolarmente interessante non solo per la mole dei dati analizzati, ma anche perché apre nuove finestre di ricerca per i prossimi dieci, quindici anni.
Secondo un altro italiano co-autore dello studio, l’immunologo Federico Licastro dell’Università di Bologna, la scoperta rafforzerebbe l’ipotesi che tra i fattori scatenanti dell’Alzheimer possano esserci anche virus cerebrali della famiglia dell’Herpes. Attualmente il suo gruppo di ricerca sta lavorando ad una verifica sperimentale di questa ipotesi.
Nel 2009 erano già stati scoperti tre nuovi fattori di predisposizione genetica per l’Alzheimer: CLU, CR1 e PICALM, che vanno ad aggiungersi all’apolipoproteina E (APOE4), nota già da 15 anni e rivelatasi importantissima, un “fattore universale” nell’insorgenza della malattia. I nuovi geni identificati non sono così potenti: aumentano il fattore di rischio in percentuali minori, ma la scoperta di nuovi potenziali bersagli genetici è fondamentale per progredire verso trattamenti di cura o preventivi, visto che i farmaci attualmente disponibili non hanno che un’efficacia ridotta nel rallentare l’evoluzione della malattia.