Anche al convivente gay spetta il risarcimento in caso di sinistro mortale
Con la sentenza 12 settembre 2011, n. 9965 il Tribunale di Milano riconosce il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, concretatosi in un evento mortale, anche al convivente more uxorio di ugual sesso.
La decisone, tuttavia, non va letta nel quadro di un generale riconoscimento ed equiparazione della convivenza omosessuale alla famiglia, legale o di fatto, ma di una situazione di sofferenza derivante dalla privazione della persona con cui si condivideva la vita e la comunanza di intenti e progetti in una stabile relazione sentimentale e di coabitazione.
Nel caso di specie il giudice di Milano ha condannato ad un anno e tre mesi di reclusione un automobilista colpevole di aver provocato la morte di una persona in un incidente stradale. Inoltre, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno – sia patrimoniale che morale – sia all’anziana madre sia al convivente dell’uomo. Con riguardo alla posizione di quest’ultimo, si legge nel testo della sentenza che nel dibattimento è stata evidenziata la stabile relazione affettiva e di convivenza da quasi quindici anni con la vittima, con cui vi erano anche documentati intensi rapporti professionali.
La morte del convivente ha determinato nell’uomo uno stato depressivo tale da impedire la rielaborazione del lutto e da produrre un sensibile decremento dell’attività lavorativa e professionale. In questo senso, il Tribunale di Milano ha ritenuto di poter accogliere l’orientamento della Cassazione che ha stabilito la risarcibilità non solo della lesione dei diritti costituzionalmente inviolabili,ma anche, a seguito della commissione di un reato, della lesione dei diritti inerenti la persona non connotati da rilevanza economica (Cass., sez. unite Civ., sentenza 26972/08).
Inoltre la stessa Cassazione aveva stabilito in precedenza (Cass. III sez. pen. n. 23725/08) che il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto anche al convivente more uxorio del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e mutua assistenza morale e materiale.
Date queste premesse, il ragionamento logico giuridico del Tribunale si fonda sulla considerazione che la posizione della Suprema Cassazione riconosce un danno conseguente non ad uno status o particolare sesso, ma dalla sofferenza derivante dalla privazione della persona con cui si condivideva la vita e la comunanza di intenti e di progetti in una stabile relazione sentimentale e di coabitazione.
Rilevante all’interno delle motivazioni l’affermazione del Tribunale che ciascuna unione effettiva stabile e duratura crea una condizione di vita in cui l’individuo sceglie di crescere come persona e che la sua interruzione provocata da un fatto-reato provoca una sofferenza pari a quella che si verificherebbe in una coppia formata da persona di sesso diverso. Non si tratta dunque di riconoscere diritti simili o uguali a quelli derivanti da un matrimonio civile, ma d accordare tutela ad una situazione affettiva e di convivenza stabile, analoga alla situazione del convivente della donna che perde un figlio con lui convivente da tempo. La liquidazione del danno è stata riservata ad un separato giudizio .
Indubbiamente la sentenza si segnala per il tentativo di riconoscere una situazione di sofferenza umana, anche se non si può fare a meno di pronosticare un seguito di polemiche vista anche la posizione di contrasto assunta con il pronunciamento della Corte Costituzionale nella sentenza n. 138/2010, dove si è chiarita l’uguaglianza del riconoscimento giuridico di una coppia formata da persone dello stesso sesso rispetto a quello riservato ad una coppia formata da persone di sesso diverso, in ossequio all’art. 2 della Costituzione.