Anche il Codice del Consumo va interpretato secondo Costituzione
L’analisi approfondita della sentenza n. 180/2009 della Corte Costituzionale ne rivela l’aspetto di portata generale, destinandola ad essere annoverata tra quelle pronunzie cardine sulle quali si fonda la tutela della persona.
Ancora non ha avuto la giusta eco perché emessa in un momento di remissione dell’attività giudiziaria civile, ma è certo che essa avrà un effetto ampio appena gli operatori del diritto le avranno dedicato la giusta attenzione.
Perché, a leggerla con attenzione, è vero, come dice qualche frettoloso commentatore, che “in effetti non ha dichiarato incostituzionale nessun articolo del Codice Assicurativo”, ma è altrettanto vero che ha fatto di più: ha sancito l’incostituzionalità dell’intero Codice Assicurativo, e, quindi, anche di quello del Consumo, per violazione della legge delega ogni volta che la sua applicazione comprometta, o renda più ardua, la tutela della parte debole CONSUMATORE-DANNEGGIATO-ASSICURATO.
E l’elemento che più lascia (favorevolmente) sconcertati coloro che hanno a cuore la tutela della persona, è che la Consulta, in chiusura della citata sentenza 180/2009, lancia un monito alle attuali e future generazioni di interpreti ed operatori della Giustizia: la politica (sociale) resti fuori dalla Aule di Giustizia. Se una norma viola la Costituzione, va esautorata, le ricadute sociali di siffatto atteggiamento non sono problemi delle Aule di Giustizia, ci penserà la Politica ad affrontarle!!!
Quindi, non avevano ragione di esistere le perplessità, peraltro logiche, del Giudice remittente, che si era trovato innanzi all’amletico dubbio:
applicare alla lettera la norma introdotta dal Codice assicurativo con violazione delle esigenze di tutela del danneggiato
oppure
disapplicarla non consentendo al Codice medesimo di perseguire lo scopo di contenere i costi assicurativi?
Peraltro, non era questo lo scopo della norma, ma quello solidaristico e protettivo del Cittadino di cui alla legge delega.
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In applicazione analogica, essendo i due Codici, Assicurativo e del Consumo, parto gemellare del medesimo art. 7 della legge delega 229/2003, è possibile organizzare un discorso sul Foro del Consumatore che, forse, è l’aspetto preminente dell’intero Codice del Consumo, partendo dalle ultime 3 pronunzie della Suprema Corte (di seguito riportate per esteso) anche per delinearne il minimo comun denominatore evidenziando, però, le rilevanti contraddizioni contenute nell’ultima delle tre, la 8093/2009, che non sembra in sintonia con le altre né con la citata pronunzia della Consulta che, però, è successiva e, forse, la rende anche un po’ anacronistica.
Le diverse sentenze (ordinanze) della Corte di Cassazione che si sono, infatti, succedute sulla interpretazione della disposizione dell’art. 33 del Codice del Consumo relativa al c.d. Foro del Consumatore rivelano una larga tendenza verso una interpretazione estensiva del principio, in linea del resto con la sua funzione di tutela del consumatore e dell’utente, generalmente riconosciuto contraente debole del rapporto con l’imprenditore/ professionista.
Questa tendenza, che è riconfermata dalle sentenze n. 20 e n, 4745 del 2009 è adesso spezzata della recentissima sentenza n. 8093 del 2009 che, in parte contraddicendo le affermazioni della sentenza n. 20, compie una vera e propria inversione di marcia negando l’applicazione del principio ai rapporti di consumo o di utenza con gli enti ospedalieri pubblici e privati in convenzione.
Dopo avere riaffermato, sulla scia di una giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, che anche la responsabilità della struttura sanitaria pubblica o convenzionata ha natura contrattuale e che il Codice del Consumo si applica pertanto, sia pure solo tendenzialmente, anche al consumatore-utente del servizio pubblico, questa sentenza, prescindendo dalla soluzione del dubbio sulla origine contrattuale o meno della fonte del rapporto che si stabilisce tra la struttura ospedaliera pubblica ed il paziente che ad essa si rivolge, rileva:
1) che l’azienda ospedaliera pubblica (e parimenti quella convenzionata) non riveste la qualità di professionista ex art. 3 lett. c) del Codice, considerato che, pur se gestita con criteri manageriali, non agisce nell’esercizio di un’attività imprenditoriale, commerciale e artigianale, ossia non svolge un’attività economica, in quanto non deve rispettare il principio di economicità e l’erogazione è assicurata anche se cagiona perdite; né tantomeno svolge un’attività professionale ex artt. 2229 e ss. c.c. perché non è finalizzata alla consecuzione di un compenso;
2) che il Servizio Sanitario Nazionale è organizzato su base territoriale, e ciò lega l’Ospedale al territorio del suo bacino di utenza rendendo del tutto peculiare e non assimilabile agli altri rapporti.
Prima di esaminare criticamente questi due argomenti, giova porre le premesse generali che debbono guidare il criterio di lettura delle norme del Codice del Consumo e della disposizione relativa al Foro del Consumatore
La legge delega n. 229 del 2003, dalla quale trae origine il decreto legislativo 6-9-2005 n. 206 (codice di consumo), espressamente chiarisce che il “riassetto” in materia di tutela del consumatore deve avere come scopo fondamentale ed inderogabile quello del “raggiungimento degli obiettivi di tutela del consumatore previsti in sede internazionale” (art. 7 legge 29 luglio 2003 n., 229)
Questo scopo, del resto è formalmente ribadito dall’art. 1 del d.lgs 6-9-2005 n. 206 che, con il titolo “formalità ed oggetto” afferma “nel rispetto della Costituzione ed in conformità ai principi contenuti nei trattati istitutivi della Comunità europea, nel trattato dell’Unione europea, nella normativa comunitaria, con particolare riguardo all’art. 153 del trattato istitutivo della Comunità economica europea , nonché nei trattati internazionali, il presente codice armonizza e riordina le normative concernenti i processi di acquisto e consumo, al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti”
Questa premessa ci conduce ad un primo approdo:
a) il codice di consumo non può contenere norme in contrasto con le esigenze di tutela del consumatore perché eventuali norme in tal senso si porrebbero in contrasto con i precisi limiti della delega ;
b) le norme del codice debbono essere interpretate alla luce dello scopo fissato dalla legge delega, oltre che dell’art. 1 del decreto legislativo.
Approdo, questo, che richiama quello al quale, sia pure in diversa materia (quella del codice delle assicurazioni), è recentemente pervenuta la Corte Costituzionale nella sentenza n. 180/2009 per orientare l’interpretazione della disposizione dell’art. 149, nella parte in cui prevede la possibilità del danneggiato da sinistro stradale di rivolgere al proprio assicuratore la domanda risarcitoria (sul punto si rinvia alla sentenza della Corte Costituzionale riprodotta nel sito ed al relativo commento della redazione).
Ora, è certo che la norma dell’art. 33 del decreto n. 206 sul foro del consumatore deve considerarsi di favore per il consumatore posto che è la stessa norma che rivela la sua funzione di tutela del consumatore qualificando vessatoria la clausola di deroga, perché produttiva di “un significativo squilibrio dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto”.
Questa norma, dunque, deve essere interpretata proprio alla luce dei principi enunciati in premessa ed è alla luce di questi principi che deve essere sviluppata l’indagine sulla effettiva portata del codice del consumo, in generale, e dell’art. 33 in particolare, per stabilire se questi possano riferirsi anche agli utenti di servizi pubblici, a quelli delle aziende pubbliche che rendono servizi sanitari, alle cliniche private convenzionate.
Il punto, per i profili generali di applicabilità del codice ai rapporti di utenza di servizi pubblici, è già correttamente risolto positivamente proprio nella ordinanza n. 8093 del 2009.
La soluzione, del resto, si pone nella linea tracciata dalla ordinanza n. 20 del 2009 in controversia promossa da paziente contro casa di cura privata convenzionata e, sia pure con minore evidenza, in linea con la regula iuris che governa l’ ordinanza 4745/09 nella quale si è chiarito che la disposizione di tutela del consumatore dettata dall’art. 33 comma secondo lett. u) del codice di consumo si applica al contratto tra consumatore e professionista, nessuno escluso, che abbia per oggetto un servizio offerto dal professionista di cui il consumatore sia ammesso a fruire su base contrattuale posto che lo specifico riferimento ad alcune categorie di contratti contenuta nel codice di consumo è meramente esemplificativa e non ha dunque lo scopo di limitare il campo di efficacia della legge.
Ma l’ordinanza n. 8093 pone dei paletti che limitano la portata del principio generale perché richiede, per i rapporti di utenza con strutture pubblico del servizio sanitario (ed anche con cliniche private convenzionate), la verifica di compatibilità delle singole norme del codice del consumo con la peculiarità del rapporto.
Essa così ammette che la persona che fruisce della prestazione sanitaria di una struttura ospedaliera pubblica (o anche di una struttura privata convenzionata) è utente ai sensi dell’art. 3 lett. a) anche quando paga solo il ticket, ma dubita che la struttura ospedaliera, ossia l’ente, sia esso pubblico o privato (nei casi per questo, di rapporti in convenzione), possa considerarsi imprenditore/professionista, facendo così mancare uno dei pilastri che essa reputa fondamentali per l’applicazione della disposizione dell’art. 33 del codice di consumo, che si riferisce ai rapporti contrattuali tra i consumatori e il professionista e nega poi che la regola sulla competenza possa comunque estendersi per analogia alle controversie tra l’utente del servizio della struttura ospedaliera pubblica sostenendo che la posizione dell’utente della struttura pubblica non può essere assimilata a quella del consumatore di cui alla lettera U) dell’art. 33, a causa della organizzazione territoriale delle aziende pubbliche ospedaliere.
Poiché l’ordinanza non prende posizione sulla natura negoziale (contratto) della fonte del rapporto (che il consigliere relatore invece aveva negato nella sua relazione affermando che, in quanto utente di un servizio obbligatorio, cioè di una prestazione dovuta per legge, il paziente usufruisce del servizio indipendentemente dalla formalizzazione di un contratto al di fuori di un rapporto contrattuale e senza pagamento di un corrispettivo), il compito di questo primo commento è solo quello di verificare il livello di condivisibilità dei due argomenti che sostengono la decisione.
Cominciamo dal primo capovolgendo l’ordine logico dato nell’ ordinanza: l’azienda ospedaliera non è un “professionista” nel momento in cui eroga il servizio sanitario all’utente perché non agisce con criterio di economicità.
Si tratta di un’ affermazione veramente originale!
Nell’art. 3 si chiarisce che “Ai fini del presente codice ove non diversamente previsto”, si intende per consumatore o utente la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta e per professionista la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.
Si è osservato che l’uso dei due aggettivi, imprenditoriale o professionale, per qualificare l’attività del professionista, non ha valore pleonastico ma al contrario implica che la nozione di imprenditore o di professionista intellettuale restino rigorosamente distinte se non addirittura contrapposte in assonanza, del resto, con le norme del codice civile che, nel libro V riferisce l’aggettivo professionale sia alle attività imprenditoriali sia a quelle intellettuali., purchè organizzate in modo abituale.
Ma quello che qui interessa è che l’ordinanza, in definitiva, nega all’Azienda Ospedaliera la qualifica di professionista/imprenditore.
Par di comprendere che tale qualifica venga negata non alla attività dell’Ente complessivamente considerata ma solo alla parte di attività relativa alla erogazione del servizio pubblico di assistenza sanitaria.
Se questa è la corretta lettura della ordinanza, la osservazione critica che affiora subito è che l’Azienda Ospedaliera è organizzata per la resa complessiva del servizio di assistenza e cura di ammalati che allo stesso ricorrono; l’idea di distinguere i diversi segmenti della attività è davvero opinabile dato che unica è la struttura, unica è l’organizzazione, unico è il bilancio economico.
Difficilmente condivisibile la conclusione alla quale approda la Corte anche se dovesse ritenersi che ha correttamente considerato l’attività dell’Ospedale nel suo complesso.
Non si accorge la Corte che le Aziende Ospedaliere, anche quando sono strutture della ASL, sono oggi enti pubblici tenuti ad operare con criteri imprenditoriali e per ciò stesso di tendenziale economicità.
Infatti le più recenti disposizioni legislative in materia sanitaria tendono verso una vera e propria aziendalizzazione della pubblica amministrazione e ad una trasformazione della funzione amministrativa da “Potere” a “Servizio” ed il servizio pubblico (a prescindere dal soggetto erogatore) è oggi esercitato, per espressa disposizione di legge, secondo criteri imprenditoriali e di economicità anche quando ha ad oggetto prestazioni contrassegnate da un rilevante interesse collettivo ed effettuate in favore del cittadino-utente che ne faccia richiesta.
Principio di economicità, questo, che, contrariamente a quanto si afferma nella sentenza della Corte di Cassazione , deve essere operante anche per le aziende Ospedaliere delle ASL , che svolgono la loro attività, per la resa del servizio sanitario, senza poteri autoritativi, ma in condizioni di parità e di concorrenza con le analoghe aziende private.
In tal senso, e con specifico riferimento alle ASL, l’art. 3 comma 1 bis del D. Lgs. N. 502 del 1992 (comma aggiunto dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 e successivamente così modificato dall’art. 1, D.Lgs. 7 giugno 2000, n. 168) che testualmente dispone: “In funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale; la loro organizzazione ed il funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e criteri previsti da disposizioni regionali. L’atto aziendale individua le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica”.
Nello stesso senso il successivo art. 4 del D. Lgs. cit. che, al comma 8, impone alle Aziende Ospedaliere di chiudere il proprio bilancio in pareggio, se non vogliono correre il rischio della revoca dell’autonomia aziendale e del commissariamento.
Ed ancora, la ratio della normativa sui L.E.A. è tutta basata sul rispetto del rapporto costo/beneficio, escludendosi appunto dai L.E.A. le prestazioni che hanno un bilancio costo/beneficio sfavorevole.
Del resto le stesse Aziende Ospedaliere si definiscono, nei loro atti aziendali, come delle vere e proprie imprese pubbliche come può riscontrarsi, ad esempio, tanto per citarne una, negli atti aziendali di molti Policlinici Universitari (estraibili dai loro siti web) ove testualmente si recita: “L’azienda ha personalità giuridica pubblica ed è dotata di autonomia imprenditoriale”.
A questo punto la questione che avrebbe meritato l’attenzione della Corte sarebbe stata non quella del carattere professionale/imprenditoriale della attività delle Aziende Ospedaliere pubbliche, che, per quanto detto, non sembra possibile negare, ma quello della applicabilità a questa categoria di imprese del Codice del consumo e della disposizione dell’art. 33 sul foro del consumatore.
Questione, questa, alla quale la ordinanza della Corte indirettamente risponde con il riconoscere l’applicabilità delle norme del codice di consumo nei limiti di compatibilità con le peculiari caratteristiche dell’ente pubblico.
Si comprende così che il vero motivo della decisione della Corte è quello della asserita incompatibilità tra l’organizzazione territoriale delle ASL. operanti a mezzo delle Aziende ospedaliere e delle Cliniche private in convenzione) e la regola del foro del consumatore.
Vi è subito da dire che l’approdo della Corte (se si considera acclarato il carattere professionale/imprenditoriale delle attività dei predetti soggetti pubblici e privati) si rivela palesemente in contrasto con le indicazioni comunitarie.
Già la Commissione Europea aveva ritenuto che la disposizione dell’art. 1469 bis del codice civile, siccome limitativa dell’ambito di operatività della disposizione relativa al foro del consumatore, non fosse in linea con le direttive di tutela del consumatore, che investono ogni contratto tra il consumatore ed il professionista, costringendo l’Italia alla abrogazione della norma ed alla sua sostituzione con la disposizione dell’art. 33.
Si tratta certo di un’indicazione comunitaria relativa al altro aspetto della disciplina.
Ma si tratta di un’indicazione dalla quale affiorava un preciso indirizzo verso la più ampia estensione della tutela.
Tale indirizzo è confermato dalla successiva pronuncia della C. Giust. Ce 27 giugno 2000 nella quale affiora con evidenza che il criterio guida è quello della massima estensione della portata della direttiva di tutela del consumatore nei rapporti con il professionista e l’imprenditore.
Ma il punto di maggiore attenzione rimane quello della estrema debolezza dell’argomento utilizzato dalla Corte per sostenere la inapplicabilità della disposizione: quello cioè della incompatibilità dell’art. 33 lett. u con l’assetto organizzativo delle strutture ospedaliere pubbliche a causa del legame che ne vincola l’attività al territorio, ed, in altri e diversi termini, con la libertà di scegliere l’ospedale pubblico in cui curarsi.
Ciò in quanto non vi è alcun legame al territorio, data la libertà di scelta dell’utente; vi è solo una organizzazione con aziende disseminate nel territorio nazionale né più né meno di quanto avviene nel campo della imprenditoria privata, in cui le più grosse aziende dislocano i loro centri commerciali in relazione alla consistenza del bacino di utenza.
Per non dire degli effetti iniqui della soluzione interpretativa sposata dalla Corte, che sostanzialmente priva l’utente ammalato e bisognoso delle cure adeguate alla sua condizione del vantaggio che il c.d. Foro del Consumatore assicura a tutti gli utenti e consumatori di altri beni e servizi solo perché ha preferito rivolgersi alla struttura sanitaria più adatta alle sue esigenze di tutela della salute.
Ingiustizia che, a causa del notevole divario Nord-Sud nell’assistenza sanitaria (che spesso al Sud non assicura livelli essenziali), accentua il disagio sociale delle popolazioni del Sud nella misura in cui nega tutela proprio all’Utente del Servizio Sanitario che, fra tutti i consumatori-utenti, è quello che maggiormente necessita di ricevere, vicino la propria residenza ed in posizione paritaria con la controparte pubblica, le migliori prestazioni sanitarie all’essenziale fine della tutela del diritto costituzionale inviolabile della salute.
Mario Fantacchiotti
Presidente di Sezione della Corte di Cassazione Componente del Comitato Scientifico dell’Associazione Valore Uomo
Sul tema in generale si rimanda, per la giurisprudenza di merito, a:
Tribunale Napoli 21 maggio 2007 –G.U. Orditura- in La responsabilità civile 11/2007
Tribunale Napoli del 9 giugno 2007 –G.U. Magliulo – in Persona e Danno 01/2009
Per la dottrina:
C. Marseglia Il foro esclusivo derogabile del consumatore in Rivista di dottrina e giurisprudenza n. 6/2009 IPSOA
F. Lucchesi Foro del consumatore: riconosciuta l’applicazione anche al c.d. contratto di spedalità Obbligazioni e Contratti n. 5/2008
G. Schiavone L’osservatorio di merito in Obbligazioni e Contratti n. 4/2008
G. Facci L’osservatorio di merito in La Responsabilità Civile n. 11/2007
L. Delli Priscoli Assicurazione per conto altrui e foro del consumatore in La nuova giurisprudenza civile commentata n. 10/2007 ed CEDAM
.L. Delli Priscoli La tutela del consumatore fra accertamento della non professionalità del suo agire, tutela della concorrenza e affidamento della controparte in Contratto e impresa n. 6/2007 CEDAM L.P. Camoglio Aspetti processuali della tutela del consumatore – Rivista di diritto processuale n. 2/2007 CEDAM
R. Conti Fori dei consumatori fra dogmied interpretazione conforme al diritto comunitario in Il Corriere Giuridico n. 1/2007 IPSOA
L. Racheli Il foro esclusivo del consumatore dopo il codice del consumo in La nuova giurisprudenza civile commentata n. 10/2006 CEDAM.
Qui di seguito si riportano le citate tre Ordinanze della Corte di Cassazione nn. 20, 4745 e 8093
Cass. civ. Sez. III, Ord., 02-01-2009, n. 20
1) la domanda di risarcimento del danno proposta in confronto di un medico allegando che da una prestazione da lui eseguita presso il proprio studio è derivato all’attore un danno deve essere qualificata come domanda fondata su un contratto di prestazione di opera professionale, di cui si fa valere un inesatto adempiment;
2) paziente e medico, e per esso la struttura sanitaria in cui opera, assumono nel contratto di prestazione professionale medica le rispettive qualità di consumatore e professionista e la norma del foro del consumatore si applica anche se il contratto non è stato concluso per iscritto ed indipendentemente dal fatto, perciò, che sia stata pattuita per iscritto una clausola sulla competenza;
3) il paziente conseguentemente può proporre la domanda risarcitoria per inadempimento del predetto contratto davanti al foro di propria residenza, sia stato o meno il contratto di opera professionale concluso per iscritto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – rel. Presidente
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
CASA DI CURA VILLA ELISA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato TIGANI ETTORE (avviso postale Viale XXIV Maggio 26 – 89029 Taurianova RC), giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta;
– ricorrente –
contro
S.F., P.M.T., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul figlio minore S.D.;
– intimati –
e contro
COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE RAS – RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 205/2008 del TRIBUNALE DI TREVISO SEZIONE DISTACCATA DI CONEGLIANO, depositata il 20/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/12/2008 dal Presidente e Relatore Dott. VITTORIA PAOLO. E’ presente il P.G. in persona del Dott. RUSSO LIBERTINO ALBERTO. La Corte:
Svolgimento del processo
1. – E’ stata depositata in cancelleria, il 7.10.2008, la relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., che viene riprodotta di seguito:
1. – La società (OMISSIS) ha presentato istanza di regolamento di competenza con ricorso consegnato per la notifica il 17.6.2008 e la cui notifica, in confronto di S.F. e P. M.T. è stata eseguita il 18.6.2008 ed in confronto della Ras ora Allianz il 28 dello stesso mese.
Il ricorso è stato depositato l’11.7.2008.
S.F. e P.M.T. hanno resistito depositando una memoria.
E’ impugnata sentenza, non definitiva, con cui il tribunale di Treviso sezione staccata di Conegliano ha dichiarato la propria competenza per territorio sulla domanda.
La sentenza è stata depositata il 20.5.2008;
2. – La sentenza è stata pronunciata su domanda di condanna al risarcimento del danno per responsabilità professionale medica, proposta con citazione notificata il 18.11.2006.
Gli attori, nella citazione, hanno narrato di risiedere a Conegliano, dove avevano trasferito la loro residenza, dalla (OMISSIS), dopo i fatti che hanno dato origine alla causa.
La domanda è stata proposta deducendo che in occasione del parto, il figlio Domenico ha subito lesioni che lo hanno reso completamente invalido e ciò a causa della negligente condotta dei sanitari e dell’inadeguato apparato strutturale organizzativo della casa di cura della società (OMISSIS), dove il parto è avvenuto.
La società convenuta si è costituita tempestivamente e nella comparsa di risposta ha sollevato eccezione di incompetenza per territorio, indicando come competente il tribunale di Palmi, sede della società e dove i fatti sono accaduti.
La stessa eccezione è stata reiterata dalla società Ras, chiamata in causa dalla convenuta.
L’eccezione è stata rigettata.
Il tribunale ha affermato che la competenza sulla domanda deriva dall’applicazione di quanto disponeva l’art. 1469 bis c.c., comma 3, n. 19, ed ora dispone l’art. 33, comma 2, lett. u), del codice del consumo, di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206. 3. – La ricorrente chiede che la questione di competenza sia decisa statuendo che la competenza spetta al tribunale di Palmi in base agli artt. 19 e 20 c.p.c., che assume siano stati violati.
Il ricorso svolge quattro motivi, che si concludono ciascuno con la esposizione di un quesito di diritto.
4. – Sulla questione di competenza la Corte, se condividerà i principi di diritto di seguito espressi, potrà statuire nel senso che essa spetta al tribunale di Treviso sezione staccata di Conegliano.
5.1. – Il primo quesito è stato così formulato:
– Se può il tribunale dichiararsi competente per territorio quale Giudice del luogo di residenza del consumatore, nonostante la palese fondatezza dell’eccezione di incompetenza ritualmente e l tempestivamente sollevata ai sensi degli artt. 19 e 20 c.p.c., con riferimento al luogo in cui ha sede la persona giuridica convenuta ed a quello in cui è sorta e doveva essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio, sul presupposto che il D.Lgs. n. 265 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), istituisca un foro esclusivo speciale.
La risposta a tale quesito sta nel principio di diritto – noto alla ricorrente – enunciato da questa Corte a sezioni unite nella sentenza 1 ottobre 2003 n. 14669, di lì in poi applicato in modo costante dalla giurisprudenza della stessa Corte, sino a Cass. 6 settembre 2007 n. 18743. 5.2. – Questa la formulazione del secondo quesito:
– Se può il tribunale ritenere sussistente il foro esclusivo del consumatore ex art. 33 comma, 2 lett. u), del Codice del consumo, in deroga agli ordinari criteri di individuazione della competenza per territorio indicati dall’art. 18 c.p.c. e ss., nel caso di obbligazione insorta nell’ambito di un’attività non commerciale e/o non operante nei canali distributivi di massa, ancorchè esercitata con i caratteri della professionalità, e dunque al di fuori di un rapporto di consumo.
Il principio di diritto in base al quale dare risposta al quesito è il seguente.
La domanda di condanna al risarcimento del danno proposta in confronto di un medico allegando che da una prestazione da lui eseguita presso il proprio studio è derivato all’attore un danno, deve essere qualificata come domanda fondata su contratto di prestazione d’opera professionale, di cui si fa valere un adempimento inesatto.
Il paziente può proporre la domanda davanti al foro della propria residenza, sia stato o no il contratto di prestazione di opera professionale concluso per iscritto: ciò, in base all’art. 1469 bis c.c., commi 1 e 3, n. 19), se la domanda è stata proposta prima della entrata in vigore del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e di tale decreto art. 33, commi 1 e 2, lett. u), se proposta dopo.
Paziente e medico e per esso la struttura sanitaria in cui opera, assumono, nel contratto di prestazione d’opera professionale medica, le rispettive qualità di consumatore e professionista e la disposizione dettata dalle disposizioni richiamate si applica anche se il contratto non è stato concluso per iscritto ed indipendentemente perciò dal fatto che sia stata pattuita per iscritto una clausola di proroga della competenza.
Invero, il D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 1, nel delineare le condizioni di applicazione delle norme generali sui contratti del consumatore – se letto alla stregua delle definizioni contenute nell’art. 3, non esclude da tale ambito contratti che pur intervenendo tra un consumatore ed un professionista non abbiano natura di contratti di massa.
La natura del bene o servizio dedotto in contratto assume rilevanza – a norma dell’art. 33, comma 4, a art. 33, comma 6, e dell’art. 34, comma 1, al diverso fine di condizionare o limitare l’applicabilità di talune previsioni contenute nell’art. 33, ovvero a fini di valutazione della vessatorietà della clausola contrattuale.
Rientra dunque nell’ambito di applicazione delle norme di disciplina dei contratti del consumatore quello avente ad oggetto prestazioni proprie della professione medica, conclusi con la struttura sanitaria in cui il medico opera.
5.3. – Il quesito che conclude il terzo motivo di ricorso è il seguente:
– Se può il tribunale dichiarare la propria competenza del D.Lgs. n. 265 del 2005, ex art. 33, comma 2, lett. u), quale Giudice del luogo di residenza del consumatore, quando l’attore abbia implicitamente rinunciato a valersi del foro esclusivo al momento della introduzione della lite ed abbia dedotto ed allegato la sussistenza dei relativi presupposti solo nel corso della udienza di trattazione.
Nell’illustrazione del motivo è sostenuta la tesi che l’attore deve indicare nell’atto introduttivo le ragioni della scelta del foro da lui compiuta e non ne possa dare giustificazione in risposta alla eccezione del convenuto.
La tesi sostenuta non appare fondata.
L’attore non ha onere di dichiarare le ragioni della scelta di adire un determinato foro: se le indica, nel caso di foro derogabile, l’effetto che ne deriva è di delimitare a quelle sole ragioni l’onere del convenuto, che, eccependo l’incompetenza del Giudice adito ed indicando la competenza di un diverso foro, ha altrimenti l’onere di contestare la scelta dell’attore in rapporto a ciascuno dei fori pertinenti alla domanda.
Se la domanda trae origine da un contratto tra professionista e consumatore ed è proposta da questi; siccome pertinente criterio di collegamento della competenza è quello del luogo della sua residenza o del domicilio eletto nel contratto; quand’anche tale residenza o domicilio non siano dichiarati nell’atto introduttivo; essendo questo il pertinente criterio di collegamento delle cause del consumatore, che l’attore può quindi scegliere, spetta al convenuto contestare che il convenuto abbia lì residenza o domicilio e, per il caso che il consumatore risulti non aver agito davanti al proprio foro, il convenuto professionista dovrà contestare anche che il foro adito sia competente in base ai criteri previsti dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c..
Ne risulta il seguente principio di diritto.
Non avere il consumatore indicato nell’atto introduttivo di avere scelto il foro adito appunto in quanto foro di sua residenza o domicilio, non significa che egli abbia rinunciato a valersene.
Una volta sollevata l’eccezione dal convenuto ed estesa l’eccezione a contestare il foro adito come foro di residenza o domicilio eletto del consumatore, spetterà all’attore, e ne avrà la possibilità nel rispetto dell’art. 183 c.p.c., di produrre i documenti che ritenga idonei a dimostrare i presupposti di fatto del collegamento tra domanda e foro adito.
Ciò che risulta sia avvenuto.
5.4. – Il quarto motivo si conclude col seguente quesito di diritto:
– Se può il Giudice ritenersi competente quale foro esclusivo i del consumatore ritenendo che, ai sensi del D.Lgs. n. 265 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), il criterio di collegamento sia da individuare nel luogo di residenza del consumatore al momento dell’instaurazione della lite anzichè in quello di residenza al momento in cui è sorta o doveva essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio.
Al quesito si può dare risposta in base al seguente principio di diritto: – L’art. 33, lett. u), del Codice del consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) si interpreta nel senso che la residenza del consumatore cui la norma ha riguardo è quella che lo stesso ha al momento della domanda e non quella che egli aveva al momento della conclusione del contratto che ha dato origine alla domanda. Tuttavia, il giudice adito dal consumatore può riconoscere il proprio difetto di competenza se accerti che lo spostamento di residenza del consumatore sia stato fittizio o compiuto al solo fine di radicare colà la lite.
Ciò per queste considerazioni.
5.4.1. – La disposizione dettata dal D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), ciò di cui la ricorrente non dubita – individua nella residenza del consumatore od alternativamente nel domicilio da lui eletto nel contratto, il foro delle controversie che traggono origine dai contratti del consumatore, prescindendo così dalla posizione che le parti assumono nella causa.
5.4.2. – Siccome si tratta di norma sul processo, lo stato di fatto rilevante è in linea di principio, rispetto alla residenza, quello in essere alla data della domanda.
5.4.3. – La disciplina della competenza interna che si trae dall’art. 33 del codice del consumo, così interpretata, rispecchia quella stabilita, per la competenza giurisdizionale, dall’art. 16, comma 1, del Regolamento (Ce) 44/2001 e già dall’art. 14, comma 1, della Convenzione di Bruxelles e, in forza del richiamo operato dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 3, comma 2, a proposito delle domande proposte davanti al Giudice italiano in confronto di convenuti non domiciliati nel territorio di uno Stato cui si applica la disciplina comunitaria appena richiamata.
5.4.4. – L’ancoraggio del foro allo stato di fatto esistente al momento della conclusione del contratto, anzichè a quello della domanda – opzione interpretativa prospettata dalla ricorrente – non consentita nè dalla natura nè dalla lettera della norma, contrasta con la ragione che è al fondo della disposizione, che è quella di mettere il consumatore nella condizione di richiedere la tutela giudiziaria là dove è per lui più agevole, ovverosia nel luogo in cui risiede.
5.4.5. – Il limite per cui il foro delle cause del consumatore, in tutti i casi in cui il consumatore cambia in seguito il luogo della sua residenza, anzichè essere riferito alla data della domanda, andrebbe riferito alla data in cui è concluso il contratto della cui esecuzione si discute, finirebbe col dare rilievo, come criterio di collegamento della competenza, ad un luogo che può non coincidere nè col foro del convenuto nè con quello di conclusione del contratto.
5.4.6. – La circostanza che il luogo di residenza sia stato spostato in coincidenza temporale con l’inizio della causa e per converso a distanza di tempo dai fatti che hanno dato origine alla controversia può giustificare nel caso concreto un accertamento di abuso del processo e giustificare una dichiarazione di difetto di competenza a favore del Giudice della precedente residenza.
Ma non è stato dedotto che lo spostamento di residenza sia stato compiuto in funzione del radicare la causa davanti al Giudice poi adito.
6. – Le considerazioni svolte nella memoria dei resistenti circa l’incompletezza dell’eccezione di competenza dovrebbero restare assorbite.
2. – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte nè le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. – Il collegio, esaminati gli scritti delle parti e la relazione, ha condiviso di questa gli argomenti e la soluzione.
A proposito degli argomenti svolti al punto 5.4. e successivi il collegio considera che nello stesso senso la sezione ha deciso con la ordinanza 26 settembre 2008 n. 24257. 2. – E’ dichiarata la competenza del tribunale di Treviso sezione distaccata di Conegliano.
Per la riassunzione è assegnato il termine di tre mesi dalla comunicazione della presente ordinanza.
3. – Sulle spese di questa fase del giudizio provvedere in sede di decisione della causa il tribunale dichiarato competente. P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Treviso sezione distaccata di Conegliano; assegna per la riassunzione il termine perentorio di tre mesi della comunicazione della presente ordinanza;
rimette al tribunale dichiarato competente di provvedere sulle spese di questa fase del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2008.
Depositato in cancelleria il 2 gennaio 2009
Cass. civ. Sez. III, Ord., 26-02-2009, n. 4745
la disposizione di tutela del consumatore dettata dall’art. 33 comma secondo lett. u) del codice di consumo si applica al contratto tra consumatore e professionista, nessuno escluso, che abbia per oggetto un servizio offerto dal professionista di cui il consumatore sia ammesso a fruire su base contrattuale posto che lo specifico riferimento ad alcune categorie di contratti contenuta nel codice di consumo è meramente esemplificativa e non ha dunque lo scopo di limitare il campo di efficacia della legge.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – rel. Presidente
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 12349/2007 proposto da:
F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato LIGUORI Michele, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del libello introduttivo del 16.1.2006 e, ad abundantiam, a margine del ricorso per regolamento di competenza;
– ricorrente –
contro
CALA PARK SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3395/2005 del TRIBUNALE di NAPOLI del 21.3.07, depositata il 26/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/01/2009 dal Presidente e Relatore Dott. PAOLO VITTORIA;
per il ricorrente è solo presente l’Avvocato Michele Liguori.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. Giovanni SALVI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
La Corte:
Svolgimento del processo
1. – F.P. ha impugnato con ricorso per regolamento di competenza la sentenza 26 marzo 2007, con cui il Tribunale di Napoli ha dichiarato il proprio difetto di competenza per ragioni di territorio ed ha indicato il tribunale di Paola quale giudice competente a conoscere della domanda che il ricorrente aveva proposto contro la società Cala Park s.r.l. con la citazione 16 gennaio 2006.
Il ricorso è stato notificato il 20.4.2007.
La società Cala Park non ha depositato memoria.
Sono state chieste le conclusioni del Pubblico Ministero, che le ha presentate esprimendosi per l’accoglimento del ricorso, in base al suo secondo motivo, con dichiarazione di competenza del tribunale di Napoli.
Il ricorrente ha presentato una memoria.
Motivi della decisione
1. – La competenza per ragione di territorio a pronunciare sulla domanda spetta al tribunale di Napoli.
2. – L’attore ha adito quel tribunale proponendo in confronto della Cala Park una domanda di condanna al risarcimento dei danni.
Ha sostenuto d’essere rimasto vittima di un infortunio all’interno del parco giuochi gestito dalla società, mentre usava di un impianto di acquascivolo.
Come ha rilevato il Pubblico Ministero nelle sue conclusioni scritte, dei due motivi proposti con il ricorso è fondato il secondo.
L’attore ha adito il tribunale di Napoli, in quanto foro del consumatore, ma il giudice ha negato che nel caso la norma dettata dall’art. 33, comma 2, lett. u), del codice del consumo (il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) derivata dall’art. 1469 bis c.c., comma 3, n. 19), fosse applicabile al caso.
Ha, in particolare osservato che il contratto intercorso tra le parti non rientrava “nelle categorie prese in considerazione dal codice di consumo, che riguardano settori ben specificati, quali vendite a distanza, multiproprietà, contratti turistici, garanzie di beni di consumo, etichettatura ed altro”.
Come ha osservato il Pubblico Ministero, queste considerazioni non possono essere condivise, perchè le specifiche previsioni relative ad alcune categorie di contratti contenute nel codice di consumo rispondono all’esigenza di apprestare una più forte tutela al consumatore in situazioni di particolare debolezza in cui egli si trova nel concludere dati contratti, ma certamente non limitano l’applicabilità della normativa di tutela del consumatore alle sole categorie di contratti previste dal codice del consumo.
La disposizione di tutela del consumatore dettata dall’art. 33, comma 2, lett. u), del codice del consumo si applica infatti al contratto tra consumatore e professionista e ad ogni contratto, nessuno escluso, che abbia ad oggetto, per quanto interessa qui, un servizio offerto dal professionista, di cui il consumatore è ammesso a fruire su base contrattuale.
D’altro canto è stato allegato e non contestato che l’attore risiedesse alla data della domanda a Napoli.
2. – Il giudizio dovrà quindi essere ripreso davanti al tribunale di Napoli.
Provvedere sulle spese del giudizio di Cassazione è rimesso allo stesso tribunale
Per la riassunzione è assegnato il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del tribunale di Napoli; assegna per la riassunzione il termine di giorni 60 dalla comunicazione della presente ordinanza; rimette al tribunale di provvedere sulle spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2009
Cass. civ. Sez. III, Ord., 02-04-2009, n. 8093
La disciplina di cui all’art. 33, comma 2, lettera u), d.lgs. 7 settembre 2005, n. 206, concernente il foro del luogo di residenza del consumatore, è inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o private operanti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale: sia perché, pur essendo l’organizzazione sanitaria imperniata sul principio di territorialità, l’assistito può rivolgersi a qualsiasi azienda sanitaria presente sul territorio nazionale, sicché se il rapporto si è svolto al di fuori del luogo di residenza del paziente tale circostanza è frutto di una sua libera scelta, che fa venir meno la “ratio” dell’art. 33 cit.; sia perché la struttura sanitaria non opera per fini di profitto, e non può quindi essere qualificata come “imprenditore” o “professionista”. (massima dell’ufficio massimario della Corte di Cassazione)
La disposizione di cui all’art. 101, comma 1, del codice del consumo (d.lgs. 2 settembre 2005 n. 206) non sottrae i diritti dell’utente dal servizio pubblico al suo operare ove, in relazione alla specifica modalità del rapporto di utenza, le norme di tale codice risultino applicabili, ma consente solo allo Stato e alla Regione, nell’ambito delle rispettive competenze, di dettare norme che applichino i principi stabiliti dal codice tenendo conto delle peculiarità del singolo servizio pubblico e delle modalità di espletamento dello stesso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Presidente
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
D.S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato D’AMICO DOMENICO (avviso via fax (OMISSIS)), giusta procura speciale a margine dell’originale dell’atto di citazione;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA DI (OMISSIS) in persona del suo legale rappresentante pro tempore Direttore Generale Dott. O.W., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CALAMATTA 27, presso lo studio dell’avvocato GRECO LUIGI (avviso via fax (OMISSIS)), che la rappresenta e difende, giusta deliberazione del Direttore Generale n. 575 del 16.4.2008, e giusta procura speciale in calce alla memoria difensiva;
– resistente –
avverso la sentenza n. 317/2008 del TRIBUNALE di BENEVENTO del 26.2.08, depositata il 27/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2009 dal Consigliere Relatore Dott. FRASCA RAFFAELE;
udito per il resistente l’Avvocato GRECO Luigi, che si riporta alla memoria.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. Giovanni SALVI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
Svolgimento del processo
D.S.L. ha proposto istanza di regolamento di competenza avverso la sentenza del 27 febbraio 2008, con la quale il Tribunale di Benevento – da lui investito di una controversia contro l’Azienda Ospedaliera di (OMISSIS), per ottenere l’accertamento della responsabilità del personale medico dipendente di detta azienda nell’esecuzione di un intervento chirurgico e, conseguentemente, la condanna della medesima al risarcimento dei danni sofferti per le lesioni ad esso conseguenti, in conseguenza alla sua persona – ha dichiarato, sull’eccezione di incompetenza territoriale formulata dall’Azienda convenuta, la propria incompetenza territoriale e la competenza sulla controversia del Tribunale di Perugia.
All’istanza di regolamento ha resistito con memoria l’Azienda Ospedaliera di (OMISSIS). p.2. Essendo il ricorso soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, in ragione dell’epoca di pronuncia del provvedimento impugnato, ed essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento di cui all’art. 380 – bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.
La resistente ha depositato memoria ed il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni scritte.
Motivi della decisione
La relazione ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ha avuto il seguente tenore:
– Il ricorso prospetta tre motivi, corredati ognuno da corrispondenti quesiti di diritto.
Con il primo si sostiene che l’Azienda convenuta avrebbe rinunciato all’eccezione di incompetenza, in quanto nella seconda comparsa conclusionale depositata in funzione della decisione del Tribunale avrebbe espressamente formulato la seguente precisazione: “nella consapevolezza dell’orientamento espresso da ultimo da Cass. Civ. Sezioni Unite con sentenza n. 11.01.2008, n. 577 si rimette a Giustizia in relazione alla eccezione di incompetenza per territorio come sollevata in atti”. Il Tribunale avrebbe omesso di considerare la rinuncia, che, stante il carattere derogabile della competenza del Tribunale di Perugia, invocata sotto il profilo del foro generale della convenuta e dei fori facoltativi di cui all’art. 20 c.p.c., avrebbe determinato adesione alla competenza beneventana.
Il motivo parrebbe infondato, atteso che l’espressione che avrebbe integrato la rinuncia all’eccezione non appare logicamente idonea in questo senso, giacchè il “rimettersi a giustizia” è soltanto evocativo del normale ufficio del giudice, che è appunto quello di rendere giustizia (secondo ciò che prescrive la volontà astratta dell’ordinamento in relazione alla fattispecie concreta).
Con il secondo motivo si denuncia “illegittimità ed infondatezza in diritto della sentenza declinatoria della competenza (….) per violazione e/o mancata applicazione dell’art. 1469 – bis c.c., comma 3, n. 19 e del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, lett. u)”, sotto il profilo che al ricorrente dovrebbe riconoscersi la qualifica di “consumatore” o “utente” di cui all’art. 3 del detto D.Lgs. ed alla convenuta quella di “professionista” ai sensi della stessa fonte legislativa, di modo che il foro di Benevento, luogo di residenza dell’istante sarebbe stato quello applicabile alla controversia ai sensi dell’art. 33 citato.
In relazione a tale motivo si prospetta il seguente quesito di diritto: “all’utente della prestazione sanitaria resa da una Azienda Ospedaliera Pubblica con oneri a carico del Servizio Sanitario nazionale, è applicabile la disciplina legislativa del consumatore (….) e quindi è applicabile il principio del foro generale della residenza o del domicilio del consumatore ovverosia della competenza territoriale esclusiva del Giudice del luogo in cui l’utente – consumatore ha la propria residenza o il proprio domicilio elettivo, ex art. 1469 bis, comma 3, n. 19 e art. 33, comma 2, lett. u) codice del consumo?”.
Questi gli argomenti a sostegno.
In primo luogo, avrebbe rilievo il carattere contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria anche pubblica, siccome affermato dalla recente Cass. sez. un. n. 577 del 2008 (nonchè da numerose altre decisioni della Corte, che vengono parimenti citate).
In secondo luogo, si deduce l’inesattezza dell’affermazione del Tribunale di Benevento, secondo cui la particolarità del rapporto fra paziente e struttura ospedaliera, con oneri a carico del S.S.N., giustificherebbe l’inapplicabilità delle disposizioni sul rafforzamento della posizione del consumatore nella fase negoziale, “perchè trattandosi di erogazione di un servizio pubblico, non è l’utente che paga la prestazione e non può definirsi consumatore”.
L’inesattezza viene sostenuta invocandosi il principio di diritto espresso da Cass. n. 369 del 2007 in ordine al riconoscimento della posizione di consumatore del terzo beneficiario della polizza assicurativa, nonchè la pregressa ord. n. 235 del 2004 della Corte costituzionale sulla stessa questione. Di tale principio si invoca l’estensione analogica alla posizione dell’utente del servizio Sanitario nazionale, perchè anche costui, come il detto beneficiario, non sopporta il costo del servizio.
In terzo luogo, si asserisce l’inesattezza dell’argomento prospettato dal Tribunale sulla base del D.Lgs. 206 del 2005, art. 101, là dove prevede una norma di rinvio a proposito dei servizi pubblici, per sottrarre l’azienda sanitaria pubblica all’operatività del foro del consumatore. L’inesattezza discenderebbe dal fatto che a seguire il ragionamento del Tribunale anche quando la prestazione sia erogata da un’azienda sanitaria privata, trattandosi sempre di un pubblico servizio, dovrebbe valere detta sottrazione.
In quarto luogo si prospetta che darebbe luogo ad un risultato lesivo del principio costituzionale di eguaglianza l’escludere l’operatività del foro del consumatore nel caso di prestazione resa da una azienda ospedaliera pubblica con oneri a carico del S.S.N. ed ammetterla invece a favore di chi, avendo disponibilità economiche, si rivolga ad una struttura privata a proprie spese. p.3.1.1.
Il motivo parrebbe infondato.
Premesso che esso dev’essere scrutinato alla stregua del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), (c.d. codice del consumo), atteso che la norma codicistica invocata è venuta meno, si deve anzitutto rilevare che in punto di soggezione dell’utente di un servizio pubblico alle disposizioni di tale codice, il tessuto normativo di quest’ultimo contiene soltanto due riferimenti a tale tipo di utente. Il primo è contenuto nell’art. 2, comma 2, lett. g) là dove si riconosce come diritto fondamentale ai consumatori e agli utenti quello “all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”. Il secondo è espresso nell’intitolazione del Titolo quinto del D.Lgs. che è alla “erogazione di servizi pubblici”, nella intitolazione del Capo primo di cui esso si compone, e nell’art. 101 di cui tale capo consta, il quale, sotto la rubrica “Norma di rinvio”, così dispone: “1. Lo Stato e le regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia. 2. Il rapporto di utenza deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi pubblici. 3. Agli utenti è garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi. 4. La legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici l’obbligo di adottare, attraverso specifici meccanismi di attuazione diversificati in relazione ai settori, apposite carte dei servizi.”.
Il coordinamento fra le due norme evidenzia che la seconda – peraltro programmatica ed avente valore, piuttosto che di norma di rinvio a specifiche disposizioni, di norma di rinvio ad una produzione (legislativa?) di Stato e Regioni – nelle intenzioni del legislatore delegato vuole solo indicare taluni criteri di realizzazione normativa (appunto affidati alle competenze di Stato e Regioni) del diritto riconosciuto al consumatore in relazione alla erogazione del servizio pubblico dall’art. 2, comma 2.
Viceversa, detto coordinamento, attesa la limitatezza del diritto riconosciuto dall’art. 2, comma 2, lett. g), non evidenzia – come vorrebbe la sentenza impugnata – che in generale il rapporto di utenza con il servizio pubblico sia sottratto automaticamente alla disciplina del D.Lgs.. Se così avesse voluto disporre, il legislatore lo avrebbe dovuto dire in ben diverso modo, cioè con una norma eccettuativa dall’operare della disciplina del D.Lgs. del settore del servizio pubblico. Mentre, come si è visto, la previsione settoriale nei sensi indicati, contenuta nelle due norme, è significativa di una intentio legis non aliena dal considerare il rapporto di utenza con il servizio pubblico come rapporto in linea di massima soggetto all’ambito della disciplina del codice.
L’interprete è, dunque, autorizzato ad un approccio interpretativo diverso da quello adottato dalla sentenza impugnata, cioè ad affrontare il problema dell’operare delle tutele apprestate a favore del consumatore – utente anche a beneficio dell’utente di un servizio pubblico, valutando se le varie disposizioni di cui consta il decreto legislativo siano o meno applicabili, per la loro ratio o sulla base del loro tenore, al rapporto di utenza pubblica.
L’operazione esegetica deve riguardare anzitutto la possibilità che al detto rapporto si possano riferire le definizioni individuate dall’art. 3 del D.Lgs..
In relazione al rapporto fra il cittadino ed il servizio sanitario nazionale (disciplinato in generale dalla L. n. 833 del 1978) in funzione della fruizione di una prestazione sanitaria, in ipotesi ospedaliera, in totale esenzione od anche previo pagamento del cd. ticket, certamente al cittadino-utente si attaglia la definizione di “utente”, di cui alla lettera a) dell’art. 3.
Alla struttura ospedaliera facente capo ai S.S.N., posto che il detto servizio si articola sia attraverso strutture direttamente gestite dalla mano pubblica (e, quindi, da organismi di diritto pubblico, come l’azienda qui resistente), sia attraverso strutture gestite da privati che abbiano ricevuto l’autorizzazione a svolgere il servizio in convenzione, v’è da chiedersi se possa attagliarsi la definizione di “professionista”, di cui all’art. 3, lett. e). La risposta all’interrogativo parrebbe certa nel caso delle seconde, perchè esse, sulla base della convenzione, agiscono come soggetti imprenditoriali (che, cioè, perseguono un proprio utile), mentre è dubitativa riguardo alle prime. Anche se l’interprete subisce certamente la suggestione della configurabilità dell’attività delle strutture di mano pubblica pur sempre come attività “professionale”, il che potrebbe giustificare che esse siano comprese nella definizione di “professionista”.
La questione all’esame, dunque, non pare poter essere risolta sulla base delle definizioni offerte dall’art. 3, che non sono decisive.
Venendo alla disciplina specifica del cd. foro del consumatore di cui all’art. 33, comma 2, lett. u), una volta ipotizzato (come consente l’equivocità del dato dell’art. 3) che nell’uno e nell’altro caso ricorra la figura del professionista, l’interprete si imbatte in un dato che induce decisamente ad escludere che alla controversia, introdotta dal cittadino-utente (che si sia rivolto alla struttura pubblica o a una struttura convenzionata), per ottenere il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dell’inesecuzione o del non corretto adempimento della prestazione richiesta possa applicarsi la norma de qua. Il dato che viene in rilievo è che, perchè la norma della lettera u), citata sopra si applichi, è necessario un presupposto. Lo fanno manifesto sia l’intitolazione del titolo primo della parte terza (intitolata al Rapporto di consumo), che è “Dei contratti del consumatore in generale”, sia la stessa rubrica “Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore”. Questo presupposto è rappresentato dal “contratto” fra professionista e consumatore.
Ebbene, poichè il rapporto fra il cittadino-utente che si rivolga alla struttura sanitaria pubblica per ottenere una prestazione, se del caso ospedaliera, o ad una struttura convenzionata in totale esenzione o previo pagamento di ticket non si può qualificare come contratto, trattandosi soltanto dell’adempimento di un dovere di prestazione direttamente discendente dalla legge, automaticamente attivato dalla richiesta del cittadino-utente, manca il presupposto per l’applicabilità della lett. u). Questa sembra essere la ragione determinante dell’esclusione di tale applicabilità. Mancando il contratto non si può giustificare l’applicazione del foro del consumatore, che il contratto presuppone. Il cittadino che chiede una prestazione in esenzione o con ticket al Servizio Sanitario Nazionale esercita in sostanza un diritto soggettivo pubblico riconosciutogli direttamente dalla legge e che la legge stessa prevede debba essere soddisfatto a richiesta dall’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale o direttamente o attraverso le strutture in convenzione, imponendo essa stessa la relativa prestazione. Il rapporto che si instaura con la struttura sanitaria pubblica o convenzionata rappresenta l’attuazione (che ha titolo direttamente nella legge) di questo obbligo di prestazione e non suppone la stipula, nemmeno tacita, di un contratto. In altri termini, quando il cittadino-utente si rivolge alla struttura sanitaria pubblica o in convenzione, la ricezione della sua richiesta e la conseguente attivazione della struttura non danno luogo alla conclusione, nemmeno per fatto concludente, di un contratto, ma realizzano soltanto l’attuazione dell’obbligazione della mano pubblica di fornire il servizio. Tale attuazione non avviene mediante la riconduzione del rapporto allo schema del contratto, del quale non solo non vi sono i presupposti giustificativi a livello normativo (atteso che non si prevede alcunchè che sia in qualche modo riconducibile alla figura della stipulazione di un accordo contrattuale), ma neppure vi sono i presupposti fattuali che potrebbero comunque fare emergere la figura del contratto, nei contorni seppure sfumati che essa ha nel momento storico attuale. Si potrebbe pensare che tali presupposti sussistano sub specie della figura dell’obbligo a contrarre, ma si tratterebbe di prospettiva erronea, perchè ciò che la legge direttamente impone non è qui l’obbligo di contrattare, bensì una prestazione, che è l’oggetto del diritto soggettivo del cittadino-utente.
In proposito è a questo punto necessaria una precisazione.
La conclusione che nega la ricorrenza del contratto non è in alcun modo configgente con la comune ed ormai acquisita qualificazione come contrattuale della responsabilità della struttura ospedaliera anche pubblica, evocata con insistenza dalla parte istante, e presente da tempo nella giurisprudenza della Corte. Tale affermazione, infatti, non sottende (vedi, peraltro, a quel che consta, Cass. n. 8826 del 2007, in diverso senso) che quando ci si rivolge alla struttura del Servizio Sanitario nazionale o ad una struttura convenzionata si stipuli un contratto, ma vuole significare che la cattiva esecuzione della prestazione da luogo a responsabilità contrattuale nel senso di responsabilità nascente dall’inadempimento di un obbligo preesistente o dalla sua cattiva esecuzione e non nel senso di responsabilità per inadempimento di un contratto o per la sua cattiva esecuzione. Il concetto di responsabilità contrattuale, cioè, viene usato nel senso non già di responsabilità che suppone un contratto, ma nel senso – comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale – di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, che nella specie sta a carico della struttura del Servizio Sanitario Nazionale. La lettura delle motivazioni, anche al di là di quanto sembra talvolta suggeriscano le massime, evidenzia che la Corte (salvo appunto la sentenza sopra citata) non ha qualificato il rapporto che sorge dall’accettazione della richiesta da parte della struttura sanitaria del Servizio Sanitario nazionale, direttamente operante o operante in convenzione, come contratto, ma si è sempre soffermata sulla natura della responsabilità, ricorrendo alla figura della responsabilità contrattuale nei sensi indicati.
L’art. 33, comma 2, lett. u), appare, dunque, nella specie inapplicabile.
Il terzo motivo lamenta in fine “irritualità della eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla parte convenuta ex art. 38 c.p.c., comma 2” per non essere stata contestata la competenza del Tribunale di Benevento ai sensi del c.d. foro del consumatore. Tale contestazione sarebbe dovuta avvenire perchè nella citazione si invocava la responsabilità contrattuale dell’Azienda e, quindi, anche il detto foro.
Il motivo è infondato, tenuto che l’onere di contestazione è riferibile alla cd. competenza territoriale derogabile, ma non alla competenza territoriale inderogabile, qual è quella del c.d. foro consumatore (si veda Cass. (ord.) 16557 del 2008 anche per ulteriori riferimenti).
Sembra, dunque, conclusivamente doversi dichiarare la competenza del Tribunale di Perugia.”.
p.2. Il Collegio condivide la soluzione finale indicata nella relazione quanto all’individuazione del giudice competente, ma reputa che la giustifichino considerazioni solo in parte coincidenti con quelle esposte nella relazione in riferimento al secondo motivo. Fra queste, infatti, il Collegio non ravvisa necessario, indipendentemente da ogni valutazione sulla loro correttezza, quelle che hanno fatto leva, per giustificare l’esclusione della invocabilità del cd. foro del consumatore, sul rilievo che non sarebbe sussumibile sotto la figura del contratto la qualificazione del rapporto che insorge quando il cittadino si rivolge direttamente alla struttura sanitaria pubblica o a quella di una azienda sanitaria convenzionata e, dunque, quando richiede una prestazione sanitaria fornita direttamente od indirettamente dal Servizio Sanitario Nazionale. Ancorchè non sembri del tutto sfornito di fondamento il dubbio esposto nella relazione riguardo alla mancanza di una chiara affermazione (salvo la sentenza citata nella relazione) della natura contrattuale della responsabilità delle dette strutture anche quanto alla fonte, deve condividersi la sollecitazione del Pubblico Ministero relativamente all’opportunità che la questione meriterebbe – per la sua indubbia natura di questione di particolare importanza – di essere rimessa alle Sezioni Unite della Corte, perchè sciolgano il dubbio stesso.
Le ragioni che giustificano l’esclusione dell’operatività del c.d. foro del consumatore nella fattispecie all’esame sono le seguenti.
In primo luogo, deve osservarsi che il rapporto fra la posizione dell’utente del servizio pubblico e la disciplina del citato D.Lgs. (c.d. codice del consumo) dev’essere individuato sulla base di una corretta ricostruzione del significato dei due indici normativi già segnalati dalla relazione, presenti nel testo di esso.
La proclamazione dell’art. 2, comma 2, lett. g), richiamata nella relazione, in quanto presente in una norma rubricata “diritti del consumatore” e, quindi, deputata a fornirne una ricognizione, sembra assumere sia l’indubbia valenza di assegnare al consumatore-utente del servizio pubblico il rango di una sottocategoria della categoria del consumatore-utente agli effetti del codice, sia l’ulteriore significato di identificare uno specifico atteggiarsi del diritto del consumatore-utente del servizio pubblico, considerato come tale: la specificità è quella che si esprime ne diritto alla erogazione del servizio pubblico “secondo standard di qualità e di effettività”.
Peraltro, il lettore della norma in questione, se pone in relazione questo specifico diritto con gli altri riconosciuti dalie altre lettere della norma, è subito indotto a concludere che quello della lettera g) non è l’unico diritto riconosciuto all’utente del servizio pubblico, bensì soltanto un diritto aggiuntivo. Sarebbe del tutto illogico che a tale utente non siano riconosciuti quelli previsti dalle altre lettere, come ad esempio il diritto alla salute, che è diritto di diretta derivazione costituzionale, o quello alla sicurezza di prodotti.
Questa conclusione è confermata dalla seconda norma che specificamente considera l’utente del servizio pubblico, l’art. 101.
Essa si autoproclama “norma di rinvio”, ma si tratta di un’autoproclamazione che in realtà non è fedele alla rubrica, posto che non si fa riferimento nel comma 1 alle norme che sarebbero oggetto del rinvio, ma piuttosto si affida allo Stato ed alle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di dettare una normativa. Si tratta, dunque, di una previsione di rinvio ad un potere normativo, quindi, ad una fonte (rinvio formale).
Il rinvio è fatto in funzione della garanzia dei “diritti degli utenti dei servizi pubblici” e questo dato normativo conferma la conclusione che quello di cui all’art. 2, comma 2, lett. g), non sia l’unico diritto riconosciuto all’utente del servizio pubblico e rafforza il convincimento che quest’ultimo è a pieno titolo un utente, cui il codice tendenzialmente può se del caso trovare applicazione. Tale conclusione è ulteriormente rafforzata dal rilievo di quanto emerge dai successivi tre commi.
Il comma 2 della norma, riecheggiando il comma 2, lett. g), assegna al detto potere un contenuto necessario, quello di fissare “standard di qualità predeterminati” in relazione al rapporto di utenza. Il comma 3 garantisce la partecipazione al procedimento normativo di definizione degli standard. Ed il comma 4 affida alla legge il compito di stabilire, per determinati enti erogatori di servizi pubblici, l’obbligo di adottare, con diversificazione rispetto ai vari settori ed correlazione alle loro specificità, “apposite carte dei servizi”, così richiamando un istituto che l’ordinamento conosceva già (si veda il D.L. 12 maggio 1995, n. 163, convertito nella L. 11 luglio 1995 n. 273).
Ora, l’espressa considerazione – nei commi 2, 3 e 4 – del diritto all’erogazione secondo standard di qualità significa che il potere di normazione, cui allude il comma 1, è più ampio e generale, riferendosi esso ai “diritti” dell’utente del servizio pubblico in genere.
Dal comma 1 dell’art. 101 emerge un secondo dato che presenta una certa ambiguità: la proposizione “garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia” si presta. infatti, ad essere intesa: a) sia nel senso di un riferimento ai “principi e criteri della normativa vigente” nella materia dei servizi pubblici, di modo che si sia voluto affidare alla legge statale e regionale il compito di disciplinare i diritti dell’utente del servizio pubblico tenendo conto della peculiarità della disciplina dei vari servizi, nel quale caso si sarebbe voluto sottrarre quella figura di utente alla disciplina del codice pur applicata secondo un criterio di compatibilità con il modo dell’attività del servizio pubblico; b) sia nel senso di un riferimento dei “principi e criteri della normativa vigente” non già alla materia dei servizi pubblici, bensì alla materia dei diritti dell’utente, nel quale caso si sarebbe dato allo Stato ed alle Regioni soltanto il potere di raccordare la disciplina emergente su questa materia e, quindi, in primo luogo dallo stesso codice del consumo alla peculiarità del servizio pubblico.
Se si considera quanto si è detto sopra sull’esegesi dell’art. 2, comma 2, e sulle conseguenze che se ne sono tratte in punto di tendenziale applicabilità all’utente del sevizio pubblico della disciplina del codice, la lettura dell’art. 101, comma 1, che sembra preferibile è senz’altro la seconda. E ciò per un’esigenza di elementare coerenza con quanto desumibile dall’art. 2, comma 2.
Il principio di diritto che allora si può affermare è il seguente:
“L’art. 101, comma 1, del c.d. codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005 non sottrae i diritti dell’utente del servizio pubblico al suo operare ove in relazione alla specifica modalità del rapporto di utenza le norme del codice risultino applicabili, ma consente soltanto allo Stato e alle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di dettare norme che applichino i principi stabiliti dal codice tenendo conto delle peculiarità della disciplina del singolo servizio pubblico e delle modalità con cui avviene il suo espletamento”.
p.3. Affermata, dunque, la tendenziale riferibilità del codice anche all’utente del servizio pubblico, in mancanza di adozione di una specifica normativa da parte dello Stato e delle regioni per gli ambiti di loro rispettiva competenza (normativa che potrebbe esprimersi anche con atti di normazione secondaria), deve ritenersi in linea tendenziale che all’utente del servizio pubblico la disciplina del codice possa applicarsi previo riscontro della idoneità del relativo rapporto ad essere ricondotto sotto le norme del codice del consumo di volta in volta considerate.
E’ a questa stregua che va verificata la compatibilità della norma dell’art. 33, comma 2, lett. u), con la posizione dell’utente del servizio sanitario nazionale quando instauri una controversia inerente la prestazione di tale servizio.
p.3.1. Sotto tale profilo, con riferimento alla posizione dell’utente del servizio sanitario nazionale quando controverta direttamente con l’azienda ospedaliera pubblica (come nel caso di specie), la quale, secondo una delle possibili modalità di fruizione delle prestazioni del servizio sanitario nazionale, gli abbia erogato una prestazione, deve considerarsi che, nella logica del funzionamento del pubblico servizio costituito dal cd. servizio sanitario nazionale, l’erogazione del servizio è garantita attraverso una organizzazione imperniata sul principio di territorialità, cioè nel senso che vi sono tante articolazioni della complessiva organizzazione preposte ognuna ad un certo territorio. La fruizione del servizio, invece, non è, però, necessariamente collegata alla residenza dell’utente se non in via tendenziale, essendovi, com’è noto, la possibilità di beneficiare del servizio, sia pure di solito attraverso un imput che parte dall’articolazione del servizio del luogo di residenza, in una qualsiasi articolazione dell’organizzazione.
Ebbene questo rapporto fra l’organizzazione del servizio, strutturata su base territoriale, ed il diritto alla fruizione da parte dell’utente, che non è ancorato all’articolazione territoriale di residenza, evidenzia una circostanza che pone l’utente, quando si rivolge ad una articolazione diversa dal suo luogo di residenza, in una posizione che non è apparentabile a quella del consumatore di cui alla lett. u) dell’art. 33 citato.
Il collegamento della struttura ad un certo territorio, ove posto in relazione con la libera scelta dell’utente di fruire del servizio al di fuori dell’ambito dell’articolazione del suo luogo di residenza, palesa cioè una situazione nella quale, essendo frutto di una scelta dell’utente fruire del servizio al di fuori dell’ambito riferibile al suo luogo di residenza, il responsabile della radicazione della vicenda all’ambito territoriale della struttura cui si è rivolto è esclusivamente l’utente, il quale, d’altro canto, è pienamente consapevole che l’articolazione cui si è rivolto è predisposta per operare in un certo ambito territoriale.
E’ pertanto, pienamente ragionevole che la vicenda del contenzioso che nasce dall’erogazione del servizio non sia soggetta al foro del consumatore.
A queste considerazione deve aggiungersi – superando i dubbi affacciati nella relazione – che l’azienda ospedaliera pubblica non riveste la qualità di “professionista”, che è essenziale per l’applicabilità della norma de qua. Ciò, perchè l’azienda sanitaria pubblica (anche se oramai sostanzialmente configurabile come un soggetto privato e non pubblico, gestito con criteri manageriali, com’è per la A.S.L.), quando eroga la prestazione non agisce nell’esercizio di un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale, non potendo l’attività che ha permesso di eseguire la prestazione a favore dell’utente considerarsi espressione di attività di quel genere e, quindi, un’attività economica, per l’assorbente ragione che il suo svolgimento deve avvenire senza il necessario rispetto del principio di economicità, atteso che comunque l’erogazione del servizio deve essere assicurata anche se cagiona perdite. L’azienda sanitaria pubblica, dunque, non agisce come un “professionista” alla stregua della nozione fissata dall’art. 3, lett. c) del codice.
Nè può considerarsi che detta attività sia espressione dell’esercizio di una professione, come adombrato dalla relazione: il momento finalistico dell’attività, in quanto essa è diretta all’assicurazione del servizio esclude che si verta in ipotesi di esercizio di una professione ai sensi delle norme degli artt. 2229 c.c. e segg., per l’assorbente ragione che l’attività professionale secondo tali norme è finalizzata alla consecuzione di un compenso.
Neppure potrebbe argomentarsi che professionali sono comunque le attività del personale servente dell’azienda sanitaria, che riceve remunerazione per il loro espletamento: è sufficiente osservare che rispetto al rapporto che si instaura fra l’azienda e l’utente tale remunerazione non viene in evidenza. Ma nemmeno viene in evidenza rispetto al rapporto che si instaura fra il personale dell’azienda e l’utente, secondo la giurisprudenza della Corte che ormai tende a configurare una responsabilità contrattuale (talvolta definita da “contatto”) anche nel rapporto fra l’utente ed il personale sanitario. Onde, l’applicazione del foro di cui all’art. 33, comma 2, lett. u) non potrebbe discendere di riflesso nemmeno sotto tale profilo, cioè per la configurabilità del foro inderogabile almeno rispetto al detto personale. Si è, in sostanza, in presenza di attività professionale, ma non nel senso supposto dall’art. 3, lett. e), il quale, in relazione alla tutela dell’art. 33 in genere suppone che il carattere professionale dell’attività del soggetto “professionista” si ponga in riferimento al contratto stipulato con il “consumatore”.
Alla soluzione dell’inapplicabilità dell’art. 33, comma 2, lett. u) deve pervenirsi anche a proposito di una struttura convenzionata.
Ciò, anzitutto per la ragione che vale l’argomento della territorialità dell’espletamento del servizio e della libera scelta dell’utente di fruirne fuori del suo luogo di residenza. Inoltre, se è vero che essa si presenta come un’azienda diretta a perseguire un utile proprio in ragione dell’espletamento della prestazione sanitaria coperta dal Servizio Sanitario Nazionale, tale veste viene in rilievo quando essa stipula la convenzione con gli organismi di diritto pubblico a ciò abilitati, mentre, una volta instaurata la convenzione, la fornitura del servizio all’utente avviene con modalità del tutto identiche a quelle seguite dalla struttura pubblica, senza cioè che l’essere l’azienda sanitaria privata convenzionata un imprenditore si ponga come tale. Ciò è tanto vero che l’utente del servizio sanitario nazionale si rivolge ad essa come si sarebbe rivolto alla struttura pubblica. Anche in questo caso valgono, poi, le medesime considerazioni svolte a proposito dell’atteggiarsi del rapporto fra l’utente ed il personale della struttura sanitaria privata.
Va semmai precisato che, qualora il rapporto fra l’utente e la struttura sanitaria convenzionata abbia corso con l’espletamento di eventuali prestazioni aggiuntive direttamente a carico dell’utente e non del Servizio Sanitario Nazionale, allora l’art. 33, comma 2, lett. u) potrà venire in rilievo, in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, l’azienda sanitaria si è posta direttamente nei confronti dell’utente come “professionista”.
Resta da dire del caso in cui abbia corso l’espletamento di una prestazione sanitaria direttamente da parte di un’azienda sanitaria privata non convenzionata e, quindi, sulla base di un normale rapporto privatistico con l’utente che abbia scelto di non rivolgersi al Servizio Sanitario Nazionale.
In questo caso l’azienda si pone senza dubbio come “professionista” ed il foro del consumatore è applicabile, senza che ne derivi alcuna incoerenza con il collocarsi di detta azienda nell’ambito dello stesso pubblico servizio inerente la sanità. Nè l’applicabilità del detto foro in questo caso comporta una disparità di trattamento ai sensi dell’art. 3 fra l’utente che scelga di rivolgersi al Servizio Sanitario Nazionale e quello che si rivolge alla struttura sanitaria privata: la disparità è insussistente, perchè quest’ultimo, che già come cittadino subisce sul piano fiscale l’incidenza del costo del detto servizio, se ne accolla direttamente un altro, di modo che le due situazioni sono diverse fra loro. p.4. Rimane a questo punto da considerare un argomento svolto nell’ambito del secondo motivo e che la relazione, postasi nell’ottica da cui il Collegio ha parzialmente dissentito a proposito della non ricorrenza del “contratto” nel rapporto fra l’utente e la struttura pubblica o convenzionata, non ha considerato perchè sostanzialmente assorbito.
L’argomento è quello desunto da Cass. n. 369 del 2007 in ordine al riconoscimento della posizione di consumatore del terzo beneficiario della polizza assicurativa, nonchè dalla pregressa ord. n. 235 del 2004 della Corte costituzionale sulla stessa questione. Di tale principio si invoca l’estensione analogica alla posizione dell’utente del servizio Sanitario nazionale, perchè anche costui, come il detto beneficiario, non sopporta il costo del servizio, ma è beneficiario pur sempre di un costo, quello necessario per il funzionamento diretto od indiretto del Servizio Sanitario Nazionale, sopportato da altri, cioè nella sostanza da tutti i consociati che adempiono agli obblighi fiscali e così consentono il finanziamento del Servizio, e, sul piano formale, dal soggetto che sul piano pubblicistico opera, ai vari livelli, la destinazione delle somme alle varia strutture sanitarie o le impiega per il c.d. convenzionamento.
L’invocazione del principio stabilito da Cass. n. 369 del 2007 non è, tuttavia, pertinente, perchè, come ad altri effetti ha evidenziato questa Corte (si veda Cass. (ord.) n. 29276 del 2008), esso trova spiegazione nell’essere il beneficiario della polizza assicurativa direttamente titolare del diritto previsto dal contratto e, quindi, partecipe del regolamento contrattuale che gli attribuisce il diritto. Sicchè quello che viene in rilievo è il rapporto fra il “professionista” ed il “consumatore” che ha stipulato la polizza, in quanto esso stesso ha attribuito un diritto al beneficiario, che lo esercita sulla base del contratto. L’utente che si avvale del Servizio Sanitario Nazionale, viceversa, non esercita un diritto che nasce dal rapporto fra la struttura pubblica che stipula la convenzione con un’azienda sanitaria privata o un diritto che trae titolo dal rapporto in forza del quale l’azienda sanitaria pubblica – tra l’altro certamente non riconducibile alla figura del contratto – agisce nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale ricevendo le erogazioni di pubblico danaro occorrenti per l’espletamento del servizio. p.5. Deve, dunque, dichiararsi la competenza del Tribunale di Perugia, avanti al quale le parti vanno rimesse, con termine per la riassunzione di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente.
Le spese del procedimento possono essere compensate per giusti motivi ravvisabili nella delicatezza e novità della questione di diritto esaminata.
P.Q.M.
La Corte: Dichiara la competenza del Tribunale di Perugia, avanti al quale rimette le parti, con termine per la riassunzione di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente.
Compensa le spese del giudizio di regolamento di competenza
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2009