Anche il Tribunale di Vallo della Lucania dichiara nulli i contratti may way e for you. Rimborsati i risparmiatori
Il Tribunale di Vallo della Lucania con due recenti importanti sentenze del 25 Luglio 2012 (Giudice Est. D.Feliciati) ha dichiarato nulli i contratti My Way e condannato la Banca (nella specie il Monte dei Paschi di Siena) alla restituzione di tutte le somme versate in virtù del contratto, nonché gli interessi maturati e le spese legali, uniformandosi così alla sentenza della Corte di Appello di Salerno ed a molti altri precedenti.
Già da un paio di anni i giudici di moltissimi Tribunali d’Italia avevano aperto le porte ad una serie di processi contro tutte quelle Banche che hanno stipulato con i propri clienti quei contratti denominati “for you” o anche “my way” (contratti quasi gemelli).
Il Tribunale di Vallo della Lucania, pur nella piena consapevolezza del contrasto giurisprudenziale esistente in materia, ritiene di dover seguire la tesi recentemente sostenuta, dal Tribunale di Napoli, dalla Corte d Appello di Napoli nella sentenza del 3.3.2010, nonché da altri giudici di merito (cfr. Corte di Appello d Salerno del 30.09.2009; Trib. Brindisi Sez. Fall. del 4.06.2009; Trib. Siracusa del 15.03.2008; Trib. Civitavecchia del 20.04.2007) considerando il contratto oggetto di impugnazione non meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 codice civile.
A questo punto giova richiamare le caratteristiche del contratto in questione. Secondo il Tribunale l’operazione si articola: a) nella concessione di un mutuo all’investitore destinato all’acquisto di prodotti finanziari della banca; b) nel mandato alla banca ad acquistare i prodotti finanziari; c) nella costituzione in pegno degli stessi titoli allo scopo di garantire alla banca l’adempimento dell’obbligazione di restituzione della somma
a mutuo; d) nella stipulazione di una polizza assicurativa ad ulteriore garanzia della obbligazione di restituzione delle somme mutuate. Benchè nel testo del contrattuale sia previsto che “ i rapporti contrattuali discliplinanti le operazioni in cui si sostanzia il piano finanziario My Way restano distinti e separati tra loro” (Sezione I, punto cinque), è evidente che i menzionati contratti sono strutturalmente e funzionalmente collegati. Ricorre, infatti, sia il requisito oggettivo del nesso genetico e/o teleologico fra i negozi, coordinati per l’adempimento di un’unica funzione, che il requisito soggettivo del comune intento pratico di volere il collegamento e coordinamento di essi per la realizzazione di un risultato unitario e complesso (cfr., tra tante, Cass.n. 8070 del 4.09.1996 n.12401 del 20.11.1992 e n. 9447 del 20.04.2007). La causa del contratto, da sottoporre al giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 codice civile non è da ricavarsi, quindi, alternativamente nel finanziamento di somme di denaro da parte della banca proponente l’investimento o nella vendita di prodotti finanziari da parte della banca medesima, ma nella causa concreta ed unitaria, cioè nel risultato economico finale che le parti hanno inteso complessivamente realizzare attraverso la pluralità coordinata di contratti. In sostanza, la peculiarità dell’operazione economica risultante dal collegamento tra i richiamati negozi impone di considerare il complessivo assetto negoziale anche alla luce di clausole contrattuali la cui portata non può essere compresa solo considerandone l’incidenza sui negozi siccome collegati. A tal fine può rilevarsi che, mentre il sottoscrittore mira a guadagnare sul rendimento degli strumenti finanziari acquistati (al netto del costo del mutuo e dei costi assicurativi accessori), la banca intende guadagnare sia attraverso il corrispettivo del mutuo che attraverso la vendita dei titoli che ha in portafoglio. Trattasi in entrambi i casi di interessi astrattamente meritevoli di tutela. Tuttavia, il collegamento negoziale tra contratto di mutuo, investimento in titoli ad alto rischio e pegno sui titoli acquisiti e l’insieme delle pattuizioni contenute nel contratto “My Way”, non superano il vaglio di meritevolezza di cui all’art. 1322 codice civile. Sul punto, reputa il Tribunale che, avuto riguardo alla sintesi degli interessi reali perseguiti dalle parti (teoria della c.d. causa in concreto), si esula senz’altro, nel caso in esame, sia dalla figura del mutuo semplice, sia da quella del c.d. mutuo di scopo. Ciò in quanto caratteristica precipua del mutuo -almeno nella sua connotazione c.d. reale- è rappresentata dalla messa a disposizione di una somma di denaro in capo al mutuatario, il quale ne acquista la proprietà, con l’obbligo di restituirla alla scadenza, secondo le modalità indicate nel contratto di mutuo. Particolare configurazione del contratto di mutuo è poi rappresentata dal c.d. mutuo di scopo, ricorrente tutte le volte in cui lo scopo assurge a causa del contratto, nel senso che il finanziamento è concesso a condizione (sine qua non) che la somma mutuata venga utilizzata dal mutuatario per una particolare finalità convenzionalmente pattuita. Con la conseguenza che l’impossibilità originaria dello scopo determina nullità del contratto, nel mentre la sua mancata realizzazione dà luogo ai rimedi risolutori (art. 1453 e ss.c.c.) normativamente previsti. Nulla di tutto ciò accade invece nel contratto in esame. Ciò in quanto la somma asseritamente “mutuata” non è in alcun modo messa a disposizione del cliente, neppure con la limitazione rappresentata dalla sussistenza di un particolare scopo. Piuttosto, il finanziamento resta sul piano puramente nominale, in quanto, per espressa previsione negoziale (art.1) esso “sarà esclusivamente per l’acquisto/sottoscrizione degli strumenti finanziari indicati ai seguenti punti numeri 2 e 3”. Alla luce di tali caratteristiche del contratto in esame, esso esula senz’altro dalla fattispecie del mutuo, ponendosi piuttosto quale contratto atipico, la cui causa è da ricercarsi nel particolare collegamento negoziale sussistente tra le operazioni di riferimento. In particolare, la causa in concreto del contratto in esame è da ricercarsi non solo- e non tanto- nel finanziamento di somme di denaro da parte della banca proponente l’investimento quanto, piuttosto, anche nella vendita di particolari prodotti finanziari da parte della banca medesima. Vendita attuata non già mediante acquisto diretto ed immediato di tali prodotti da parte del cliente, sebbene attraverso la concessione di un finanziamento da destinarsi al relativo acquisto. Sul punto va ricordato, infatti, che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che contratti denominati “ My way” con i quali la banca mette a disposizione dell’investitore una somma di denaro, che tuttavia viene da subito vincolata e veicolata, senza possibilità di diversa determinazione, verso un prestabilito piano finanziario di accumulo, costituito dall’acquisto di determinate obbligazioni, non è assimilabile al contratto di mutuo in quanto quest’ ultimo si caratterizza per il fatto di consentire al mutuatario di ottenere statim la liquidità occorrente per le proprie finalità, con il vantaggio di poter restituire la quantità di denaro presa a mutuo in forma dilazionata ed entro un periodo di tempo, da lui aprioristiamente ritenuto sufficiente per ottenere la provvista necessaria per remunerare il mutuante per il periodo concesso, laddove, nel caso di tali pattuizioni, il cliente è costretto a utilizzare l’importo mutuato per porre in essere una successiva operazione in tutto predisposta dalla banca, senza che su di essa possa avere in alcun modo interferito (cfr. Tribunale di Salerno, 18 marzo 2008 n. 762).Osserva, inoltre, il Tribunale che la natura atipica del contrato in esame non risulta neppure sconfessata dalla previsione di cui all’art. 1 co.6 d.lgs. n. 58/98 (Testo Unico della Finanza- TUF), che considera come servizio accessorio, tra l’altro, quello consistente (lett. c) nella “concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di effettuare un’operazione relativa a strumenti finanziari, nella quale interviene il soggetto che concede il finanziamento”. Invero, tale norma non definisce un tipo contrattuale ma si limita unicamente a prevedere la possibilità, per il finanziatore, di concedere prestiti ai risparmiatori, in vista dell’acquisto, da parte di questi ultimi, di strumenti finanziari, nel mentre nulla dice in relazione ai contratti stipulati per effetto del descritto meccanismo negoziale. A ben vedere, la stessa dizione contenuta in apertura dell’art. 1 co.6 cit, vale a dire “servizi accessori” (e non già contratti accessori), consente di affermare che quello in commento non è affatto un contratto specifico, ma una tecnica negoziale prevista al fine dell’acquisto di strumenti finanziari. I soli, questi ultimi, destinati a tradursi in concreti negozi efficaci e vincolanti tra le parti. E che non venga in rilievo, nel caso di specie, un negozio tipico, ma un mero “servizio accessorio”, emerge altresì dal fatto che il legislatore ha previsto una espressa elencazione dei contratti venti ad oggetto strumenti finanziari (cfr. art.1 co.2 TUF), contratti tra i quali non figura quello in esame. Orbene, avuto riguardo alla nutrita elencazione dei contratti in esame operata dall’art. 1 co.2 TUF, è evidente che se il legislatore avesse inteso qualificare in termini negoziali l’operazione economica in commento, lo avrebbe fatto espressamente. Così non è stato, sicchè deve intendersi che, con la previsione di “ servizi accessori”, il legislatore (art. 1co.6 lett.c TUF) si sia limitato unicamente a prevedere una sorta di “cornice” negoziale, nulla dicendo sia quanto al singolo negozio, e sia quanto alla sua concreta disciplina giuridica. Ciò posto, va evidenziato in primo luogo, e anche per inquadrare le effettive modalità con cui si è svolta l’operazione, che il contratto, pur essendo un complesso prodotto finanziario “costruito” dalla banca, si presenta come “proposta” proveniente dal cliente di adesione ad un piano finanziario. La definizione, oltre a capovolgere i termini effettivi del procedimento di formazione dell’accordo negoziale, non è idonea ad evidenziarne la componente di finanziamento ed in tal senso, almeno in parte, risultano fondate le deduzioni del risparmiatore in merito alla inintelligibilità delle caratteristiche del prodotto ( si parla di linguaggio “altamente criptico”), ciò che porta a ritenere la formazione dell’accordo ai limiti della sussistenza del vizio della volontà pure prospettato dal cliente ritenuto, in qualche caso, sussistente da parte della giurisprudenza di merito (in tal sento, tra tante, Tribunale di Parma, sentenza n. 1442/06, est. Stellario, sul sito Il Caso.it). La componente costituita dal finanziamento, ad esempio, non può in alcun modo essere ritenuta accessoria, in quanto rappresenta il presupposto per poter accedere al prodotto e, alla stregua dei rendimenti dei titoli in cui l’ammontare finanziario viene investito, contribuisce in modo essenziale alla determinazione delle caratteristiche (rendimenti, rischi, costi ed oneri accessori) del prodotto. Gli investimenti, che hanno ad oggetto titoli Europea Investimenti Bank e quote di fondo comune di investimento rispetto ai quali la banca opera in posizione di conflitto di interessi evidenziata in apposita clausola sono effettuati unilateralmente dalla banca e senza possibilità per l’investitore di controllare ed, eventualmente, “rimodulare” il proprio investimento. Il cliente, infatti, non acquista la disponibilità del denaro oggetto del mutuo, mentre la banca determina unilateralmente la natura e l’entità degli investimenti senza conferire al cliente la facoltà di interloquire e di cambiare forma di investimenti. Si consideri, a tal proposito, la clausola contenuta nella Sezione I (norme generali a pag. 3 del piano finanziario) che testualmente recita “ la cessazione, prima della durata prescelta o indicata espressamente nel frontespizio del presente contratto, per qualunque causa, del contratto finanziario; e/o l’alienazione/estinzione/liquidazione/, prima del suddetto termine, per qualunque causa, degli strumenti finanziari, determinerà il venire meno del piano finanziario My Way”. In forza di tale clausola, al cliente viene sottratto interamente il controllo del proprio investimento se è vero che la richiesta di liquidazione degli strumenti finanziari (che potrebbe essere avanzata soprattutto in presenza di particolari condizioni del mercato) determina la risoluzione del piano finanziario e dei contratti ad esso collegati e che tale risoluzione è regolata da disposizioni enormemente onerose per il “cliente-investitore”. La sezione II, cui la richiamata clausola rinvia per regolare le ipotesi di risoluzione o estinzione anticipata del finanziamento, prevede a carico del cliente, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, l’obbligo di corrispondere alla Banca “oltre agli interessi e agli altri oneri maturati fino all’esercizio di detta facoltà, un importo determinato dalla somma delle rate ancora a scadere, attualizzate mediante l’applicazione del tasso swap di pari durata a quella della scadenza del finanziamento diminuito pari ad uno spread pari allo 0,50%”. L’articolo rinvia all’allegato 4 “condizioni economiche” per l’individuazione della formula di determinazione dell’importo che sarà corrisposto alla banca in caso di estinzione anticipata, formula matematica che non è assolutamente chiara e semplice, e, quindi, non consentendo di conoscere in ogni momento le somme necessarie per uscire dal piano, non tutela adeguatamente l’investitore, così come previsto dalla normativa di settore. Appare evidente, allora, che, con il contratto così strutturato, la banca, oltre a realizzare il proprio legittimo interesse a guadagnare attraverso il corrispettivo del mutuo e della vendita dei titoli che ha in portafoglio, arriva ad eliminare il rischio conseguente alla propria attività di impresa facendolo gravare esclusivamente sul cliente. Mentre il cliente è un investitore non qualificato indotto ad indebitarsi a condizioni particolarmente gravose, senza alcuna possibilità di esercitare un effettivo controllo sull’esito dei propri investimenti che resta affidato interamente alla banca, quest’ultima, avendo scaricato sul cliente ogni profilo di rischio, non ha alcun interesse a perseguire la necessaria diligenza nell’esecuzione del contratto. In tal modo, infatti, la banca si autofinanzia, riuscendo non soltanto a collocare sul mercato titoli di altrimenti difficile negoziazione-essendo gli stessi quotati non in Borsa, ma a tutto voler concedere, in mercati non regolamentati- ma a collocare titoli propri (o comunque ad essa riconducibili), lucrando in tal modo su un’operazione rivolta a suo prevalente, se non esclusivo, favore. A fonte di un guadagno certo della banca, infatti, al ricorrente sono invece attribuiti margini di redditività del tutto aleatori. Invero, lo stesso contratto (Sez 1, punto 6) dà atto del fatto che “ le operazioni eventualmente eseguite su strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati possono comportare gravi difficoltà di liquidare gli strumenti finanziari acquistati e comunque di valutarne il valore effettivo”. In maniera ancora più significativa con riferimento all’acquisto di quote del suddetto fondo comune di investimento, è lo stesso contratto a riconoscere che “ non v’è garanzia del rendimento futuro delle stesse”. In altri termini, con l’operazione in esame la banca acquista un doppio vantaggio, rappresentato sia dal fatto che la stessa si autofinanzi (in quanto vengono acquistati prodotti ad essa riconducibili, e di altrimenti difficile collocazione sul mercato), sia dal fatto che essa lucra anche un tasso di interesse da un’operazione, già di per se, economicamente vantaggiosa. Di contro, il risparmiatore finanzia la banca, e lo fa a sue spese, in quanto acquista prodotti della banca stessa, pagando un tasso fisso, senza però avere alcuna garanzia circa la redditività futura del proprio investimento. Ed è proprio tale causa unitaria a risultare non meritevole di tutela poiché il contratto in esame concentra l’alea nella sfera giuridica del risparmiatore garantendo alla banca di autofinanziarsi attraverso la vendita di prodotti ad essa interamente riconducibili ed attraverso il tasso di interesse applicato al finanziamento, mentre il margine di redditività del tutto aleatorio attribuito al cliente è interamente affidato alla parte contrattuale che ha già ottenuto il doppio vantaggio ad essa derivante dall’operazione e sul cui operato il cliente non può esercitare un effettivo controllo. Pertanto, anche in considerazione della durata trentennale (o spesso di 15 anni) del contratto di finanziamento, la valutazione comparativa, in termini costi/benefici, delle rispettive posizioni delle parti contraenti deve dirsi, nella specie gravemente sbilanciata e compromessa dalle modalità concrete di attuazione dello schema negoziale appena definito, da parte della banca offerente, escludendo l’assimilazione del prodotto ad un piano previdenziale. Proprio in forza di tali premesse, appare fondatamente revocabile in dubbio il rispetto, da parte della banca offerente, di una ragionevole misura di coerenza, tra l’operazione negoziale prospettata, ed i valori ai quali il sistema nel suo complesso mostra di voler concretamente subordinare la valida ed efficace espressione dell’autonomia privata (cfr. Cass. 1.4.2011 n.7557).
Valga, in proposito, il richiamo ai valori, di rango costituzionale, che impegnano l’ordinamento giuridico a promuovere l’utilità sociale dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost) e la tutela del risparmio in tutte le sue forme (art. 47 Cost), nonché a garantire la realizzazione dei generali principi di cui le recenti consolidazioni del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.: d.lgs. n.58 del 1998) e del codice del consumo (Cons.: d.lgs.n. 206 del 2005) costituiscono i documenti di più fedele testimonianza destinati a sensibilizzare l’interprete in ordine al rispetto della sicurezza e della qualità dei prodotti e dei servizi offerti (artt.21 T.U.F. e 2 CONS.), alla garanzia della correttezza, della trasparenza e dell’equità nei rapporti contrattuali (art. 21 T.U.F. E 3 CONS.). Per tali complessive ragioni, reputa allora il Tribunale di Vallo della Lucania di aderire all’orientamento secondo cui il contratto atipico in commento non supera la verifica preliminare di meritevolezza sociale (art. 1322 codice civile). Ne discende la nullità dei contratti. Naturalmente, la declaratoria di nullità determina- in applicazione delle norme sull’indebito oggettivo (art. 2033 e seguenti codice civile) ed in accoglimento della domanda del risparmiatore – la condanna della banca alla restituzione, in favore del risparmiatore, delle somme dallo stesso versate in esecuzione dei contratti nulli.
Tuttavia, come commentato con precedenti articoli, non tutti i Tribunali considerano questo tipo di contratto nullo sic et simpliciter, pertanto prima di incardinare un giudizio bisognerà verificare se il cliente per età, professione e disponibilità è adatto ad un tipo di investimento così ad alto rischio e se il cliente è stato o meno informato compiutamente del tipo di investimento così ad alto rischio.
In conclusione tutti quei risparmiatori che hanno stipulato contratti for you e my way, anche a Vallo della Lucania, possono fare cause alle Banche e vedersi restituire tutte le somme versate con gli interessi e le spese di causa.