GATY SEPE Ne uccide di più il cibo: cibo «nemico», da ignorare o da allontanare in ogni modo dal proprio corpo. Anoressia e bulimia sono diventate la prima causa di morte per malattia per le ragazze tra i 12 e i 25 anni: secondo i dati della Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare (Sisdca), il tasso di mortalità in seguito a suicidio o complicanze conseguenti la malnutrizione, è del 10% a dieci anni dall’esordio della malattia e del 20% a vent’anni di distanza. Un allarme sanitario al quale il governo, ha detto il sottosegretario al Welfare Francesca Martini, sta pensando di rispondere anche ipotizzando un trattamento sanitario obbligatorio (Tso) ad hoc, nell’ambito della revisione della legge 180 sull’assistenza psichiatrica. La proposta, però, divide i medici. Il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna che nel 2006 presentò una proposta di legge per il riconoscimento dei disturbi alimentari come malattie sociali ha annunciato una campagna di sensibilizzazione di concerto con il ministero del Welfare. Intanto le cifre: l’emergenza riguarderebbe, in Italia, 150-200mila donne. I primi casi arrivano a 10-12 anni, ma il rischio si percepisce già a 7-8, quando le bambine cambiano all’improvviso il loro atteggiamento a tavola: storcono il naso davanti al loro piatto, giocherellano con il cibo, mangiano sempre meno e non aumentano di peso. Sotto accusa, per gli esperti, è anche l’ossessione delle madri per i chili di troppo. «L’anoressia è una patologia in crescita anche nell’età pediatrica – sottolinea la Martini – un fenomeno che interessa soprattutto le donne e per il quale sono fondamentali diagnosi precoce e maggiore informazione rispetto al problema, anche da parte dei medici». Ma anche i genitori, sottolinea il sottosegretario, devono essere attenti a cogliere le avvisaglie di questa patologia». Secondo il presidente della Sidsca Roberto Ostuzzi, «nelle situazioni più gravi è a volte necessario ricorrere a trattamenti salvavita coercitivi». Il ricorso al Tso per i disturbi alimentari è del 15% nei Paesi anglosassoni, appena dell’1% in Italia. Il governo, ha ricordato il sottosegretario, sta pensando ad un percorso di Tso «ad hoc», per i casi più gravi di anoressia: «una forma di Tso specifico che preveda la disponibilità di accoglienza in centri specializzati e non il passaggio attraverso i servizi di salute mentale, che a questo riguardo risulterebbero inadeguati». I medici, però, hanno pareri differenti. «Dobbiamo guardare al Tso come a un capitolo di una storia clinica – spiega Massimo Cuzzolaro, professore di Pischiatria e Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma – non come a una panacea del problema. I risultati a lungo termine mostrano che la mortalità rimane comunque alta». Della stessa opinione Paolo Santonastaso, ordinario di psichiatria presso l’Università di Padova, che richiama l’attenzione anche sulla «carenza di strutture specializzate». «La necessità stessa dell’intervento di coercizione – precisa Fabrizio Jacoangeli, ricercatore presso il Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Roma Tor Vergata – può essere indicata dal medico, ma deve essere concordata con psicologi e psichiatri che seguono quel paziente». |