Appalto revocato? Licenziamento con onere della prova a carico del datore
La Corte territoriale di Roma aveva rigettato l’appello proposto da una società nei confronti di propri ex lavoratori, avverso la pronuncia del Tribunale di Roma dove erano state accolte le domande formulate dagli anzidetti ex operai. Questi erano stati licenziati poiché la datrice era impresa appaltatrice di lavori pubblici per la costruzione dell’alta velocità sulla linea ferroviaria Roma Napoli e aveva subito la revoca dell’appalto a seguito del ritrovamento di reperti archeologici.
Gli operai, assunti con contratti a tempo determinato per un anno, si erano visti dichiarare la nullità dei termini apposti ai singoli contratti di lavoro: il Tribunale aveva ritenuto sussistente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
Pertanto la società ricorre per cassazione ma ambedue i motivi di ricorso vengono respinti.
Per la Corte infatti al contratto di lavoro risulta apponibile un termine unicamente quando l’assunzione ha luogo per l’esecuzione di un’opera o di un servizio “definiti e predeterminati nel tempo”, con “carattere straordinario od occasionale”, in particolare opere e servizi che, pur potendo risultare in un’attività identica a quella di norma esercitata dall’impresa, ne determinino un incremento rilevante, in relazione ad eventi eccezionali, che non possono essere affrontati attraverso l’ordinaria struttura dell’impresa. La Corte precisa che è posto a carico del datore l’onere di provare siffatti presupposti, altrimenti il rapporto si converte in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Altresì la Cassazione respinge il motivo consistente nell’asserita violazione dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966: la Corte d’Appello non ritenne che l’ultimazione delle opere per le quali erano stati assunti a termine gli operai integrasse gli estremi di un giustificato motivo di licenziamento individuale. In merito alla prova dell’impossibilità di utilizzare gli operai in ulteriori mansioni, per la tesi difensiva della società ricorrente, andava dedotta sia da fatti positivi, come l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e l’intervento della cassa integrazione, sia negativi, come la mancanza di nuove assunzioni.
La Corte, nell’argomentare il rigetto del motivo, rammenta i propri precedenti in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive: compete al giudice il controllo sulla sussistenza del motivo presentato dal datore, in ordine al quale sul datore medesimo grava l’onere di provare, anche mediante fatti positivi, l’impossibilità di una diversa utilizzazione del prestatore in mansioni differenti da quelle già svolte.
La Corte precisa inoltre che siffatta prova esige che il medesimo lavoratore che impugni il licenziamento, presti collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage”, allegando la sussistenza di ulteriori posti di lavoro ove egli poteva essere ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti anzidetti.