Arrigoni strangolato Napolitano: ‘E’ barbarie’
Strangolato poco dopo il sequestro. E’ finita così, in tragedia, l’avventura di Vittorio Arrigoni, l’attivista filopalestinese italiano rapito ieri mattina nella Striscia di Gaza da un commando ultra-estremista salafita. Il suo corpo senza vita è stato trovato in un appartamento di Gaza City dai miliziani di Hamas: a conclusione di un’irruzione compiuta nel cuore della notte e diverse ore prima della scadenza dell’ultimatum, che i sequestratori avevano fissato in teoria alle 16 di oggi, per il rilascio dei loro “confratelli” detenuti pena l’uccisione dell’ostaggio.
Secondo un primo esame del cadavere, Arrigoni, 36 anni, sarebbe stato ucciso già ieri pomeriggio, strangolato con un cavo metallico o qualcosa di simile. Il suo corpo resta per il momento a Gaza, vegliato in quello stesso ospedale Shifa in cui era solito accompagnare ambulanze con i feriti ai tempi dell’offensiva israeliana Piombo Fuso di due anni fa, in attesa che domenica venga riaperto il valico di Erez fra Gaza e Israele. La sua uccisione è stata condannata in termini molto duri sia da Hamas sia dai moderati dell’ Autorità nazionale palestinese (Anp). A nome dei primi, Fawzi Barhum ha additato gli ultra-integralisti salafiti definendo “una banda di degenerati fuorilegge che voglio seminare l’anarchia e il caos a Gaza”.
A nome dell’Anp il negoziatore Saeb Erekat ha affermato che si è trattato di un “crimine odioso che non ha niente a che vedere con la nostra storia e con la nostra religione”.
Condanne unanimi sono rimbalzate pure dall’Italia, da parte della Farnesina, del presidente della Camera, Gianfranco Fini, e da esponenti di vari partiti e sodalizi pacifisti e di sinistra. Il presidente Giorgio Napolitano ha inviato alla famiglia un messaggio nel quale definisce l’assassinio “una barbarie terroristica che suscita repulsione”. Addolorata ma forte, la madre è parsa del tutto sorpresa dall’accaduto. “Vittorio non si metteva mai in situazioni di pericolo”, ha commentato da Bulciago, paese del lecchese di cui ella è sindaco, affermando di non aver presentito in passato alcuna minaccia al figlio. Di fronte all’oltraggio generale nei Territori per la uccisione di un attivista che era noto per il suo sostegno senza ‘se’ e senza ‘ma’ alla causa palestinese, uno dei gruppi salafiti attivi nella Striscia, al-Tawhid wal-Jihad, ha emesso un comunicato in cui si proclama estraneo alla vicenda anche se i rapitori di Arrigoni (le finora sconosciute Brigate Mohammed Bin Moslama) avevano indicato fra i detenuti da liberare in cambio di Arrigoni un loro capo, Abd el-Walid al-Maqdisi. Nel video diffuso ieri su You-Tube il volontario italiano appariva bendato e col volto insanguinato, mentre scorreva una sovraimpressione in arabo che lo accusava di propagare i vizi dell’Occidente fra i Palestinesi, imputava all’Italia di essere un “Paese infedele” e ingiungeva a Hamas di rilasciare i salafiti detenuti nella Striscia entro 30 ore. ”Di fronte all’orrendo crimine di cui e’ rimasto vittima il nostro Vittorio Arrigoni ho espresso profondo rispetto e la mia commozione ai familiari e spero che si accertino la verita’ e le responsabilita’ su quanto e’ accaduto”, ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, rispondendo a una domanda dei giornalisti dopo l’incontro con il presidente della Repubblica slovacca Ivan Gasparovic.
Poi, nella notte, è arrivata la svolta. Secondo fonti locali, le indagini hanno portato all’arresto d’un primo militante salafita, il quale ha condotto gli uomini di Hamas fino al covo: un appartamento nel rione Qarame, a Gaza City, che i miliziani delle Brigate Ezzedin al-Qassam (braccio armato di Hamas) hanno espugnato nel giro di pochi minuti con la cattura di un secondo salafita. Ma trovando Arrigoni già morto in un angolo, con un giaccone nero indosso e il capo coperto. L’attivista italiano erano molto noto a Gaza dove lavorava da tempo per conto dell’International Solidarity Movement, una Ong votata alla causa palestinese. Aveva partecipato in passato fra l’altro alla missione di una delle prime flottiglie salpate per sfidare il blocco marittimo imposto da Israele all’enclave dopo la presa del potere di Hamas nel 2007, seguita all’estromissione violenta dell’Anp del presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas).