Assicurazione professionale: attenzione alle clausole claims made! Tribunale Milano, sez. V civile, sentenza 18.03.2010 n° 3527
Tribunale di Milano
Sezione V Civile
Sentenza 18 marzo 2010, n. 3527
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
QUINTA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. DAMIANO SPERA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
n. 3527/2010
(pubblicata il 18.3.2010)
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 85946/2005 R.G. promossa da:
R. C. (C.F. …omissis…), rappresentato e difeso dall’avvocato DI GIUSEPPE ANTONIO, nonché dall’avvocato FERRARI MAURIZIO
ATTORE
contro:
AZ. OSPEDALIERA FATEBENEFRATELLI E OFTALMICO, rappresentata e difesa dall’avvocato DE PASCALE DARIO
CONVENUTA
FONDIARIA SPA (C.F. 00818570012), rappresentata e difesa dall’avvocato PENCO FELICE
TERZA CHIAMATA
CONCLUSIONI
Per l’attore: vedi foglio n. 2;
Per la convenuta: vedi foglio n. 3-4;
Per la terza chiamata: vedi foglio n. 5-6;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con
atto di citazione ritualmente notificato, C. R. conveniva in giudizio
l’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico al fine di sentirla
condannare al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati in
complessivi Euro 47.687,00 o in quella diversa misura ritenuta di
giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, per
effetto dell’intervento chirurgico dell’11.03.03.
Si costituiva
la convenuta, la quale concludeva, in via principale, per il rigetto
della domanda e, in via subordinata, previa chiamata in garanzia della
propria compagnia assicuratrice, Fondiaria S.A.I., chiedeva la condanna
di quest’ultima al risarcimento del danno subito dall’attore, ai sensi
dell’art. 1917, II comma, c.p.c..
Si costituiva la terza
chiamata, la quale eccepiva l’inoperatività e/o inefficacia della
polizza assicurativa di Responsabilità civile verso terzi e/o
prestatori d’opera e concludeva, in via principale, per il rigetto
delle domande svolte nei suoi confronti; in via subordinata, per la
declaratoria di inammissibilità della domanda della convenuta
relativamente all’obbligo di garanzia ex art. 1917 cpv. c.p.c..
Il G.I. ammetteva parzialmente le prove dedotte dalle parti e disponeva consulenza tecnica d’ufficio.
All’esito
dell’istruttoria, le parti precisavano le conclusioni come in epigrafe
trascritte; disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali,
all’udienza di discussione del 27.01.2010, la causa veniva assegnata in
decisione, ai sensi dell’art. 281 quinquies cpv. c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Tribunale che la domanda proposta dall’attore meriti accoglimento.
Infatti, dai documenti prodotti, dall’espletata istruttoria e dalla consulenza tecnica d’ufficio, risulta provato:
–
che, in data 11.03.03, l’attore veniva sottoposto ad intervento
chirurgico presso l’Azienda Ospedaliera convenuta a causa della
lombosciatalgia destra lamentata nonostante le cure farmacologiche;
–
che, in data 14.03.03, veniva sottoposto ad un secondo intervento
chirurgico, a fronte del peggioramento della capacità di flessione
dorsale e plantare del piede destro mostrato dopo il primo intervento;
–
che, come accertato dal C.T.U., durante il primo citato intervento (non
di speciale difficoltà ex art. 2236 c.c.) si verificavano incongruità
tecniche che configurano comportamenti sanitari imperiti;
– che,
come altresì accertato dal C.T.U., vi è un nesso eziologico tra il
primo intervento dell’11.03.03 e i danni subiti dall’attore, costituiti
dalla paralisi dello sciatico popliteo esterno di destra, con
conseguente impossibilità attiva della flessione dorsale del piede
destro;
– che, infatti, i sanitari della struttura convenuta, a
seguito del notevole sanguinamento del plesso venoso e dello scarso
controllo di esso con la coagulazione bipolare, attuavano l’emostasi
con l’apposizione oltre che di Spongostan, anche del prodotto Surgicel
con modalità imprecisa e tecnicamente inadeguata;
– che, per
l’effetto, nell’immediatezza postoperatoria l’attore subiva il deficit
completo a carico del nervo peroneo e la paralisi della flessione
dorsale del piede destro, con evoluzione continua nonostante le
persistenti terapie;
– che tale errore ha comportato lo
stiramento della radice nervosa di L5 S1, con sofferenza ischemica e
degenerazione neurofibrillare;
– che, attualmente, la deambulazione dell’attore avviene con evidentissimo steppage e difficoltà nel camminare;
–
che il C.T.U. ha accertato un danno biologico permanente pari al 15% e
un danno biologico temporaneo di 40 giorni al 100% e di 60 giorni al
50%;
– che non sono prevedibili spese mediche future;
– che questo giudice condivide le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. con metodo corretto ed immune da vizi logici.
Circa il quantum,
ritiene il Tribunale che l’attore abbia certamente subito il danno
biologico e cioè quello derivante da illecito lesivo dell’integrità
psico-fisica della persona, che, quale evento interno al fatto lesivo
della salute, deve necessariamente esistere in presenza delle accertate
lesioni, e che prescinde dal danno correlato alla capacità di
produzione del reddito. Ai fini del risarcimento, il danno biologico
deve essere considerato “in relazione all’integralità dei suoi
riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e
i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella vita propria vita;
non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche
con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale,
sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua
personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana” (così la Corte Costituzionale n. 356/1991; v. altresì Corte Costituzionale n. 184/1986).
Inoltre, recentemente
a Sez. Unite (sentenza n. 26972/2008) ha tra l’altro ritenuto che,
nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati
tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno
biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad
esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte
categorie di danno. E’ compito del giudice accertare l’effettiva
consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome
attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul
valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale
riparazione. Il giudice anziché procedere alla separata liquidazione
del danno morale in termini di una percentuale del danno biologico
(procedimento che determina una duplicazione di danno), deve procedere
ad un’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno
biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze
fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro
del danno nella sua interezza.
Ebbene, tenuto conto delle
accertate invalidità, dell’età (anni 62), delle allegazioni di parte e
delle dichiarazioni dei testi escussi in ordine al mutamento della
qualità di vita dell’attore, ora impossibilitato a svolgere sport,
passeggiate e a coltivare l’hobby del ballo, dell’ulteriore disagio
subito dall’attore per effetto del secondo intervento del 14.03.03, dei
criteri tabellari ora adottati da questo Tribunale per la liquidazione
del danno biologico e morale, stimasi equo liquidare, per il
complessivo risarcimento del danno non patrimoniale permanente da
lesione al diritto alla salute, così personalizzato nella misura del
20%, la somma già rivalutata di Euro 40.368,00 e di Euro 8.000,00 per
il risarcimento del danno non patrimoniale temporaneo.
Circa la
richiesta di risarcimento del danno esistenziale giova inoltre
richiamare quanto ritenuto dalla citata sentenza n. 26972/2008: “Il
danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di
suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare,
non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata
“danno esistenziale”, perché attraverso questa si finisce per portare
anche il danno non patrimoniale nell’atipicità”. In definitiva “di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere”.
In ogni caso, laddove il giudice abbia liquidato il danno biologico e
le sofferenze conseguenti non residua spazio per il risarcimento di
ulteriori pregiudizi esistenziali, perché tutti già ricompresi in
quelli già liquidati, risultando altrimenti certa la duplicazione
risarcitoria del medesimo danno.
Pertanto, il danno subito dall’attore va liquidato in complessivi Euro 48.368,00 (somma rivalutata ad oggi).
Su
tale importo devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del
danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente
pecuniario del bene perduto.
Gli interessi compensativi –
secondo l’ormai consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) – decorrono dalla produzione
dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione; per questo
periodo, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un
tasso annuo medio ponderato sul danno rivalutato.
Tale tasso di
interesse è ottenuto “ponderando” l’interesse legale sulla somma sopra
liquidata, che – “devalutata” alla data del fatto illecito, in base
agli indici I.S.T.A.T. costo vita – si incrementa mese per mese,
mediante gli stessi indici di rivalutazione, sino alla data della
presente sentenza.
Da oggi, giorno della liquidazione, all’effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma rivalutata.
Pertanto,
alla luce degli esposti criteri, la convenuta deve essere condannata al
pagamento, in favore dell’attore, della complessiva somma di Euro
48.368,00, liquidata in moneta attuale, oltre:
– interessi
compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 2%, sulla somma di
Euro 48.368,00, dal 19.06.03 (data di termine della malattia) ad oggi;
– interessi, al tasso legale, sempre sulla somma di Euro 48.368,00, dalla data della presente sentenza al saldo effettivo.
Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste a carico della convenuta.
Consegue alla soccombenza la condanna della convenuta a rifondere all’attore le spese processuali.
Quanto
alle domande proposte dalla convenuta nei confronti della terza
chiamata ritiene il Tribunale che debbano essere integralmente
rigettate.
La convenuta stipulava con la terza chiamata un
contratto di assicurazione per la copertura dei danni derivanti da
responsabilità civile professionale in data 01.03.2001.
L’operatività di questa garanzia assicurativa è controversa tra le parti.
Va evidenziato che la polizza contratta dall’Azienda Ospedaliera ha efficacia dal 01.03.2001 al 01.12.2003.
La questione sorge in relazione all’art. 23 della polizza, a norma del quale: “La
garanzia esplica la sua operatività per tutte le richieste di
risarcimento presentate all’Assicurato per la prima volta durante il
periodo di efficacia della presente assicurazione.”
Va
premesso che il trattamento sanitario di cui è causa è stato posto in
essere in data 11.03.2003, quindi durante il periodo di vigenza della
polizza.
Tuttavia, la richiesta di risarcimento danni
perveniva all’assicurato soltanto il 29.12.2005, e quindi circa due
anni dopo la scadenza della polizza.
Al fine di godere
dell’operatività della garanzia assicurativa, la parte convenuta ha
eccepito la nullità e/o l’inefficacia della clausola citata, in quanto
non espressamente approvata per iscritto ex. art. 1341 cpv c.c., nonché
per mancanza di causa e per contrarietà a norma imperativa.
La
terza chiamata ha chiesto che fosse accertata la tardività,
l’improponibilità e/o l’inammissibilità dell’eccezione di nullità e
fosse dichiarata, invece, la non vessatorietà e l’efficacia inter partes della clausola in esame.
Certamente ritiene questo Tribunale che l’eccezione di nullità della clausola non sia tardiva.
Va
rilevato, infatti, che la domanda di parte convenuta è stata proposta
nella memoria ex artt. 170/180 c.p.c, in conseguenza delle conclusioni
della terza chiamata e, pertanto, tempestivamente e coerentemente con
quanto disposto dall’art 183 c.p.c..
Inoltre, la mancata
specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose del
contratto indicate nell’art. 1341 cod. civ. ne comporta la nullità,
eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio in
ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase di
legittimità dinanzi alla Corte di cassazione (vedi, da ultimo, Cass.
sentenza n. 16394/2009).
Sulle altre eccezioni mosse dalla convenuta, giova premettere che la clausola in esame rientra pacificamente tra quelle c.d. claims made, ossia a richiesta fatta.
Esistono, in materia di assicurazione della responsabilità civile professionale, due diversi schemi contrattuali.
Lo schema tradizionale, c.d. loss occurrence
(“insorgenza del danno”), offre la copertura assicurativa per tutti i
rischi dedotti nel contratto, posti in essere nel periodo di vigenza
della polizza. Conseguentemente, l’assicurato potrà far valere tale
copertura assicurativa fino all’integrale decorrenza della prescrizione
(nella fattispecie concreta decennale) del diritto del terzo
danneggiato al risarcimento del danno.
Il contratto contenente la clausola claims made,
invece, offre la copertura assicurativa per le richieste di
risarcimento che pervengono all’assicurato durante il periodo di
vigenza della polizza, indipendentemente sia dal momento in cui si è
verificato il rischio dedotto nel contratto, sia dal momento in cui si
è prodotto un danno in capo al terzo. Pertanto, la clausola in esame
estende l’operatività della garanzia assicurativa anche a tutti i fatti
colposi posti in essere prima della stipulazione della polizza (nella
fattispecie concreta) fino ai dieci anni precedenti (termine di
prescrizione entro il quale il terzo potrà proporre una richiesta di
risarcimento).
Il contratto di assicurazione della responsabilità civile, contenente una clausola claims made, non rientra nel tenore letterale di cui all’art. 1917 primo comma c.c.: “l’assicuratore
è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in
conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione,
deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel
contratto”.
In particolare, l’inciso – “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”
– collega direttamente il sorgere dell’obbligo in capo all’assicuratore
al comportamento colposo posto in essere durante il periodo di vigenza
della polizza, e non alla richiesta di risarcimento, come previsto
invece dalla clausola in esame.
Pertanto, risulta pacifico che la clausola claims made deroga al primo comma del citato articolo.
Contrariamente a quanto affermato da parte della giurisprudenza, questo Tribunale ritiene che tale deroga sia lecita.
In
primo luogo, va osservato che l’art. 1932 c.c. dispone l’inderogabilità
della disciplina prevista ai commi terzo e quarto dell’art. 1917 c.c.;
conseguentemente, il primo comma di questo articolo è certamente
derogabile.
In secondo luogo, non merita pregio neppure la
tesi secondo cui la disposizione in esame sia da considerarsi
implicitamente inderogabile, in quanto “norma primaria e imperativa, di immediata applicazione”
(Tribunale di Casale Monferrato, 25.02.1997; Tribunale di Bologna,
02.10.2002 n. 3318; Tribunale di Genova, 08.04.2008). Occorre infatti
evidenziare che l’inderogabilità prevista dall’art. 1932 c.c. opera
esclusivamente in senso favorevole all’assicurato, e non è neppure
sostenibile (come si spiegherà più avanti) la tesi secondo cui la
suddetta clausola sarebbe sempre svantaggiosa per l’assicurato.
Nella fattispecie in esame, la clausola, quindi, deroga nei termini anzidetti all’art. 1917 c.c..
Occorre
a questo punto verificare se tale deroga determini o meno l’atipicità
del negozio di assicurazione civile professionale ex art. 1917 c.c.,
valutando in quali termini la clausola in esame incida sul negozio
(tipico) previsto dal legislatore.
In proposito,
contratto di assicurazione della responsabilità civile con la clausola
claims made non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista
dall’art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico (da ritenersi
in linea generale lecito ex art. 1322 c.c.)”, concludendo che “la clausola claims made, pur non corrispondendo alla previsione legislativa ( art. 1917 c.c.) è lecita” (così la sentenza della Cassazione Civile n. 5624 del 15 marzo 2005).
Questo Tribunale non condivide la tesi sull’atipicità del contratto in esame.
Va
premesso che si configura un contratto nuovo, atipico, quando le parti
predispongono un regolamento di interessi non riconducibile ai tipi
aventi una disciplina particolare.
Tuttavia, va osservato che la
disciplina dei contratti tipici è affidata per lo più a norme
dispositive, e, quindi, non ogni deroga allo schema astratto previsto
dalla legge comporta la creazione di un nuovo negozio.
Pertanto,
al fine di verificare la tipicità di un contratto, occorre individuare
gli elementi essenziali del tipo legale al quale le parti abbiano
inteso ricondurlo e verificare se tali elementi siano presenti nel
rapporto instaurato in concreto.
La caratteristica peculiare dei
contratti assicurativi è l’aleatorietà, derivante dall’esistenza di un
rischio che viene trasferito dall’assicurato all’assicuratore; infatti,
il legislatore sanziona con la nullità il contratto assicurativo privo
di rischio al momento della stipulazione (art. 1895 c.c.).
Parte
della giurisprudenza più recente ha negato la sussistenza di tale
elemento nel contratto assicurativo contenente la clausola claims made, motivando che “una
clausola di questo tenore è idonea potenzialmente a far venire meno la
causa del contratto qualora il terzo danneggiato, per un fatto avvenuto
durante l’efficacia della garanzia, richieda il risarcimento quando
ormai la garanzia non è più operativa per decorso del termine.
Subordina inoltre l’operatività della garanzia alla scelta
discrezionale del terzo danneggiato”(così la citata sentenza del Tribunale di Bologna, 02.10.2002 n. 3318).
Questo Tribunale ritiene, invece, che la clausola claims made
non comporti né una diversa natura del rischio oggetto del contratto
assicurativo, né il venir meno del rischio stesso. In realtà, oggetto
della copertura assicurativa rimane il fatto colposo dedotto in
polizza.
Tuttavia, tale fatto, generatore del danno, diviene
“rilevante” soltanto nell’ipotesi in cui la richiesta di risarcimento
del danno (in conseguenza di tale fatto) pervenga all’assicurato “durante il tempo dell’assicurazione”.
In
definitiva, nonostante il rischio dedotto in polizza si riferisca –
direttamente – all’eventualità che il terzo avanzi una richiesta di
risarcimento e – solo indirettamente – al verificarsi del comportamento
colposo, l’oggetto della garanzia assicurativa rimane pur sempre
quest’ultimo, ovvero il fatto illecito dedotto in polizza.
Va osservato inoltre che – anche in relazione alla tradizionale tipologia di contratto c.d. loss occurrence –
l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne il professionista di
quanto questi debba pagare ad un terzo, in conseguenza di un
comportamento professionale illecito, sorge pur sempre in seguito ad
una richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato, momento da cui
del resto decorre anche il termine di prescrizione del diritto ex art.
2952 c.3 c.c..
Consegue a quanto esposto che il contratto di assicurazione della responsabilità civile contenente claims made
è tipico. Questa statuizione, determinata dalla deroga (consentita)
all’art. 1917 c.c., esclude in radice che possa ravvisarsi la eccepita
nullità della clausola e dell’intero contratto.
In ogni caso,
anche a voler ritenere l’atipicità del negozio, deve dichiararsi
certamente sussistente un interesse lecito e meritevole di tutela ex
art. 1322 c.c., in capo ad entrambi i contraenti, alla stipulazione di
un contratto contenente la clausola claims made (come del resto riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 5624/2005).
Infatti,
il danneggiato può avvalersi di tale clausola per ottenere una
copertura assicurativa in relazione a fatti verificatisi
precedentemente rispetto alla stipulazione della polizza
(particolarmente utile se l’assicurato non fosse coperto da altra
polizza per il periodo indicato). L’assicuratore, invece, si avvale di
questo nuovo schema contrattuale per gestire in maniera più idonea le
riserve e per adeguare l’ammontare dei premi richiesti ai massimali di
polizza.
Occorre ora valutare se la clausola in esame debba
essere ritenuta vessatoria e pertanto assoggettabile alla disciplina di
cui all’art. 1341 c. 2 c.c..
Alcune pronunce giurisprudenziali
hanno motivato la necessità della specifica approvazione per iscritto
al fine di richiamare l’attenzione dell’assicurato sul particolare
assetto di interessi disciplinato con la clausola claims made.
Ritiene questo Tribunale che questa considerazione sia irrilevante ai fini della valutazione della vessatorietà della clausola claims made.
Infatti, la non conoscibilità della clausola potrebbe avere rilevanza
quale vizio del consenso ai sensi degli artt. 1427 e ss. c.c. ovvero in
tema di responsabilità precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e
1338 c.c. (di recente,
n. 24795/2008 ha ravvisato la responsabilità precontrattuale anche
laddove le parti abbiano infine concluso un valido contratto).
di Cassazione ha correttamente affermato che la clausola in esame non è
di per sé limitativa della responsabilità ex art. 1341 c.c., e la sua
eventuale vessatorietà dipende dallo specifico contenuto che in
concreto le parti abbiano inteso attribuirle (apprezzamento rimesso al
giudice di merito). Ha inoltre aggiunto che “una clausola
contrattuale può essere ricompresa tra quelle che stabiliscono
limitazioni di responsabilità a favore di colui che l’ha predisposta a
condizione che essa restringa (ad es. sotto il profilo quantitativo,
spaziale o temporale) l’ambito di responsabilità così come fissato, con
più ampia estensione, da precetti normativi” (Cass. Civ. n. 5624/05); “non
possono, pertanto, qualificarsi vessatorie quelle clausole che abbiano,
per contenuto, una mera determinazione della effettiva estensione delle
reciproche prestazioni dedotte in obbligazione” (Cass. n. 5390 del 16 giugno 1997).
Alla luce dei citati principi di diritto, ritiene questo Tribunale che la clausola claims made c.d. pura, di per sé non sia vessatoria, perché non limitativa della responsabilità.
Infatti, nel regime ordinario ex art. 1917 c.c. (contratto c.d. loss occurrence),
l’assicurato copre la propria responsabilità in relazione ai rischi che
si verificano durante il periodo di efficacia della polizza, ma può far
valere tale copertura assicurativa (relativa al fatto commesso durante
il periodo di efficacia della polizza, di solito annuale) fino al
termine di prescrizione del diritto del terzo di proporre una richiesta
di risarcimento danni (nella specie, poiché trattasi di responsabilità
medica, addirittura fino ai 10 anni successivi).
In presenza della clausola claims made
c.d. pura, invece, l’assicurazione copre le richieste di risarcimento
del danno pervenute all’assicurato nel periodo (di regola annuale) di
efficacia della polizza, ma relativamente a tutti i rischi (dedotti in
polizza) verificatisi nel decennio precedente, cioè fino al momento in
cui esso assicurato potrà ritualmente eccepire la prescrizione del
diritto del danneggiato di chiedere il risarcimento del danno.
Dov’è dunque la vessatorietà?
E’ di tutta evidenza che, di regola, può ravvisarsi un’equivalenza tra le due ipotesi in esame (contratto c.d. loss occurrence e con clausola claims made
c.d. pura) nella valutazione del rischio assicurato e nel rapporto
sinallagmatico tra le parti; talora, potrebbe essere addirittura
vantaggioso per l’assicurato stipulare la polizza contenente la
clausola claims made (si pensi all’ipotesi in cui l’assicurato
sia in tutto o in parte privo di copertura assicurativa per i fatti
illeciti eventualmente posti in essere in epoca anteriore alla
stipulazione della polizza).
Quid iuris, invece, nell’ipotesi di clausola claims made inserita in un sistema c.d. misto?
Questa ipotesi ricorre laddove la clausola in esame sia utilizzata congiuntamente con una diversa clausola, loss occurrence o act committed, spesso proprio al fine di limitare l’estensione della garanzia, che si produrrebbe con l’applicazione della claims made c.d. pura.
In
particolare, si verifica spesso l’ipotesi in cui la clausola escluda
dalla copertura assicurativa i rischi (condotte colpose e/o eventi
dannosi) verificatisi oltre i due-tre anni (o anche più) precedenti
alla stipulazione della polizza, fermo restando che la denuncia del
terzo deve pervenire all’assicurato durante il periodo di vigenza della
stessa.
Certamente in queste ipotesi si determina una
limitazione di responsabilità (in relazione ai rischi dedotti e/o al
tempo in cui gli stessi si siano verificati) che riduce il lasso di
tempo (altrimenti decennale, fino al decorso della prescrizione) entro
il quale rimane fermo l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne
l’assicurato.
Nel caso di specie, la clausola contiene una limitazione di questo tipo, nella parte in cui dispone che: “In
relazione ai sinistri originati da fatti colposi posti in essere in
periodi antecedenti alla validità della presente polizza, e
precisamente dalle ore 00.00 dello 01.01.1998, la presente opererà in
differenza di limiti e condizioni rispetto alle garanzie prestate dalle
polizze che, qualora esistenti, esplichino la propria efficacia al
momento del sinistro stesso”.
Consegue che la clausola in
esame debba essere qualificata come vessatoria, e richiede, quindi, la
specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 c.2 c.c..
E’ incontroverso che la clausola non sia stata specificamente approvata.
L’Azienda
Ospedaliera, facendo valere la vessatorietà della clausola, ha eccepito
la nullità e/o l’inefficacia dell’intera clausola claims made.
Conseguentemente ha invocato altra giurisprudenza che, muovendo dal
presupposto (innanzi contestato) dell’inderogabilità dell’art. 1917
c.c., ha ritenuto addirittura che la nullità della clausola in esame
comporterebbe la sostituzione di diritto della stessa con il regime
ordinario ex artt. 1339 e 1419 cpv. c.c. (v. Tribunale di Milano
sentenza n. 5235/09)
Ritiene il Tribunale che queste conclusioni non meritino accoglimento.
L’inefficacia
prevista dall’art. 1341 c.2 deve incidere esclusivamente sulla parte
della clausola che comporta una limitazione della responsabilità.
Risulta evidente, infatti, che le parti, con il contratto di assicurazione della responsabilità civile contenente la clausola claims made, intendevano regolare i propri interessi con modalità differenti rispetto al regime ordinario di cui all’art. 1917 c.c..
Se
si adottasse dunque il regime ordinario, si violerebbe la libera
estrinsecazione dell’autonomia negoziale delle parti. Appare, quindi,
più coerente con la volontà negoziale manifestata dalle parti applicare
la disciplina prevista dalla citata clausola claims made c.d. pura.
Inoltre,
la nullità dell’intera clausola potrebbe addirittura comportare
un’alterazione del rapporto sinallagmatico: l’assicurato potrebbe
scegliere se far operare la copertura assicurativa per coprire i rischi
verificatisi nei dieci anni precedenti alla stipulazione della polizza,
ovvero, facendo valere la nullità dell’intera clausola claims made,
potrebbe coprire così anche le condotte colpose poste in essere durante
il periodo di vigenza del contratto, in relazione a tutte le richieste
di risarcimento effettuate fino alla prescrizione del diritto del terzo
danneggiato (soprattutto laddove la nullità operi soltanto a vantaggio
di una parte – vedi Codice del Consumo, artt. 34 e 36).
In
definitiva, ritiene il Tribunale che, nella fattispecie concreta, debba
dichiararsi la vessatorietà e la conseguente inefficacia della
limitazione di responsabilità contenuta nella seconda parte dell’art.
23 della polizza.
Tuttavia, poiché la richiesta di
risarcimento all’assicurato è stata pacificamente effettuata oltre il
periodo di efficacia della polizza, deve rigettarsi la domanda proposta
dalla convenuta nei confronti della terza chiamata.
In
considerazione della particolare complessità delle questioni
affrontate, ricorrono giusti motivi per dichiarare integralmente
compensate le spese processuali tra la convenuta e la terza chiamata.
La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:
–
dichiara l’esclusiva responsabilità della convenuta nella produzione
dei danni subiti dall’attore per effetto dell’intervento chirurgico
dell’11.03.03;
– condanna la convenuta, al pagamento, in
favore dell’attore, della somma di Euro 48.368,00, oltre interessi,
come specificati in motivazione;
– pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico della convenuta;
– rigetta le altre domande ed istanze proposte dalle parti;
–
condanna la convenuta a rifondere all’attore le spese processuali, che
liquida in Euro 443,00 per spese imponibili, Euro 397,04 per spese
esenti, Euro 4.098,00 per diritti, Euro 6.950,00 per onorario di
avvocato, Euro 1.381,00 per spese generali, oltre I.V.A. e C.P.A.;
– dichiara integralmente compensate le spese processuali tra la convenuta e la terza chiamata.
– dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.
Milano, 18.3.2010
Il Giudice istruttore
in funzione di giudice unico
dr. Damiano SPERA
In passato, la dottrina giuridica nutriva
forti perplessità sulla possibilità di estendere alle professioni
liberali il sistema assicurativo della responsabilità professionale.
Nello
specifico, la principale difficoltà giuridica all’inserimento della
responsabilità professionale nell’architettura del meccanismo
assicurativo come disciplinato dal Codice Civile era ravvisata nella
nozione di sinistro rilevante ai fini dell’art. 1917, c. 1, c.c., con
particolare riferimento all’espressione “fatto accaduto durante il
periodo di assicurazione”.
Infatti, la dottrina maggioritaria e
la giurisprudenza identificavano, e identificano tuttora, il sinistro
nel fatto dell’assicurato, ossia nel suo comportamento attivo od
omissivo generativo della responsabilità.
Una simile
impostazione, effettivamente, ha creato notevoli difficoltà nella
costruzione dei contratti assicurativi della responsabilità
professionale, atteso che, in quest’ambito, i danni subiti dalla parte
lesa (paziente, ma anche cliente di un avvocato o un notaio per
esempio) assumono spesso natura lungolatente, sono caratterizzati cioè
dal fatto di divenire percepibili per il soggetto danneggiato in tempi
anche molto successivi rispetto al momento in cui si verifica la
condotta illecita che li determina.
In considerazione
dell’opzione ricostruttiva maggioritaria sopra richiamata, i primi
contratti assicurativi della responsabilità professionale sono stati
costruiti sulla formula loss occurance: essi cioè garantivano la
copertura del rischio in relazione ai fatti e comportamento
dell’assicurato verificatisi durante la vigenza del contratto, a
prescindere dal momento in cui il danneggiato, percepito il danno,
avanzi richiesta risarcitoria.
Il ricorso a tale formula
garantisce senza dubbio una copertura completa anche nei confronti
delle domande risarcitorie late-reported, ossia presentate a contratto
scaduto. Di contro, però, le polizze strutturate su questo schema
risultavano molto onerose, considerato nell’ingente rischio assunto
dall’assicuratore. Ne è derivata la previsione di livelli bassissimi di
massimale assicurato associati a premi assicurativi di esoso importo.
Per
ovviare agli svantaggi economici legati alla formula loss occurance, le
compagnie assicuratrici hanno elaborato una nuova struttura di
contratto assicurativo, fondato sul ricorso alle clausole c.d. claims
made.
Con la clausola claims made (letteralmente “a richiesta
fatta”), assicuratore e assicurato pervengono ad una definizione
convenzionale della nozione di sinistro rilevante ai fini dell’art.
1917, c. 1 c.c., che è fatta coincidere con la richiesta di
risarcimento del danno avanzata dal terzo e non più, dunque, col
comportamento del danneggiante-assicurato generativo della
responsabilità.
L’applicazione di una simile opzione, il rischio
assunto dall’assicuratore risulta più circoscritto nel tempo, con
conseguente vantaggio sotto il profilo dei costi di polizza.
Per
converso, però, occorre segnalare che polizze strutturate sulle claims
made nascondono pericolose insidie per l’assicurato, in quanto egli
rischia di vedersi recapitare la richiesta di risarcimento in un’epoca
in cui non gode più della copertura assicurativa.
Il
professionista, dunque, deve curare con particolare attenzione il
rapporto assicurativo, garantendone la continuità attraverso regolari
rinnovi annuali, accertandosi inoltre che, in sede di rinnovo, non
venga fatta avanzare la c.d. “retroactive date”, ossia la data iniziale
della copertura assicurativa. In caso di cessazione del rapporto
assicurativo, poi, si rende necessaria la stipula di apposite polizza
integrative c.d. “tail-coverage”, precipuamente rivolte a coprire i
periodi successivi alla fine del rapporto contrattuale.
Nella
sentenza in esame l’assicurato, nella specie un’azienda ospedaliera
convenuta in un giudizio di responsabilità per colpa medica, è
incappata proprio in una delle insidie a cui si è appena fatto cenno.
Nello
specifico, l’azienda convenuta si è vista rigettare la domanda di
garanzia rivolta all’impresa di assicurazione proprio in quanto,
nonostante l’errore medico fosse stato commesso durante il periodo di
operatività della copertura assicurativa, il terzo danneggiato aveva
formulato la propria richiesta risarcitoria in un’epoca in cui il
rapporto assicurativo era ormai cessato.
Il Tribunale di
la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5624/2005.
Milano, con l’occasione, affronta la questione della liceità e
legittimità delle clausole claims made, sulla quale si era già espressa
L’assunto
di parte è rappresentato dalla nozione di sinistro data dall’art. 1917
co. 1 c.c. che, ad avviso della Suprema Corte ed anche del Giudice
Milanese, si identifica “con il fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione e non nella richiesta da parte del danneggiato…”.
Partendo da questa premessa, i Giudici di piazza Cavour erano giunti a ritenere pienamente legittima la clausole claims made, “atta a limitare la copertura assicurativa ai sinistri denunciati nel corso della vigenza contrattuale”, ritenendo che essa “non rientri nella fattispecie tipizzata dal legislatore, ma integra un contratto atipico pienamente lecito…”.
In
altri termini, la clausola in oggetto introduce una deroga alla nozione
di sinistro dettata dall’art. 1917 co. 1 c.c. che è pienamente lecita
in quanto non si tratta di una norma cogente. Una simile deroga, però,
vale a modificare la struttura del contratto, a tal punto da doversi
parlare di una figura contrattuale atipica, benché lecita in quanto
rivolta alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela (art.
1322 c.c.). La modifica, peraltro, che si risolve in una vera e propria
limitazione della responsabilità a carico dell’assicuratore
predisponente, determina la natura vessatoria della clausola, “… sicché per la sua efficacia è necessaria la specifica sottoscrizione da parte dell’assicurato”.
Ebbene,
la ricostruzione giuridica operata dagli Ermellini non convince appieno
il giudice milanese, il quale, pur concordando sulla piena liceità e
legittimità della deroga che la clausola claims made determina
sull’art. 1917 c.c., sostiene che tale deroga non comporti alcun
mutamento della struttura contrattuale e non configura, pertanto, alcun
contratto atipico.
In punto di diritto, viene acutamente
osservato che si può parlare di contratto atipico solo quanto lo schema
negoziale realizzato dalle parti non sia riconducibile alle figure
tipizzate dall’ordinamento. Non è sufficiente che le parti introducano
una qualsiasi deroga alle norme che disciplinano la fattispecie
codificata, che peraltro sono per la gran parte di natura dispositiva e
non cogente, per realizzare una figura contrattuale atipica, ma occorre
verificare se la deroga convenzionale incida significativamente sullo
schema negoziale determinandone una deviazione.
La clausola
claims made non incide sugli elementi tipici del contratto di
assicurazione, perché non elimina né modifica la natura aleatoria del
contratto. Tanto più che la clausola in questione non modifica
l’oggetto della garanzia, che continua ad essere rappresentato dal
fatto illecito dedotto in polizza, limitandosi semplicemente a
condizionarne l’operatività alla circostanza che il danneggiato avanzi
la relativa richiesta di risarcimento.
L’opzione
ricostruttiva proposta dal Tribunale di Milano, che è pienamente
condivisibile sul piano logico e giuridico, è funzionale ad escludere in nuce
ogni questione legata alla validità/nullità della clausola e
dell’intero contratto e, in un angolo prospettico di più ampio respiro,
vale ad aggiungere un ulteriore tassello all’opera di definizione ed
assestamento della materia della responsabilità professionale anche
sotto il profilo dei meccanismi di copertura assicurativa del rischio.