Assistenza familiare, mancato versamento dell’assegno, accertamento
Il mancato versamento dell’assegno stabilito in sede di separazione
personale dei coniugi, da parte dell’obbligato, di per sé solo non
determina la configurabilità del reato previsto dall’art. 570, comma 2, c.p.,
in quanto è necessario che sia accertato se, in conseguenza di tale
condotta, siano venuti a mancare in concreto al beneficiario i mezzi di
sussistenza e se l’obbligato abbia una concreta capacità economica a
fornire gli stessi. (1-2)
(*) Riferimenti normativi: art. 570, comma 2, c.p..
(1) In tema di mancato versamento dell’assegno per impossibilità economica dell’obbligato, si veda Cassazione penale, sez. VI, sentenza 31.10.2007 n° 40341.
(2) Per una visione generale del reato previsto dall’art. 570 c.p., si veda il Focus di Salemi: La violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.).SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 28 ottobre – 9 novembre 2009, n. 42631
Svolgimento del processo
Con
sentenza in data 4-7-2003 il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione
Distaccata di Sorrento, ha dichiarato non doversi procedere nei
confronti di M.S. in ordine al reato di violazione degli obblighi di
assistenza familiare nei confronti della moglie e del figlio minore V.,
perchè estinto per prescrizione.Con sentenza in data 13-3-2007
la Corte di Appello di Napoli, in riforma di tale sentenza, ha
dichiarato l’imputato colpevole del reato ascrittogli, limitatamente
alla condotta in danno del coniuge separato L.R., e lo ha condannato
alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 750,00 di multa,
confermando nel resto la decisione di primo grado.Il M., anche
a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione,
riproponendo con un primo motivo l’eccezione di inammissibilità
dell’appello proposto dal Procuratore Generale. Sostiene che,
contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, la pronuncia
di proscioglimento di primo grado era stata emessa prima della formale
apertura del dibattimento e che, pertanto, la stessa, a norma dell’art.
469 c.p.p., era inappellabile.Con un secondo motivo, il
ricorrente lamenta la violazione dell’art. 580 c.p.p., art. 585 c.p.p.,
comma 4, artt. 591 e 603 c.p.p., in relazione all’ammissione della
richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale formulata dal
P.G. Sostiene che, poichè le censure mosse dall’appellante erano
circoscritte alla violazione di legge in cui era incorso il giudice di
primo grado nel dichiarare una causa estintiva del reato in presenza di
un reato contestato a condotta perdurante, la richiesta di rinnovazione
dell’istruttoria, non essendo collegata ad alcun motivo di impugnazione
o censura nel merito, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile.Con
un terzo motivo il ricorrente denuncia l’erronea applicazione dell’art.
570 c.p., avendo la Corte di Appello correlato l’affermazione di
responsabilità dell’imputato alla mera violazione degli obblighi posti
a carico di quest’ultimo in favore della moglie nel giudizio civile,
senza tener conto del fatto che la L. godeva di ulteriori mezzi di
sussistenza e senza considerare che il M., dopo il suo licenziamento,
non era in condizioni di adempiere ai propri obblighi.Motivi della decisione
1) Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’assunto
del ricorrente, secondo cui in primo grado sarebbe stata emessa una
sentenza predibattimentale, come tale non appellabile, ai sensi
dell’art. 469 c.p.p., risulta smentito dalla lettura della sentenza
emessa in pubblica udienza dal Tribunale di Torre Annunziata, Sezione
Distaccata di Sorrento, nella quale si da atto che la decisione in
questione – con la quale è stata rilevata, ai sensi dell’art. 129
c.p.p., comma 1, l’intervenuta prescrizione del reato -, è stata
adottata “costituite le parti”.Orbene, come è stato
puntualizzato da questa Corte, la sentenza di non doversi procedere per
estinzione del reato, pronunciata – sia pure su conforme richiesta del
Pubblico Ministero e della difesa – in udienza pubblica dopo il
controllo della costituzione delle parti, deve essere considerata come
dibattimentale e, quindi, è soggetta ad appello (Cass. Sez. 4^,
28-11-2008 n. 48310; v. anche Cass. Sez. 2^, 17-11-2004 n. 48340).2)
Anche il secondo motivo è privo di fondamento, essendo evidente che le
censure mosse con i motivi di appello in ordine alla declaratoria di
prescrizione non erano fine a se stesse, ma miravano ad ottenere una
pronuncia di merito sul reato ascritto all’imputato. E infatti il P.G.,
nel dedurre che, in considerazione della condotta perdurante ascritta
al prevenuto, il Tribunale non poteva dichiarare il reato estinto per
prescrizione, ha concluso espressamente per l’affermazione di
responsabilità del M., previa “rinnovazione del dibattimento per
l’esame dei testi di lista del P.M.”.La Corte di Appello,
pertanto, nell’accogliere l’istanza di rinnovazione del dibattimento,
non è affatto incorsa nelle violazioni di legge denunziate dal
ricorrente, ma ha fatto, anzi, corretta applicazione del disposto
dell’art. 604 c.p.p., n. 6, il quale prevede espressamente che, “quando
il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che
l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di
appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo,
la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito”. Questa Corte,
d’altro canto, ha già avuto modo di rilevare che nel caso in cui il
giudice di primo grado, in pubblica udienza e senza procedere ad
istruttoria dibattimentale, abbia dichiarato, a norma dell’art. 129
c.p.p., non doversi procedere contro l’imputato, ed il pubblico
ministero abbia proposto appello, chiedendo la condanna dell’imputato,
previa – se del caso – l’assunzione delle prove ritualmente dedotte e
non assunte dal giudice di prime cure, non merita censura l’ordinanza
della Corte d’Appello che disponga la rinnovazione del dibattimento per
l’assunzione delle prove richieste (Cass. Sez. 3^, 4-6-1993 n. 9726).3) Appare invece meritevole di accoglimento, nei limiti di seguito precisati, il terzo motivo di ricorso.
Secondo
il costante orientamento di questa Corte, ai fini della configurabilità
del reato previsto dall’art. 570 c.p., comma 2, nell’ipotesi di mancata
corresponsione da parte del coniuge obbligato al versamento
dell’assegno stabilito in sede di separazione coniugale, il giudice
penale deve accertare se, per effetto di tale condotta, siano venuti a
mancare in concreto al beneficiario i mezzi di sussistenza;
accertamento che è diverso e indipendente da quello compiuto dal
giudice civile per la determinazione dell’assegno (Cass. Sez. 6^,
2/-10-2006 n. 40708). In tema di violazione degli obblighi di
assistenza familiare, infatti, non vi è interdipendenza tra il reato
previsto dal citato art. 570 c.p., comma 2, e l’assegno liquidato dal
giudice civile, in quanto l’illecito penale non ha carattere
sanzionatorio dell’inadempimento del provvedimento del giudice civile
che fissa l’entità dell’obbligazione, ma è rapportato unicamente alla
sussistenza dello stato di bisogno dell’avente diritto alla
somministrazione dei mezzi indispensabili per vivere e al mancato
apprestamento di tali mezzi da parte di chi, per legge, vi è obbligato
(Cass. Sez. 6^, 5-2-1998 n. 3450).Ne consegue che, ai fini
della configurabilità della fattispecie delittuosa in esame, è
necessario l’accertamento, da parte del giudice penale, dell’effettivo
stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione dei mezzi di
sussistenza, oltre che della concreta capacità economica dell’obbligato
a fornirglieli.Nel caso di specie, la Corte di Appello,
nell’affermare la responsabilità penale del M. in ordine alla mancata
corresponsione dei mezzi di sussistenza alla moglie separata, ha
rilevato che lo stato di bisogno della L. emerge dalla stessa entità
dell’assegno di mantenimento, “stabilito dal giudice civile in misura
appena sufficiente per le più elementari esigenze vitali, non
soddisfabili attraverso fonti di reddito o patrimoniali diverse”.
Trattasi, all’evidenza, di motivazione non conforme agli enunciati
principi di diritto, avendo la Corte distrettuale basato il suo
giudizio sulla sola misura dell’assegno fissato dal giudice della
separazione, senza prendere in alcuna considerazione le reali capacità
economiche della donna. Ed è chiara la rilevanza del dato trascurato,
non potendosi prescindere, ai fini di un rigoroso accertamento
dell’effettivo stato di bisogno del beneficiario dell’assegno, dalla
valutazione dell’eventuale esistenza, in capo a quest’ultimo, di
ulteriori fonti di reddito e mezzi di sostentamento.S’impone, di conseguenza, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per un nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2009.