Associazione privata diffonde in pubblico programmi a pagamento con decoder ad uso privato? È reato
Con la sentenza n. 20142 la Corte di Cassazione ha stabilito che si viene a configurare reato nel caso in cui un circolo privato diffonda in pubblico un programma a pagamento con decoder ad uso privato. Secondo i giudici di legittimità, è necessario il preventivo accordo con il distributore. Pur avendo i presidenti dei due club avevano eccepito in Cassazione la non configurabilità del reato per l’assenza dello scopo di lucro (che non ha il circolo), la Terza sezione penale ha stabilito che configura violazione dell’art. 171-ter, comma primo, lett. e), legge n.633/1941 e successive modificazioni, (“Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”) diffondere programmi in pay per view senza il preventivo accordo con il distributore, che nel caso di specie è un noto canale satellitare. In particolare, come si legge nella motivazione della sentenza che riprende alcune decisioni del 2008 (n.13812) la condotta dei circoli, che posseggono “una smart card legittimamente detenuta in base a contratto ed idonea a consentire la ricezione di programmi televisivi a pagamento per uso esclusivamente privato” e “in assenza di accordo con il distributore” integra reato. Pertanto, secondo il giudizio della Corte “legittimamente, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 171 ter, lett. e) che punisce la trasmissione o diffusione di un servizio criptato al di fuori dell’accordo con il legittimo distributore sull’uso strettamente personale anche per la ritenuta sussistenza del dolo specifico ravvisato, con motivazione non illogica, con riferimento all’incremento patrimoniale conseguito dai presidenti dei suddetti circoli per la presenza di un notevole numero di avventori e con la conseguente maggiore somministrazione di alimenti e bevande”.