I consulenti del lavoro non sono abilitati al pagamento delle imposte per i lavoratori autonomi e per le società.
E’ questa la decisione della VI sezione penale della Suprema Corte, la quale ha ritenuto punibile del reato di “abusivo esercizio di una professione”, previsto dall’art. 348 c.p.., il consulente del lavoro che fornisce assistenza fiscale a lavoratori autonomi ed imprese.
La questione viene portata a conoscenza della Corte di Cassazione mediante un ricorso avverso una ordinanza del Tribunale del Riesame di Lucca, al quale i difensori dell’imputato si erano rivolti per sentirsi dichiarare illegittimo il sequestro dello studio professionale a seguito della contestazione del reato indicato. La difesa ritiene che la consulenza tributaria e il controllo dei bilanci d’impresa non siano attività esclusive di una categoria di professionisti.
Nella sentenza de qua, la Corte ritiene che il consulente del lavoro abbia competenza solo in materia di redditi di lavoro dipendenti, mentre negli altri ambiti, lavoro autonomo e societario, egli non sia legittimato in quanto non ha la necessaria abilitazione, avvalorando l’ipotesi di reato ex art. 348 c.p..
Ma vi è di più.
I Giudici ritengono configurabile tale reato, anche se non è prevista alcuna riserva di legge nell’ordinamento della professione, ma è sufficiente l’accertamento che la prestazione erogata costituisca un atto tipico della professione esercitata abusivamente.