Attraversamento sulle strisce e responsabilità dell’automobilista
L’importanza di questa sentenza di legittimità è di aver ritenuto,
contrariamente agli altri orientamenti, che il pedone ha certamente il
diritto di precedenza nell’attraversamento della strada sulle strisce
pedonali.
Tale orientamento smentisce che le c.d. “strisce
pedonali” non impongono al conducente dell’auto l’obbligo di fermarsi
in ogni caso, come invece il segnale di “stop”, ma solo di moderare
ulteriormente la velocità, nell’approssimarsi alle stesse, di
accertarsi dell’esistenza nei pressi di un pedone e di arrestarsi solo
se è avvistato un pedone che si accinge ad attraversarle ovvero che le
stia già attraversando. In realtà, tenendo presente le motivazione
della sentenza di legittimità, l’obbligo di arresto del veicolo, in
prossimità degli attraversamenti pedonali, è strettamente connesso
all’avvistamento di un pedone, che tenga un comportamento che in
qualche modo lasci presumere che stia per avvalersi delle strisce
pedonali per l’attraversamento. Qualora detto preventivo accertamento
non sia possibile, perché l’accesso alle strisce pedonali è coperto da
ostacoli (quali ad esempio altre auto parcheggiate, cartelloni
pubblicitari o fermate di autobus), la velocità, che già deve essere
moderata per il solo fatto della presenza della zona di attraversamento
pedonale, deve ulteriormente essere ridotta, non essendo assolutamente
imprevedibile che, dietro quell’ostacolo visivo, possa esservi un
pedone, che si accinga ad attraversare la strada. La velocità deve
essere commisurata alla possibilità di arrestare l’auto, qualora si
verifichi detta ultima evenienza.
Art. 2054, comma 1, c.c. e responsabilità del conducente
La ratio
dell’art. 2054, comma 1, c.c., richiede che il conducente del veicolo
abbia un comportamento oculato e prudente, fino ai limiti estremi della
diligenza.
La prova liberatoria da parte del conducente, di cui
all’art. 2054, c. 1, c.c., nel caso di danni prodotti a persone o cose
dalla circolazione di un veicolo, non deve essere necessariamente data
in modo diretto, cioé dimostrando di avere tenuto un comportamento
esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della
strada, ma può risultare anche dall’accertamento che il comportamento
della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento
dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le
concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità
di attuare una qualche idonea manovra di emergenza (Cass. 2.12.1986, n.
7113; Cass. 16 giugno 1993, n. 6707). In particolare se il pedone pone
in essere un comportamento colposo che può costituire causa esclusiva
del suo investimento da parte di un veicolo, il conducente, sul quale
grava la presunzione di responsabilità di cui alla prima parte
dell’art. 2054 c. c., va ritenuto esente da colpa, ove dimostri che
l’improvvisa ed imprevedibile comparsa del pedone sulla propria
traiettoria di marcia ha reso inevitabile l’evento dannoso, tenuto
conto della breve distanza di avvistamento, insufficiente per operare
una idonea manovra di fortuna. Quindi la responsabilità del conducente
coinvolto nell’investimento d’un pedone, pur essendo presunta, può
essere tuttavia esclusa, non solo quando l’investitore abbia fornito la
prova d’aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma anche
quando risulti con certezza, dalle modalità del fatto, che non v’era da
parte sua una reale possibilità di evitare l’incidente; tale situazione
ricorre allorché il pedone compia l’attraversamento della strada
immettendovisi cosi repentinamente da costituire un ostacolo improvviso
ed inevitabile si da non consentire al conducente di evitarne
l’investimento (Cass. 27 aprile 1990, n. 3554).
I danni
La
sentenza in esame non ha riconosciuto, quale lesione del credito, il
danno derivato dalla perdita della possibilità di ereditare dalla madre
l’appartamento che il locatore le aveva offerto di acquistare ad un
prezzo assolutamente vantaggioso.
Inoltre, tale sentenza ha escluso la risarcibilità, iure hereditario,
del danno biologico subito alla madre in ragione della brevità del
lasso di tempo per il quale era sopravvissuta alle lesioni, nonché del
danno “esistenziale” che i figli avevano subito. Ciò è avvenuto in
applicazione dei principi enunciati dalle Cass. civ., sez. un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972,
la quale quest’ultima sentenza ha ribadito che il danno non
patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali
si dividono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è
prevista in modo espresso (fatto illecito integrante reato) e quello in
cui la risarcibilità, pur non essendo prevista da norma di legge ad
hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., per avere il
fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona
direttamente tutelato dalla legge. Nella medesima sentenza è stato
aggiunto che il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia
ed onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare
ulteriori sotto categorie. Pertanto il c.d. danno esistenziale, inteso
quale “il pregiudizio alle attività non remunerative della persona”
causato dal fatto illecito lesivo di un diritto costituzionalmente
garantito, costituisce solo un ordinario danno non patrimoniale, che
non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente
denominato.