Attraversamento sulle strisce e responsabilità dell’automobilista (sentenza completa)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 3 luglio – 30 settembre 2009, n. 20949
(Presidente Di Nanni – Relatore Amatucci)
Svolgimento del processo
1.
– Il ****, a ****, nella centrale via ****, l’ottantenne M. B. fu
investita da un motociclo mentre attraversava la strada sulle strisce
pedonali. Un’ora e mezzo più tardi morì per le lesioni craniche
riportate.
I figli R., R. ed A. G. agirono per il risarcimento
innanzi al tribunale di Firenze nei confronti del proprietario e
conducente del ciclomotore F. P. e della società assicuratrice Geas
Assicurazioni s.p.a., la quale sola si costituì e resistette alla
domanda.
Con sentenza del 4.10.2000 l’adito tribunale dichiarò
che l’evento era ascrivibile per il 30% alla condotta della stessa B.,
escluse la sussistenza di danno patrimoniale (ulteriore rispetto alle
spese funerarie) e biologico (iure proprio ed hereditario), liquidò il
danno morale subito da ciascuno dei figli in L. 80.000.000, condannò i
convenuti al pagamento ad ognuno di L. 56.091.142 (pari al 70%
dell’importo complessivo) e pose le spese processuali per due terzi a
carico dei convenuti, compensandole per il residuo terzo.
2. – La decisione fu appellata da tutte le parti.
Con
sentenza n. 167 del 2004 la corte d’appello di Firenze rigettò
l’appello dei G. e, dato atto che la somma di L. 50.000.000 versata ad
ognuno degli attori nell’intervallo fra la prima e la seconda udienza
di primo grado era satisfattiva, condannò i G. al pagamento delle spese
del secondo grado e dei due terzi di quelle del primo.
3. –
Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione i G., affidandosi a
cinque motivi, cui resiste con controricorso la Commercial Unioni
Italia s.p.a. (succeduta alla società che era succeduta alla Geas), che
al momento della discussione aveva mutato la denominazione sociale in
Aviva Italia s.p.a..
Motivi della decisione
1.
– Col primo motivo sono denunciati falsa applicazione delle norme poste
dal vecchio e dal nuovo codice della strada (r.d. 8.12.1933, n. 1740 e
d.p.r. 15.6.1999, n. 393) nonché vizio di motivazione in ordine al
ravvisato, concorrente apporto causale colposo della stessa vittima,
che stava attraversando sulle strisce pedonali e della quale non erano
stati individuati comportamenti diversi da quelli comuni e legittimi
per un pedone, non essendo stato da alcuno affermato che ella avesse
tenuto una condotta imprevedibile.
1.1. – Alle (non numerate) pagine 7 e 8 della sentenza la corte d’appello ha ritenuto:
a)
che fosse indubitabile la prevalente colpa dell’investitore, “per aver
marciato ad una velocità e/o con un’attenzione non adeguate in
relazione alla presenza di strisce pedonali ed all’arco posto alla sua
sinistra, dal quale non era affatto imprevedibile che sbucasse qualche
pedone con l’intento di attraversare la strada sulle strisce pedonali
poste nelle immediate vicinanze di tale arco”;
b) che tuttavia
non poteva negarsi il concorso di colpa del pedone, che aveva
attraversato la strada da sinistra a destra rispetto alla direzione di
marcia del motociclo, provenendo dalla volta di ****,
“frettolosamente… ed a testa bassa senza controllare la sussistenza
di veicoli che circolavano in via ****”, come dichiarato da un teste in
sede penale con affermazioni convergenti con le risultanze del rapporto
dei vigili urbani;
c) che il pedone ha certamente il diritto
di precedenza nell’attraversamento della strada sulle strisce pedonali
o nelle immediate vicinanze, “ma che ciò non lo esime affatto dal
controllare con attenzione, nel primario suo interesse, se stiano
sopraggiungendo veicoli da destra o da sinistra”;
d) che,
nella specie, se la B. (pedone) “avesse, uscita dall’arco di ****,
guardato con attenzione a destra prima di intraprendere
l’attraversamento della strada, avrebbe sicuramente visto
sopraggiungere il motociclo a velocità non adeguata, o che comunque non
mostrava segni di rallentamento, tali da farle ragionevolmente
presumere che si sarebbe arrestato per concederle la dovuta
precedenza”.
1.2. – L’inaccettabile corollario
dell’affermazione sub d) è dunque che, prima di attraversare sulle
strisce, il pedone debba accertarsi anche che i veicoli sopraggiungenti
mostrino segni di rallentamento così da consentirgli di presumere che
si arrestino; e che, se non lo fa e viene investito perché un veicolo
non si arresta, la “colpa” di quel che accade è anche sua.
Va
in contrario osservato che il dovere di rallentare fino a fermarsi per
consentire l’attraversamento del pedone sulle strisce pedonali fa
carico al conducente del veicolo, che la velocità va dallo stesso
adeguata al contesto dei luoghi ed all’area visibile nelle immediate
vicinanze delle strisce, che sul conducente incombe l’obbligo di
presumere che nello spazio a tanto destinato un pedone possa in ogni
momento attraversare, che, soprattutto, nessun dovere ha il pedone (che
ben può essere anche un vecchio o un bambino) di valutare l’intenzione
del conducente di lasciarlo effettivamente passare (come deve),
apprezzando l’eventuale rallentamento del sopraggiungente veicolo.
A
meno, infatti, di riguardare l’attraversamento sulle strisce di una
strada come un impegnativo momento di valutazioni di velocità ed
intenzioni altrui, occorre che ogni conducente, nell’approssimarsi alle
strisce pedonali – ancor più se queste si trovino, come nella specie,
in una zona centrale di una città – abbia la chiara consapevolezza che
deve non solo dare la precedenza, ma anche tenere un comportamento
idoneo ad ingenerare nel pedone la sicurezza che possa attraversare
senza rischi, non essendo in linea con le elementari regole di
comportamento proprie di in un paese civile che un conducente possa
considerare una mera facoltà il suo inderogabile obbligo di dare la
precedenza ai pedoni sulle strisce pedonali e che il pedone debba, dal
canto suo, riguardare l’attraversamento come un temerario atto di
coraggio, anche dove ha diritto di farlo con l’aspettativa che i
conducenti si fermino per lasciarglielo fare.
Che, poi, egli
controlli “nel primario suo interesse” (come afferma la corte
d’appello) qual è la situazione che in concreto gli si presenta è
senz’altro opportuno ed auspicabile; ma costituisce un errore in
diritto ritenere che l’omissione, da parte del pedone che attraversi la
strada sulle apposite strisce, del controllo e dell’apprezzamento della
velocità dei veicoli sopraggiungenti, o addirittura dell’intenzione di
un conducente di rallentare o fermarsi, possa assumere la valenza – ex
art. 1227, comma 1, cod. civ. – di concorso del fatto colposo dello
stesso danneggiato nel caso in cui venga investito. E ciò perché, come
sopra s’è detto, nella particolare materia in esame, non può predicarsi
il dovere di essere tecnicamente cauto da parte di chi (il pedone),
potendo legittimamente essere privo delle doti necessarie per
effettuare tale tipo di apprezzamento, ha ragione di fare pieno
affidamento sulla specificamente prescritta cautela altrui (del
conducente di un veicolo).
Tanto non significa che un
possibile concorso colposo del pedone non sia mai ravvisabile. Ma può
esserlo solo se il pedone abbia tenuto una condotta assolutamente
imprevedibile e del tutto straordinaria, non ipotizzatale nel caso di
semplice attraversamento “frettoloso ed a testa bassa”, cui la corte
territoriale ha invece conferito determinante rilievo.
Il motivo va pertanto accolto.
2.
– Col secondo, terzo e quarto motivo i ricorrenti rispettivamente si
dolgono, denunciando violazione di norme di diritto e vizi della
motivazione su punti decisivi:
a) che la corte d’appello non
avesse riconosciuto, quale lesione del credito, il danno loro derivato
dalla perdita della possibilità di ereditare dalla madre l’appartamento
che il suo locatore **** le aveva offerto di acquistare ad un prezzo
assolutamente vantaggioso (L. 31.400.000, in luogo di quello
corrispondente al valore commerciale di L. 170.000.000) benché ella
avesse accettato l’offerta, riservandosi solo di indicare le modalità
di pagamento;
b) che fosse stata esclusa anche la
risarcibilità, iure hereditario, del danno biologico subito alla madre
in ragione della brevità del lasso di tempo per il quale era
sopravvissuta alle lesioni (circa un’ora e mezzo), nonché del danno
“esistenziale” che i figli avevano subito;
c) che il danno
morale fosse stato loro liquidato nella inadeguata misura di L.
80.000.000 ciascuno (con la ulteriore diminuzione connessa all’apporto
causale colposo ravvisato a carico della vittima).
2.1. – Tutti e tre i motivi di censura sono infondati.
Sul
primo è sufficiente rilevare che non sussiste lesione di un credito
(che avrebbe presupposto l’obbligo di vendere da parte di **** e,
dunque, l’intervenuta conclusione di un contratto preliminare di
compravendita) e che i rilievi, in fatto, del giudice del merito circa
le incertezze relative al raggiungimento dell’accordo sulle modalità di
pagamento, al loro rispetto da parte dell’eventuale acquirente, alla
possibile incertezza che la madre, quand’anche avesse acquistato,
avrebbe poi lasciato in eredità l’immobile ai figli e non ne avrebbe
invece diversamente disposto, ai dubbi sulle possibili premorienze
costituiscono apprezzamenti di merito adeguatamente motivati,
insuscettibili di diverse valutazioni in sede di legittimità ed in se
stessi integranti una coerente spiegazione delle ragioni per le quali
la corte ha in sostanza escluso, pur senza espressa citazione dell’art.
1223 c.c. (la cui violazione non è, peraltro denunciata), che il
preteso danno costituisse conseguenza immediata e diretta
dell’illecito, essendo l’aspettativa dei figli soggetta “a tali e tante
condizioni da non meritare tutela giuridica”.
2.2. –
L’infondatezza del secondo e del terzo motivo discende
dall’applicazione dei principi enunciati dalle sezioni unite, con
sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, con la quale sono stati ampiamente
svolti gli approfondimenti e le meditazioni sollecitati dai ricorrenti.
È stata, in particolare esclusa la riconoscibilità del danno da
morte (cosiddetto tanatologico) come danno biologico e si è specificato
che determina una duplicazione di risarcimento la congiunta
attribuzione del danno da perdita del rapporto parentale e del danno
morale, inteso in una configurazione più lata della sofferenza psichica
traneseunte (cfr. la motivazione, sub. 4.9.). Nella specie, il danno
morale delle vittime secondarie del fatto costituente reato è stato
riconosciuto in misura che non autorizza in alcun modo la conclusione
che il giudice del merito abbia inteso indennizzare solo la sofferenza
transeunte, sicché il pregiudizio da perdita del rapporto parentale
deve dirsi sostanza già risarcito.
3. – Fondato è, invece, il
quinto motivo, col quale i ricorrenti censurano la sentenza per vizio
di ultrapetizione nella parte in cui ha addossato le spese del primo
grado ai G. per 2/3, benché la controparte società assicuratrice avesse
chiesto che fosse riformata nel senso della compensazione integrale la
sentenza del tribunale che aveva, invece, posto le spese per 2/3 a
carico dei convenuti (assicurato ed assicuratore).
Sussistono in realtà distonie logiche fra motivazione e dispositivo, verosimilmente frutto di un duplice errore trascrittivo.
4.
– In conclusione, accolto il primo ed il quinto motivo e rigettati gli
altri, la sentenza va cassata in relazione alle censure accolte con
rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione affinché,
nel rispetto degli enunciati principi (sub 1.2.), effettui un nuovo
apprezzamento di fatto sulla sussistenza dell’apporto causale colposo
del pedone, si pronunci sulle spese del primo grado senza eccedere
rispetto alla richiesta di riforma sul punto e liquidi anche le spese
del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La
Corte di Cassazione accoglie il primo ed il quinto motivo di ricorso e
rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione alle
censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di
Firenze in diversa composizione.