Auto blu da record solo sforbiciate – Le Province prima abolite e poi salvate – Gli sprechi da guiness secondo Gian Antonio Stella
Rischiavano di scomparire in tempi brevissimi nove Province italiane: infatti, dalla prima bozza del provvedimento governativo che contiene ora la manovra economica aggiuntiva (dettagliatissima la news di Luisa FOTI del 3 giugno 2010), espunte quelle con numero di abitanti superiore ai 220mila (Terni curiosamente è di appena qualche unità sotto la fatidica soglia) e quelle che confinano con l’estero (chissà mai perché), le province che ricadevano sotto la scure dell’Esecutivo erano appena nove. Una goccia nell’oceano. I dati Istat 2009 rilevano la popolazione residente al 2008. Questo l’elenco provvisorio ch’era trapelato dalle prime indiscrezioni: Biella (187 mila abitanti), Massa Carrara (203 mila abitanti), Ascoli Piceno (212 mila), Fermo, istituita or ora, (176 mila), Rieti (159 mila), Isernia (88 mila), Matera (203 mila), Crotone (173 mila) e Vibo Valentia (167 mila). Balzava agli occhi l’irrazionale soppressione sia di Ascoli Piceno che di Fermo, adiacenti, tant’è che Fermo è nata proprio da una costola ascolana e verrebbe uccisa nella culla con sperpero di danaro pubblico, mentre ovviamente Ascoli senza lo smembramento territoriale a vantaggio di Fermo sarebbe grandemente al di sopra della soglia dei 220mila abitanti. Oltretutto, entro sessanta giorni le due province avrebbero dovuto scegliere per l’annessione ad altra provincia marchigiana, ovviamente Macerata, unica confinante, atteso che non avrebbero potuto optare per Ancona o Pesaro, che sono pure a non trascurabile distanza. Si salvavano anche le Province rientranti nelle Regioni a statuto speciale, come tutte quelle pletoriche della Sardegna: da Olbia-Tempio a Carbonia-Iglesias fino a quella dell’Ogliastra: e le Comunità Montane a zero sul livello del mare? Si era preconizzata la soppressione delle province più piccole, ma le auto blu restano sempre a pieno organico, quantunque la manovra correttiva preveda una minuscola riduzione del 20% per quanto concerne la spesa sostenuta nell’anno 2009, sulle spese per l’uso delle autovetture di servizio (acquisto, manutenzione, noleggio, esercizio di autovetture, buoni taxi) ad eccezione dei vigili del fuoco e del comparto sicurezza; l’unica soluzione accettabile sarebbe stata – in perfetta antitesi – lasciare soltanto il 20% del circolante, eliminando il restante 80%. Sapere quanto costa un “accompagnamento” dell’autorità cui è dedicata la vettura di rappresentanza è materia misteriosa. Pare €250,00 a singolo “accompagnamento”, il che equivale a concludere che nel duplice tragitto casa-ufficio di uno dei “bramini” privilegiato della Casta vanno in fumo mille euro al giorno a macchina. Un impiegato che usa i mezzi pubblici integrati di una grande città: €2,00 al dì. Ogni vettura prevede ovviamente due autisti per assicurare l’orario completo di lavoro, sovente di natura straordinaria. Gli Stati Uniti, per contro, vantano appena 72.000 auto diplomatiche, la Germania 54.000, l’Italia -tenetevi forte!- ha 626.760 soltanto di autovetture di rappresentanza nella disponibilità della Pubblica Amministrazione. Ma si tratta di un censimento per difetto. In pratica, in Italia vantiamo più auto blu di tutti i Paesi più sviluppati del globo messi insieme. Al confronto, si rivelava davvero esiguo il risparmio che potrebbe scaturire dalla soppressione di appena nove Province, peraltro scelte a caso senza un plausibile criterio ed adoperando un congegno normativo a forte sospetto d’incostituzionalità. Talché, il Governo ha fatto dietrofront sulle Province, dando una sforbiciata alle auto blu. Chiunque ormai concorda sull’abolizione delle Province, purché di tutte in blocco, senza praticare ingiustizie ed riassorbendo il personale in altri enti. Parimenti andrebbero soppresse quasi tutte le Comunità Montane. Rimane ignoto il motivo che si frappone all’eliminazione immediata di costi ictu oculi inutili che ai cittadini, chiamati a durissimi sacrifici, con buste paga falcidiate e scatti congelati per anni, appaiono sempre più incomprensibili. Ed i partiti politici, visti ormai dai cittadini come astronavi venusiane tanto sono distanti dal comune sentire, in Italia sono nientepopodimenoche pervenuti all’incredibile numero di 156. “I nostri -sostiene sul Corriere della Sera del 3 giugno 2010 l’immenso Gian Antonio STELLA, ideatore con il collega Rizzo dell’icastico termine “la Casta”- si sono gonfiati e gonfiati fino ad allagare la società, le istituzioni, le municipalizzate, l’economia, il calcio, il teatro, le bocciofile, tutto. E a pesare come in nessun altro posto al mondo. Ricordiamolo: ogni francese contribuisce al mantenimento dei partiti con circa 1,25 euro, ogni tedesco con 1,61, ogni spagnolo con 2,58, ogni italiano con 3 euro e 38 centesimi negli anni «normali» come il 2006, addirittura 4 e 91 centesimi negli anni grassi di doppia razione grazie all’infernale meccanismo in fase di soppressione. Un confronto inaccettabile. Tanto più rispetto a paesi come gli Stati Uniti, dove il finanziamento pubblico alle forze politiche è limitato alla campagna presidenziale: 50 centesimi ad americano. Ogni quattro anni.” Stella pone l’accento anche sull’abolizione di “quell’indecente regoletta che consente a chi regala soldi a un partito di ottenere sgravi fiscali fino a 51 volte superiori a quelli che avrebbe donando il denaro a chi si occupa della ricerca sul cancro o della cura di bambini leucemici. Non era una questione di soldi: di principio. È rimasto tutto com’era.” D’ora in avanti lo chiameremo Gian Antonio STELLA …cometa per orientarci nella temperie che stiamo vivendo.