Autolesioni dell’alunno: responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante
TRIBUNALE DI CATANIA
Quinta Sezione Civile
Sentenza n. 1478/06
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In nome del Popolo Italiano
Il giudice Felice Lima ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 6205/02 R.G.,
promossa da
V. M., nato a Catania il XXXXX 1983, res. in Carlentini, c.da M., c.f. …… dom. in Catania, via F. Crispi n. 177, presso lo studio dell’avv. Giovanni C. Lisi, rappr. e dif. dall’avv. Orietta Gramillano, per mandato a margine dell’atto introduttivo del giudizio; – Attore
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nella persona del Ministro in carica, dom. in Catania, via Vecchia Ognina n. 149, presso gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, che lo rappr. e dif. per legge; – Convenuto
e contro
Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a., con sede in Milano, viale Certosa n. 222, p.i. 01677750158, dom. in Catania, via F. Pensavalle n. 20, presso lo studio dell’avv. Sebastiano Sapuppo, che la rappr. e dif. per mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
– Convenuta
posta in decisione all’esito dell’udienza del 23 gennaio 2006, sulle conclusioni precisate come in atti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 17.6.2002, V. M. conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale il Ministero della Pubblica Istruzione, oggi Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.—————
Esponeva il suo procuratore:
«- che V. M., nell’anno scolastico 1998/1999 ha frequentato la classe 3° Sez. G della Scuola Media Statale “G.M.ni”;
– che, il giorno 15.5.1999 durante l’ora di educazione fisica, mentre l’alunno V. eseguiva un esercizio di salto in alto, si infortunava sbattendo il ginocchio destro sui denti;
– che, la prof.ssa C. avvertiva telefonicamente la sig.ra D. L., per l’incidente occorso al figlio;
– che la sig.ra D. L. precipitatasi a scuola trovava il figlio M. sanguinante nell’arcata dentaria superiore;
– che la stessa madre trasportava il figlio d’urgenza presso l’Ospedale di Lentini, dove i sanitari di turno lo medicavano e lo sottoponevano a radiografie, indi diagnosticavano contusione arcata mentoniera superiore;
– che in seguito all’incidente e per la contusione riportata V. M. ha subito una menomazione dentaria, che ha compromesso la funzione masticatoria e pertanto si dovrà sottopone a un trattamento ortodontecnico fisso della durata di due anni, subendo un’inabilità temporanea assoluta della funzione masticatoria di giorni 30, e un’inabilità temporanea di giorni 20, ed è residuata un incapacità permanente della funzione masticatoria del 2% rispetto alla totale;
– che il trattamento ortodontecnico dovrebbe avere un costo di € 6.713,94 come da preventivo che si allega, redatto dal dott. S. C.;
– che il danno subito ammonta complessivamente a € 9.999,02 così distinto € 1.322,54 per danno da R.C. € 413,17 per danno biologico € 1.162,03 per I.T.A. ed € 387,34 per I.T.R. ed € 6.713,94 per spese;
– che sebbene messi in mora con racc. A.R. sia la Scuola Media Statale M.ni che la Norditalia Assicurazioni, non hanno inteso risarcire il danno;
– che, iniziato il giudizio di risarcimento danni presso il Tribunale di Siracusa Sez. distaccata di Lentini, il giudice del predetto Tribunale con sentenza n. 5/02 del 12.4.2002 ha dichiarato la propria incompetenza territoriale, trattandosi di fattispecie demandata alla competenza Territoriale dell’on.le Tribunale di Catania».
Sulla base di tali assunti, chiedeva al Tribunale di «condannare la scuola al pagamento in favore di V. M., della complessiva somma di € 9.999,02 così specificata € 1.322,54 per danno da R.C. € 413,17 per danno biologico, € 1.162,03 per I.T.A. ed € 387,34 per I.T.R. ed € 6.713,94 per spese, in considerazione che dalla lesioni riportate sono residuati anche postumi invalidanti di carattere permanente, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dì dell’incidente al soddisfo».
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca si costituiva in giudizio, esponendo:
«1) Infondatezza nel merito della domanda di parte attrice.
Nell’affermare la culpa in vigilando dell’Amministrazione odierna convenuta la parte attrice opera un chiaro, seppur implicito, riferimento all’art. 2048 c.c. il quale – com’è noto a questa difesa – pone la presunzione di responsabilità in capo a “precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte” per il “danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”.
E’ appena il caso di rilevare, tuttavia, che “in tema di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., il dovere di vigilanza dell’insegnante va commisurato all’età e al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto” (per tutte, Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1998, n. 12424).
Ovviamente, nel caso che qui ci occupa, l’età della studente (15 anni al tempo dell’incidente) è indice di un grado di maturazione fisio-psichica che attenua in misura rilevantissima il contenuto dell’obbligo di vigilanza dell’insegnante.
Le circostanze concrete, del resto, contribuiscono ad escludere la responsabilità dell’Istituto odierno comparente, considerando che, in sede di allenamento ginnico, il rischio di un sinistro della specie di quello per cui oggi è controversia rientra – per dir così – nell’ordine delle cose.——
Vanno peraltro evidenziati due ulteriori elementi di fatto.
In primo luogo, come asserito nell’atto di citazione da controparte, il danno subito dal minore nell’infortunio di che trattasi è stato provocato da un suo errore nella esecuzione dell’esercizio ginnico.
Giova rammentare – relativamente a una fattispecie concreta pressoché identica – che secondo la giurisprudenza “dell’infortunio di un alunno, incespicato durante una partita di calcetto su asfalto, non sono responsabili né il preside che ha autorizzato lo svolgimento del torneo scolastico, né l’insegnante di educazione fisica che lo ha diretto come organizzatore e arbitro” (Trib. Latina, 17 marzo 1994).
Il principio desumibile da tale pronuncia – conforme per la verità alla comune logica oltre che al diritto – è chiarissimo: non è possibile imputare ai soggetti tenuti alla vigilanza del minore i pregiudizi che esso minore, nell’ambito della propria libertà di autodeterminazione (man mano crescente con l’approssimarsi alla maggiore età, come si è detto), procuri a sé stesso.
In secondo luogo, d’altronde, dei 600 (seicento!) alunni iscritti all’istituto, solo l’alunno V. è incorso in un sinistro di tal genere durante l’espletamento della lezione di educazione fisica: il che, si converrà, appare indice sicuro della attribuibilità del sinistro medesimo a un caso fortuito.
Peraltro, nella non temuta ipotesi in cui le superiori argomentazioni non dovessero convincere codesto giudice, si segnala che l’onere economico derivante dalla (si ripete, non temuta) condanna al risarcimento dell’amministrazione odierna comparente graverebbe comunque sull’istituto assicuratore chiamato in garanzia».
Sulla base di tali assunti, chiedeva al Tribunale di:
«a) preliminarmente disporre lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la chiamata in causa della Norditalia Assicurazioni;
b) rigettare le domande dell’attore ».
Si costituiva anche la Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a., deducendo:
«Costituendosi nel presente giudizio, la Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a. contesta le domande, formulate» da parte attrice «nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione – Scuola Media Statale G. M.ni, perché infondate in fatto e in diritto, chiedendone pertanto il totale rigetto. Si fanno proprie tutte le deduzioni ed eccezioni formulate dai Ministero della Pubblica Istruzione nella comparsa di costituzione e risposta, anche in relazione applicabilità dell’art. 2048 c.c. nella fattispecie che ci occupa.
La Suprema Corte di Cassazione, ha escluso ogni responsabilità dei precettori e maestri se gli stessi provino di non avere potuto impedire il fatto in quanto non prevedibile e pertanto non prevenibile.
Tutto ciò depone per una totale assenza di responsabilità a carico dell’amministrazione scolastica. I fatti, in conseguenza dei quali l’allievo V. assume di essersi infortunato appaiono, se provati, frutto di un suo errore durante l’esecuzione di un esercizio ginnico.
In subordine e per completezza di difesa si contesta il quantum richiesto in quanto irreale, non provato e in ogni caso non dovuto.
A tal fine si rileva che la polizza n. 168/17638 che viene allegata in atti, prevede un rimborso spese odontotecniche di £ 1.000.000 a dente con un invalidanti accertati [la frase, incomprensibile, è così nella comparsa di risposta], sarà risarcibile tenendo conto di una franchigia del 3%».——-
Sulla base di tali assunti, chiedeva al Tribunale di «rigettare le domande attrici siccome assolutamente infondate in fatto e in diritto. In ogni caso statuire che eventuali esborsi a carico della Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a. in virtù della polizza stipulata dovranno essere ricondotti entro i massimali previsti e sottoscritti con applicazione delle relative franchigie».
Il procuratore dell’attore chiedeva ammettersi due interrogatori formali.
Il giudice istruttore, con ordinanza del 27.8/2.9.2004, rigettava la richiesta, inammissibile in relazione al fatto che l’interrogatorio formale può essere richiesto solo con riferimento alle parti del giudizio e, invece, le persone che parte attrice voleva far interrogare non sono parti del giudizio.
Acquisiti i documenti offerti in produzione e precisate le conclusioni, la causa veniva posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 ________
Il fatto oggetto del contendere è stato descritto nell’atto di citazione testualmente come segue: «Il giorno 15.5.1999 durante l’ora di educazione fisica, mentre l’alunno V. eseguiva un esercizio di salto in alto, si infortunava sbattendo il ginocchio destro sui denti».
Il procuratore dell’attore ha prodotto copia di una lettera del 17.5.1999, inviata alla Norditalia Assicurazioni, a firma del Preside della scuola “G. M.ni”, ove è avvenuto l’incidente controverso.
In quella lettera il fatto è narrato come segue: «L’alunno V. M. … giorno 15.5.1999 alle ore 11.10, durante l’ora di educazione fisica eseguendo il salto in alto si infortunava sbattendo il ginocchio destro sui denti».
Tale fatto, così come descritto da parte attrice, non è stato contestato dalle parti convenute.
2 ________
In diritto, il procuratore dell’attore, con la comparsa conclusionale, invoca in favore del proprio assistito le statuizioni contenute in Cass. Sezioni Unite, 27 giugno 2002, n. 9346, e sostiene che:
«L’attore ha provato ed è stato anche confermato da controparte, con i documenti prodotti, che il danno alla persona di V. M. si è verificato durante lo svolgimento della lezione di educazione fisica, nell’ambito del quale la prof.ssa di ed. fisica e per essa la scuola doveva dimostrare che l’evento dannoso e il sinistro è stato determinato da una causa a loro non imputabile, in quanto l’obbligazione gravante sull’insegnante dipendente della scuola pubblica deriva da un “contatto sociale” con l’alunno, con il conseguente nascere in quest’ultimo di un affidamento, nella corretta esecuzione della prestazione professionale.
Da qui scaturiscono obbligazioni, a carico dell’insegnante e della scuola che sorgono per rapporti contrattuali di fatto ossia per il fatto stesso che l’insegnante entri in contatto con l’alunno, derivano in capo all’insegnante obblighi di comportamento, volti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o esposti al pericolo in occasione del contatto stesso. L’insegnante ha un obbligo di protezione nei confronti dell’alunno, in grado di produrre in caso di danno, a responsabilità contrattuale come conseguenza di violazione di obblighi.
Sulla scuola e sull’insegnate, grava una responsabilità di natura oggettiva, identica a quella prevista dall’art. 1218 c.c. La scuola e l’insegnante, per liberasi da tale responsabilità dovevano dare prova ex art. 1218 c.c., dell’impossibilità oggettiva della prestazione, derivante da una causa a loro imputabile, come il caso fortuito. Tale prova da parte del Ministero non è stata data, anziché dare la prova hanno preferito opporsi all’ammissione dei mezzi istruttori sviando la loro responsabilità, sull’art. 2048 c.c.».
Si tratta di una ricostruzione confusa (probabilmente anche a causa di scelte sintattiche che rendono in parte oscuro il pensiero dell’espo-nente) e, nella sostanza, errata dei principi di diritto indicati dalla Corte Suprema.
3 ________
E’ anche vero che la sinteticità della motivazione utilizzata dalle Sezioni Unite per illustrare, nella sentenza sopra citata, l’obiter dictum relativo al tema dell’onere della prova, ha indotto più d’uno a trarne conclusioni affrettate e certamente non condivisibili (non è un caso che su questa parte della sentenza si siano concentrate alcune osservazioni critiche della dottrina).
Infatti, con il dovuto rispetto per le Sezioni Unite della Corte Suprema, l’affermazione contenuta nella motivazione della citata sentenza n. 9346 del 27 giugno 2002, secondo la quale «circa l’onere probatorio, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, l’attore dovrà quindi soltanto provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sarà onere dei convenuti dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a loro non imputabile», va ritenuta, nella sua genericità, in una certa misura approssimativa (e ciò può spiegarsi con il fatto, al quale si è già fatto cenno, che la questione non era rilevante per il caso che la sentenza decideva e vi era inserita come un semplice obiter dictum).
Si impongono, dunque, alcune precisazioni.
Analisi più approfondite del tema si trovano nelle motivazioni di diverse sentenze della Corte di Cassazione che se ne sono occupate in maniera diretta e non incidentale.
Fra tutte, si può citare qui (perché è fra le più recenti e richiama le precedenti) Cass. Sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, relativa a una ipotesi di responsabilità medica (ma la problematica è identica a quella qui in discussione: la ricostruzione dei diversi profili della responsabilità c.d. da contatto sociale). Ha statuito, fra l’altro, quella sentenza che «in tema di onere della prova nelle controversie di responsabilità professionale, questa Corte ha più volte enunciato il principio secondo cui quando l’intervento da cui è derivato il danno non è di difficile esecuzione, la dimostrazione da parte del paziente dell’aggravamento della sua situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie è idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all’inadeguata o negligente prestazione, spettando all’obbligato fornire la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141; Cass. 16 novembre 1988, n. 6220; 11 marzo 2002, n. 3492). Più specificamente, l’onere della prova è stato ripartito tra le parti nel senso che spetta al medico provare che il caso è di particolare difficoltà e al paziente quali siano state le modalità di esecuzione inidonee ovvero a questi spetta provare che l’intervento è di facile esecuzione e al medico che l’insuccesso non sia dipeso da suo difetto di diligenza (Cass. 19 maggio 1999, n. 4852; Cass. 4 febbraio 1998, n. 1127; Cass. 30 maggio 1996, n. 5005; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2335; 16 novembre 1988, n. 6220; altre). I risultati sopra riassunti ai quali è pervenuta la giurisprudenza di legittimità vanno oggi riletti alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di onere della prova dell’inadempimento e dell’inesatto adempimento. Le Sezioni Unite, nel risolvere un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici, hanno enunciato il principio – condiviso dal Collegio – secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento. Analogo principio è stato enunciato con riguardo all’inesatto adempimento, rilevando che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adem-pimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. Applicando questo principio all’onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico deve affermarsi che il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l’inadempimento del sanitario restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento. (…) Porre a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova dell’esatto adempimento della prestazione medica soddisfa in pieno a quella linea evolutiva della giurisprudenza in tema di onere della prova che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla. Infatti, nell’obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non consiste nell’inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l’oggetto è l’attività, l’inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell’esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia «vicina» a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell’inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto».
Così ricostruito il percorso seguito dalla Corte Suprema per ricostruire gli istituti qui in discussione, va fatto un triplice ordine di considerazioni.
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Sotto un primo profilo, l’art. 1218 c.c. dispone che «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».
Dunque, è vero che è il debitore ad avere l’onere di provare l’impossibilità della prestazione, ma tale onere graverà su di lui solo dopo che il creditore abbia provato che la prestazione dovutagli non è stata eseguita o non è stata eseguita esattamente.
In obbligazioni dallo schema contenutistico semplice – quelle, per esempio, che, con una classificazione che nel quadro ormai molto fitto di opportune distinzioni via via introdottevi appare, nella sua approssimativa semplicità, ormai obsoleta e forse inutile, vengono abitualmente indicate come “obbligazioni di risultato” – la ricostruzione dei rapporti fra le parti è altrettanto semplice. Se Tizio ha assunto l’obbligazione di fornire un certo quantitativo di una merce specificata, da consegnarsi in luogo e data certi, qualora la consegna non avvenga, il creditore dovrà provare soltanto che la merce non è arrivata e il debitore, in presenza di un inadempimento conclamato, per sottrarsi alle conseguenze di esso, dovrà provare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
La situazione si fa più complicata quando il contenuto dell’obbli-gazione è complesso e non è facile stabilire se vi sia stato o no inadempimento.
Il che avviene frequentemente nei casi di obbligazioni professionali complesse (quelle che, nella classificazione alla quale si è fatto cenno sopra, vengono definite “obbligazioni di mezzi”).
Se un paziente sottoposto a un delicato intervento chirurgico muore, non può per ciò solo affermarsi che il medico che lo operava è stato inadempiente, per l’ovvia ragione che l’obbligazione da lui assunta non era quella di sottrarre certamente e in ogni modo il paziente alla morte (che può verificarsi per mille cause anche del tutto estranee al controllo del medico operante e addirittura anche del tutto estranee alle patologie per le quali si interviene), ma quella di compiere l’operazione nel modo più competente e diligente, secondo i dettami delle regole della professione medica di quel tempo.
Così come il fatto che un bambino o (come nel caso di specie) un ragazzo si facciano male a scuola non è fatto che da sé solo dimostra l’inadempimento, da parte degli insegnati e della scuola, dei loro obblighi, perché molte sono le situazioni – incolpevoli dal punto di vista degli obblighi qui in discussione – nelle quali in una scuola un fatto del genere può accadere.
In casi come questo, il problema non è stabilire quali siano gli oneri probatori che incombono sul debitore inadempiente, ma accertare se egli sia inadempiente o no.
Dunque, il riferimento all’art. 1218 c.c., contenuto in tutte le sentenze della Corte Suprema sopra citate (e anche in quelle a loro volta citate nelle sentenze sopra riportate) sembra, francamente, errato e frutto di una paralogismo solo suggestivo ma, come tutti i paralogismi, privo di reale fondamento.
Non si può utilizzare la regola di cui all’art. 1218 c.c. per stabilire se il debitore sia o no inadempiente, perché quella norma disciplina solo i casi in cui è già certo che il debitore è inadempiente.
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La questione non riguarda l’art. 1218 c.c., ma – come intuito (senza trarne, purtroppo, le dovute conseguenze) da Cass. Sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297 (che non a caso ha indicato come chiave di soluzione del problema Cass. Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533) – l’art. 2697 c.c..
Dunque, non è vero, ovviamente, – come, invece, sostenuto dal procuratore dell’odierno attore – che si versi in questi casi in una ipotesi di responsabilità oggettiva; ma non è vero, neppure, che nei casi fin qui discussi gravi, in diritto, sul medico, sull’insegnante, su chi, in genere, è tenuto a una complessa prestazione c.d. di mezzi, un onere di prova fondato sull’art. 1218 c.c..
La citata (come si è visto anche esplicitamente da Cass. Sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, che la pone a base della propria statuizione) Cass. Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533, ha affermato il «principio di riferibilità o di vicinanza della prova. In virtù di tale principio, che muove dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l’onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione».
Dunque, la questione non è legata in astratto alla posizione di creditore o debitore di ciascuna delle parti (Cass. 13533/2001 ha proprio inteso superare una ricostruzione degli oneri probatori delle parti fondata rigidamente sulla loro posizione – di attore o convenuto – nel processo e su una interpretazione restrittivamente letterale dell’art. 2697 c.c.) ma alle singole concrete fattispecie oggetto del contendere e non può essere risolta, quindi, affermando in maniera generalissima e genericissima che «nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, l’attore dovrà quindi soltanto provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sarà onere dei convenuti dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a loro non imputabile» (Cass. Sez. Unite, 27 giugno 2002, n. 9346).
Ciò che accadrà è che, in relazione alla concreta natura delle lesioni e alle concrete circostanze nelle quali esse sono state causate (così come, nei casi di responsabilità professionale dei medici, in relazione alla concreta natura delle patologie e delle circostanze oggetto del contendere) potrà – o, in relazione alla stessa concreta natura delle lesioni e delle circostanze, non potrà – ritenersi sussistente quella che Cass. Sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, più volte citata, ha definito come «una presunzione semplice» in ordine all’inadeguata o negligente prestazione dell’insegnante (o del medico, o dell’altro debitore del quale si discuta).
E sembra del tutto evidente che tale presunzione non potrà ritenersi sussistente in tutti i casi, ma solo in quelli nei quali la concreta vicenda oggetto del contendere la giustifichi.
Dunque, se in una scuola materna un bimbo di tre anni verrà restituito ai genitori ferito e la maestra riferirà di non sapere come egli si sia procurato quelle ferite, si potrà e dovrà presumere – in mancanza di una prova del contrario – che la maestra medesima non abbia adempiuto correttamente la propria obbligazione di custodia del bimbo affidato alle sue cure.
Ma se, come nel caso di specie, un ragazzo di quindici anni e mezzo (questa è l’età che l’odierno attore aveva quando è accaduto l’incidente controverso) lamenta di essersi fatto male «sbattendo il ginocchio destro sui denti» mentre «eseguiva un esercizio di salto in alto», nessuna presunzione di responsabilità può ipotizzarsi a carico degli insegnanti e della scuola e l’azione di risarcimento dei danni dovrà fondarsi su concrete allegazioni e su prove delle medesime offerte dalla parte attrice.
E ciò per un duplice ordine di considerazioni.
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Per un verso, infatti, con riferimento alla posizione soggettiva del danneggiato, nessuna particolare difficoltà vi era – a fronte della sua piena capacità, in relazione alla sua età, di percepire e riferire l’accaduto – per l’odierno attore di individuare e allegare in maniera specifica l’inadempimento che concretamente intendeva addebitare agli insegnanti e alla scuola.
Nessun problema di «riferibilità o di vicinanza della prova» si poneva per l’odierno attore e si pone in tutti i casi come quello oggetto di questo giudizio.
Il V., dunque, aveva l’onere – rimasto del tutto inadempiuto – di allegare le ragioni per le quali il fatto che egli abbia sbattuto il ginocchio destro sui denti sia da ascrivere a responsabilità dell’insegnante di educazione fisica e/o della scuola.
Per altro verso, con riferimento all’oggettività del fatto, ritornando, per sola comodità espositiva, alla classificazione delle obbligazioni come “di mezzi” o “di risultato”, non può certamente sostenersi che l’obbligazione dell’insegnante di educazione fisica sia quella di impedire in assoluto qualsiasi tipo di danno che i suoi alunni possano patire, essendo, invece, la sua obbligazione quella di svolgere la lezione e di fare eseguire gli esercizi ginnici in maniera corretta e adeguata.
Ed è fisiologicamente connesso all’esercizio di attività motorie che, facendole, si possa accidentalmente cadere e farsi male, senza che ciò necessariamente significhi che l’insegnante abbia posto in essere azioni o omissioni sotto un qualche profilo censurabili.
Il fatto oggetto dell’odierno contendere, così come narrato nell’atto di citazione, appare essere una normale conseguenza dell’esercizio di un’attività ginnica: un allievo compie un salto in alto e, cadendo male, sbatte il ginocchio destro sui denti.
Non avendo l’odierno attore non solo provato, ma addirittura neppure allegato, che ciò sia avvenuto per una qualche ragione attribuibile a responsabilità dell’insegnante (come, per esempio, avere fatto eseguire agli allievi esercizi superiori alle loro capacità o da svolgersi con attrezzature e/o modalità inadeguate, ecc.), deve ritenersi che l’incidente in questione sia frutto di una inevitabile casualità (un piede messo male, la flessione non governata come si deve, ecc.) e che l’unico modo che vi sarebbe stato di evitarlo era non fare eseguire al V. esercizi ginnici nell’ora dedicata all’educazione fisica. Il che, ovviamente, è del tutto illogico.
Cadere, sbattere il ginocchio sui denti è cosa che può accadere e con una certa “normalità” accade quando si fa ginnastica e, ancor più quando si fanno salti in alto, anche se li si fa sotto la più diligente vigilanza, e, dunque, il solo “essersi fatto male”, senz’alcuna altra precisazione, non può essere considerato indizio e men che meno prova di responsabilità di taluno nella causazione di quel fatto.
Sul punto, ha correttamente statuito il Tribunale di Milano che «ai fini della responsabilità dell’insegnante per fatto illecito occorso ad un alunno di scuola elementare, la presunzione di responsabilità per “culpa in vigilando” non può estendersi sino a ritenere sussistente la responsabilità stessa per il fatto solo che sia stato autorizzato lo svolgimento di giochi aerobici e dinamici» (Tribunale Milano, 27 aprile 2001, in Gius 2001, 2784).
Le domande proposte da V. M. vanno, quindi, rigettate.
7 ________
Le spese processuali, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., seguono la soccombenza.
Il 2° comma dell’art. 92 c.p.c., nel testo riformato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263, consente la compensazione delle spese solo in alcuni casi specifici o per la concorrenza di giusti motivi da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza. Nel caso di specie, nessun motivo sussiste né è stato addotto dalla parte soccombente per legittimare una compensazione delle spese.
I procuratori dei convenuti hanno omesso di produrre le prescritte note.–
In mancanza di esse, tenendo conto della natura e del valore della controversia e dell’attività difensiva effettivamente svolta, le spese del giudizio vanno liquidate, in favore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in complessivi € 2.300,00, di cui € 1.000,00 per diritti ed € 1.300,00 per onorari di avvocato, e in favore della Levante Norditalia Assicurazioni in complessivi € 2.800,00, di cui € 1.200,00 per diritti ed € 1.600,00 per onorari di avvocato, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.
P. Q. M.
Il giudice rigetta le domande proposte da V. M. e lo condanna al rimborso, in favore dei convenuti, delle spese del giudizio, come sopra liquidate in complessivi € 2.300,00 (duemilatrecento/00) in favore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e in complessivi € 2.800,00 (duemilaottocento/00) in favore della Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a., oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.——————-
Deciso in Catania, il 29 aprile 2006.
Il Giudice
Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2006.
Il Direttore di Cancelleria