Automobilista impedisce a un autobus di proseguire la sua marcia
La condotta di guida intimidatoria di chi, sorpassando il veicolo che lo precede, si arresti davanti a questo in modo da impedire all’altro conducente di proseguire la marcia, integra un caso di violenza privata, cui si aggiunge anche l’interruzione del pubblico servizio di trasporto, quando il soggetto passivo è un conducente di autobus di linea. Né l’eventuale stato d’ira in cui può versare l’automobilista, nell’ipotesi di un diverbio instauratosi con il conducente del bus, è idoneo a escludere l’elemento psicologico dei reati, rappresentato dalla coscienza e volontà di provocare, quali che ne fossero i motivi, l’arresto dell’autobus e la conseguente interruzione del pubblico servizio.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 14482/2011. Il caso in esame riguarda l’ autista di un autobus di linea, il quale, mentre si trovava a un incrocio semaforizzato, preceduto da un’autovettura che non era partita nonostante il segnale verde, suonava il clakson e la superava sulla destra. Il conducente dell’autovettura, pur avendo segnalato di dover svoltare a sinistra, proseguiva diritto e, sorpassato il bus, si fermava improvvisamente davanti a questo che, per effetto della manovra imprevista, tamponava l’autovettura. Il Tribunale di Torino riteneva l’automobilista responsabile dei reati di violenza privata e di interruzione di pubblico servizio. Ma, la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’automobilista, sul rilievo che la condotta dell’imputato era stata determinata dall’esigenza di chiedere conto all’autista di una espressione offensiva pronunciata nei confronti della madre nel momento in cui i due mezzi si erano affiancati. Il comportamento dell’automobilista era quindi ritenuto una reazione dovuta all’agitazione e intesa a chiedere spiegazioni all’autista e a ottenerne le scuse, in mancanza del dolo dei reati ascritti. Avverso tale sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino ha promosso ricorso per Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza di secondo grado, con i conseguenti provvedimenti, osservando che la dinamica dei fatti era significativa della volontà dell’imputato di non far proseguire l’autobus, provocando addirittura il tamponamento della sua autovettura e di impedire la prosecuzione del pubblico servizio di trasporto, essendo pretestuose e irrilevanti le affermazioni difensive di aver voluto solo chiedere spiegazioni. La Suprema Corte, sulla base dell’assunto di cui sopra, ha accolto il ricorso.