Autovelox: infrazioni rilevabili solo dalla polizia stradale e non da a terzi Cassazione penale , sez. VI, sentenza 17.03.2010 n° 10620
Con la sentenza 17 marzo 2010, n. 10620 il Supremo Collegio afferma
due distinti principi di diritto. Il primo è quello che in ordine agli
appalti afferenti agli autovelox (come per ogni altro tipo di appalto)
la pattuizione del prezzo in virtù degli incassi incerti e futuri
costituisce una violazione di legge, nonché elemento materiale di cui
all’art. 323 c.p., in quanto verrebbe meno il principio di imparzialità
e di legalità nell’ambito di una funzione pubblica, quale è appunto il
servizio di repressione delle violazioni al Codice della Strada.
E’
evidente che stante il servizio di stretta natura pubblicistica, lo
stabilire il prezzo dell’appalto in funzione degli illeciti da
accertare costituisce un “imput” ingiustificato per l’appaltante di
elevare il maggior numero possibile di contestazioni agli utenti della
strada. Il secondo principio, per altro già consolidato da una recente
sentenza del febbraio 2010 della Cassazione civile, vi è l’obbligo
della presenza dell’agente della polizia stradale o municipale al
momento in cui l’autovelox entra in funzione, agente che peraltro deve
essersi assicurato del buon funzionamento dell’apparecchiatura a pena
di nullità dell’accertamento della violazione. Detto servizio peculiare
della polizia stradale e della polizia municipale, a secondo se la
infrazione avvenga su strade urbane o extra urbane, non è delegabile
anche perché un privato cittadino non potrebbe svolgere funzioni di
polizia stradale.
Sulla base di questi principi, la Cassazione
ha confermato il sequestro degli apparecchi autovelox appartenenti ad
una Ditta, aggiudicataria di una gara d’appalto con percentuale sugli
incassi. Gli strumenti per la rilevazione della velocità venivano
riforniti in due comuni campani.
La determinazione del
corrispettivo con percentuale sugli incassi, hanno rilevato i giudici,
viola di per sé la disciplina generale degli appalti pubblici, non
consentendo un’effettiva comparazione tra interesse pubblico e privato
e determinando ridotte aspettative di imparzialità.
In materia
di circolazione stradale l’accertamento delle violazioni (art. 11 lett.
A C.d.S.), si legge nella sentenza n. 10620/2010, ricade tra le
attività di servizio della polizia stradale, e non sono pertanto,
delegabile a terzi. Gli autovelox hanno una “finalita’” preventiva, e
non repressiva o di finanziamento pubblico o lucro privato e debbono
pertanto essere gestiti direttamente dagli organi di polizia stradale
ed essere nella loro disponibilità.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 17 marzo 2010, n. 10620
…omissis…
RITENUTO IN FATTO
1.
Con ordinanza del 25.9 – 5.10.2009 il Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere confermava – tra l’altro – il sequestro delle apparecchiature
autovelox di proprietà della ditta XXX in uso, a seguito di
aggiudicazione di gara d’appalto, ai Comuni di P. e P. M., in ordine al
reato ex art. 323 c.p..
La vicenda si inseriva in un’indagine
avente per oggetto gli appalti per l’installazione ed uso di apparecchi
autovelox nei territori comunali, il cui valore era stato determinato
con una percentuale sugli incassi delle future infrazioni rilevate.
Secondo il Tribunale:
–
titolari del potere di accertamento delle infrazioni stradali erano
solo i soggetti pubblici indicati nel codice della strada, con funzioni
non delegabili;
– momento decisivo dell’accertamento era quello
del rilievo fotografico, cui doveva necessariamente presenziare uno dei
soggetti indicati dall’art. 12 C.d.s.;
– i proventi delle
sanzioni amministrative pecuniarie sono a destinazione vincolata (ex
art. 208 C.d.s.) e nel caso di accertamento dall’organo di polizia
territoriale per il 50% vincolati alle finalità indicate dalla norma;
–
‘ragionevole dubbio’ di irregolarità del procedimento amministrativo vi
sarebbe invece nel coinvolgimento del soggetto privato nella fase dell’
accertamento dell’ infrazione e nella percezione degli utili.
Sarebbe
irrilevante che il sistema consentisse il servizio con copertura certa
delle spese, rilevando solo la impossibilità di esternalizzare il
servizio (con mero controllo ex post della polizia municipale) e
l’inosservanza dell’onere di determinazione preventiva del valore
dell’appalto a seguito di istruttoria adeguata (per giustificare il
diverso sistema di pubblicità e selezione);
la determinazione
del corrispettivo con la mera sommatoria algebrica degli incassi, già
per legge vincolati al 50%, violerebbe per sé la disciplina generale
degli appalti pubblici, non consentendo un’effettiva comparazione tra
interesse pubblico e privato e determinando ridotte aspettative dì
imparzialità, e comunque integrerebbe violazione degli artt. 1 e 4 d.
lgs. 157/1995/ 28 e 29 d. lgs. 163/2000.
Da qui il fumus allo
stato della procedura di mera apparenza di legittimità delle B
procedure seguite per l’affidamento del servizio e quindi del reato ex
art. 323 c.p..
2. Ricorre per cassazione il sig. YYY, legale
rappresentante della XXX, denunciando violazione di legge perché,
rispetto all’assunto dei Giudici della cautela di mancata
predeterminazione del valore dell’appalto e di omessa precedente
istruttoria:
– nel caso dei due Comuni, i bandi dì gara
avrebbero in realtà risposto alle esigenze della disciplina in materia
dì appalto, il preventivo valore essendo stato determinato con
riferimento alle prevedibili infrazioni annue – con specifica
indicazione per il Comune di P. di un importo presumibile di 90.000
euro per la durata di tre anni, sotto la soglia comunitaria, e per
quello di P. M. in due milioni di euro oltre iva per cinque anni –
unitamente alla percentuale da retrocedere alla ditta sulle infrazioni
effettivamente riscosse;
– quanto alle modalità di accertamento
delle infrazioni, i verbali – sottoscritti anche da agente di polizia
municipale – avrebbero dato conto della regolarità di tutte le
operazioni, in un contesto in cui l’assistenza tecnica del privato
operatore costituiva elemento di più sicura garanzia; in ogni caso, la
mancata indicazione della predeterminazione del valore dell’appalto
costituirebbe violazione di legge inidonea a determinare il rapporto di
pertinenzialità con il mantenimento del vincolo cautelare reale sugli
autovelox.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
In ordine al fumus del delitto di abuso d’ufficio si deve infatti osservare che:
•
l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale
ricade tra le attività previste dall’art. 11 lett. A Codice della
strada e quindi costituisce servizio di polizia stradale, non
delegabile a terzi;
• le apparecchiature eventualmente
utilizzate per tale accertamento debbono essere gestite direttamente da
parte degli organi di polizia stradale e devono essere nella loro
disponibilità (art. 345.4 Reg, Cds);
• le spese afferenti
l’eventuale noleggio delle apparecchiature rientrano tra le “spese di
accertamento” (art. 201.4 C.d.s.), e la loro disciplina non può che
essere quella propria connessa alla natura di tali spese;
• il
parametro per la loro quantificazione – del tutto idoneo a consentire
la quantificazione anche dell’importo per un eventuale appalto, nel
caso di noleggio degli strumenti e di servizi accessori connessi alla
peculiare tipologia di strumento, ovviamente diversi dalla fase di
accertamento riservata, come visto, in via esclusiva all’organo di
polizia stradale – è agevolmente individuabile dal costo giornaliero
connesso all’installazione, manutenzione, servizio accessorio;
•
in particolare tale costo è all’evidenza uguale per qualsiasi
operazione, giacché l’entità della sanzione propria della singola
infrazione eventualmente accertata è parametro del tutto non
pertinente, estraneo ed irrilevante, quanto alla spesa sostenuta per
ogni singola operazione: la “quantità” dell’importo di appalto è il
costo del servizio, a prescindere dal numero e dalla “qualità” delle
infrazioni poi eventualmente accertate utilizzando quel servizio;
•
da ciò si evince che esiste un costo di accertamento (nel senso
onnicomprensivo prima indicato) quantificabile a prescindere del tutto
dal tipo di infrazione accertata e che il parametro dell’entità della
sanzione quale modalità di determinazione del corrispettivo – e
pertanto come base di un appalto connesso all’utilizzazione delle
apparecchiature strumentali – è incompatibile con i principi generali
della disciplina contabile pubblica in materia di spese di accertamento;
• il richiamo all'”alea” contrattuale è pertanto improprio;
•
tenuto infine conto della finalità preventiva, e non repressiva o di
finanziamento pubblico o lucro privato, della disciplina sanzionatola,
il parametro di retribuzione/corrispettivo differenziato secondo
l’entità della sanzione è contrario ai principi indicati dall’art. 97
Cost..
In ordine alla pertinenzialità tra l’ipotesi di reato ex
art. 323 c.p. e l’utilizzo degli strumenti di rilevazione di
infrazioni, le considerazioni di cui al punto a) dell’ultimo paragrafo
dell’ordinanza impugnata si sottraggono all’apodittica censura, di
merito, del ricorrente, non costituendo vizio di motivazione omessa o
apparente.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.