Aziende, caccia e spionaggio sul web per “scoprire” il candidato da assumere
I direttori del personale, quelli che decidono il destino di molti, vogliono saperne sempre di più. Quando si tratta di assumere qualcuno, ci pensano due volte e quasi sempre digitano sui motori di ricerca il nome e cognome di chi gli ha inviato un curriculum. Vogliono trovare quante più tracce possibili. Vogliono scoprire quello che, durante un colloquio di lavoro, non viene fuori quasi mai. Come innamorati irrequieti, cercano in rete qualcosa che possa colmare il vuoto che gli sembra sempre di provare.
Nei primi mesi di quest’anno, sette imprese su dieci hanno cercato sul web informazioni su chi ha presentato una candidatura. “Tutte le informazioni che si possono trovare su Internet – dice Giorgio Aravecchia, direttore di gruppo delle risorse umane della Panini Spa, l’impresa produttrice di figurine – sono utili per riuscire a individuare meglio la personalità della professionista che ci si trova davanti. Quando uno fa il colloquio c’è sempre un po’ di marketing reciproco. La società dà prevalenza agli aspetti positivi della figura che offre e cela quelli che ritiene meno appetibili. Lo stesso fa il candidato, parla bene delle esperienze, dice di essere stato il protagonista dei punti di svolta dell’impresa in cui ha lavorato. Anche se così non è stato”.
La frase e l’assunzione rinviata. Ogni traccia può svelare qualcosa di utile e di inatteso. Può essere un progetto realizzato qualche anno prima e che neppure noi ritenevamo più rilevante o anche un mese di volontariato in un paese lontano. Può essere un risultato conseguito che avevamo sottovalutato e non lo avevamo riportato nel cv. Oppure dei commenti su Facebook che era meglio non scrivere. Consuetudini o eccentricità. Alle volte, per insinuare un dubbio in testa a un datore di lavoro, può bastare anche una sola frase. Come quella che un giovane ingegnere, poco prima di un colloquio, aveva lasciato scritta in un forum: “Tra un anno mi trasferisco in Giamaica”. Non importa se concreta dichiarazione di intenti o effimero sogno di una sera, di sicuro al direttore del personale non ha fatto piacere leggerla.
Carattere e competenze. Le aziende d’altronde assomigliano sempre di più a organismi complessi che respirano e si muovono grazie all’interrelazione stretta di uomini e funzioni. “Ogni due mesi – spiega Aravecchia – lanciamo sul mercato un prodotto che può vendere tantissimo o pochissimo e contano molto la capacità di dedicarsi a un progetto urgente e sapersi congedare da quello che si stava facendo, il tutto senza incidere negativamente sul gruppo. In un colloquio è difficile che queste caratteristiche vengano fuori”. In questi ultimi mesi, dice l’indagine realizzata per la nostra testata da Gidp, associazione di direttore del personale, il 71 per cento delle imprese ha cercato informazioni sui candidati. La gran parte lo fa per saperne di più e capire meglio il contesto in cui si muove e se il suo stile di vita è coerente con la posizione e la filosofia aziendali. Solo il 29 per cento dei responsabili ha negato di avervi mai fatto ricorso.
Il volto nascosto. “Ormai Internet ha più conoscenza di quanta ce ne possiamo ricordare noi stessi”. Dice Angelo Alfieri, direttore risorse umane e organizzazione di Sofinter, gruppo operante nel settore dell’energia: “Googlare qualcuno è ormai un’abitudine anche professionale. Non è soltanto il caso dei social network, ma tutto quello che è la Rete. Tutto quello che possiamo trovare. Penso che la vita della persona sia facilmente identificabile nel web. E’ come vedere l’altra faccia del candidato, quella che non ti viene mai mostrata direttamente durante il colloquio”.
Lo sguardo sul giardino del vicino. Ma sul web, e soprattutto sui social network professionali, i responsabili delle risorse umane vanno a cercare anche i profili della concorrenza. Informazioni che prima era molto più complesso avere. Alice Mattiello, human resources manager di Everel Group, fornitore di componenti elettromeccanici per i produttori di elettrodomestici, spiega come ora sia “possibile capire se nelle aziende concorrenti ci sono figure con una certa anzianità e che potrebbero essere motivate al cambiamento”. “Sempre più professionisti – spiega – mettono il loro profilo su Internet e sono pronti a valutare nuove possibilità”. Insomma le imprese possono costruire da sé, in questo modo, una rosa interessante di candidati senza avere bisogno, almeno fino a questo stadio, di pagare inserzioni o coinvolgere società di selezione.
Le bugie e la verifica. C’è poi il bisogno di controllare quel che dicono i candidati. I responsabili delle risorse umane mostrano ormai una certa diffidenza, giustificata o meno, nei confronti di quello che viene dichiarato in cv e colloqui. Anche perché in questi ultimi mesi sembrano aumentati i casi di chi tende a ingigantire incarichi e mansioni. A farlo sono soprattutto le figure intermedie dell’amministrazione e delle divisioni tecniche. “In più occasioni – racconta Mattiello – mi stanno capitando persone con attività e ruoli che non corrispondono a quanto dicono. Casomai hanno svolto ruoli più marginali, difficile che mentano sull’azienda. Non dicono la verità sull’area e le funzioni. Approfittano del cambiamento per proporsi per ruoli superiori e abbozzano un profilo di responsabilità che invece non era effettivo. Si può dire che anticipano la loro crescita professionale”.
Con l’affanno di chi ha bisogno di trovare un lavoro, i protagonisti di questi piccoli inganni alle volte non fanno neppure attenzione a riportare sul profilo del network sociale le stesse caratteristiche descritte sul cv consegnato in azienda. Con qualche effetto negativo. “E’ sempre meglio dire la verità. Ad ogni modo – prosegue Mattiello – , se non emerge qualcosa di grave, io tendo a non precludere il contatto diretto e il primo colloquio di persona. Quel che trovo però mette già dei punti da cui partire e che io vado a riscontrare in occasione dell’incontro”.
Soprattutto manager e neolaureati. Le figure che vengono più attentamente scrutinate sono quelle che devono andare a ricoprire posizioni dirigenziali e i giovani che escono dalle università e non hanno ancora avuto esperienze in realtà imprenditoriali. “I manager – spiega Paolo Citterio, presidente di Gidp/Hrda – attirano maggiormente l’interesse, visto che devono essere reclutati per posizioni importanti ove la credibilità, l’onestà, lo stile di vita e le relazioni personali incidono in misura significativa sul loro futuro ruolo professionale”. Ma anche i giovani che entrano in azienda. “Perché – aggiunge Citterio – mentre per gli impiegati e i quadri esistono delle referenze date dai precedenti datori di lavoro, dalle relazioni emerse dai contatti nelle associazioni o da persone, sui neolaureati visioniamo solo il cv scolastico e la fotografia quando ci viene trasmessa oltre agli hobby e null’altro.”
Importanti ma non decisive. Ma quanto incidono davvero queste tracce lasciate sul web dal candidato e attentamente recuperate dal selezionatore? Le informazioni pesano sia sul colloquio sia sulla decisione finale e condizionano, in parte o in maniera decisiva, circa i due terzi dei direttori del personale. “Le informazioni corredano un curriculum – sottolinea però Citterio – , ma non sono decisive. Servono per conoscere meglio i candidati, per verificare se il loro stile di vita, i valori che loro esprimono sono simili a quelli dell’impresa. Senza parlare poi degli atteggiamenti espressi dai candidati che possono favorirli rispetto agli altri o meno”.
Quello che l’azienda non vuole leggere. Quel che sarebbe meglio evitare sono soprattutto opinioni negative, informazioni riservate e commenti sul precedente datore di lavoro. “Non è bello trovare dei passaggi offensivi verso le vecchie aziende o i lavori precedentemente svolti – spiega Alfieri – ; meglio una persona che è stata solo tre settimane in un’azienda e scrive ‘esperienza breve ma intensa’ che chi rimane più a lungo, ma poi inveisce con volgarità contro il precedente datore di lavoro. Non è un segno di tranquillità della persona”. Negativi riscontri anche per dichiarazioni razziste e discriminatorie, consumo di alcol e droghe, inesattezze su competenze e titoli di studio e immagini non appropriate.