Beni comprati per attività esenti: legittimo negare il rimborso Iva
Con la sentenza 11237 del 20 maggio, la Corte di cassazione, affrontando la complessa tematica relativa alla richiesta del rimborso dell’Iva pagata dai soggetti per i quali la detrazione dell’imposta sugli acquisti non è esercitabile, ha precisato che sugli acquisti di beni destinati ad attività esente da Iva è corretto assolvere l’imposta, per non avere questi formato oggetto di un diritto alla detrazione.
L’oggetto del contendere
La controversia concerne una società a responsabilità limitata, esercente attività di gestione di case di cura e di riposo, la quale si era vista negare il rimborso dell’Iva relativa agli acquisti di beni e servizi destinati allo svolgimento di un’attività esente, ai sensi dell’articolo 13, parte B, lettera c), prima parte, della sesta direttiva del Consiglio Ce, la 77/388/Cee. Dopo un primo giudizio sfavorevole, la Commissione tributaria regionale aveva riconosciuto al contribuente il diritto al rimborso, atteso che la norma comunitaria non sarebbe stata violata.
Da qui, il conseguente ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, sostenendo in merito della spettanza del diritto al rimborso che la sentenza impugnata è stata adottata, per errore di impostazione, in violazione del riferito articolo 13 della sesta direttiva Iva, in quanto tale norma non si riferisce agli acquisti, bensì alla successiva rivendita dei beni in esercizio d’impresa.
A tal proposito, va detto che l’articolo 13 in questione dispone l’esplicita esenzione dall’Iva per le forniture di beni destinati, in via esclusiva, a una attività esentata a norma dello stesso articolo, ove gli stessi beni non abbiano formato oggetto di un diritto a deduzione.
Tale normativa è stata recepita nell’ordinamento nazionale dall’articolo 10, comma 1, n. 27-quinquies), del Dpr 633/1972, secondo cui sono esenti dall’imposta, “le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2”.
Dal 1° gennaio 2007 la sesta direttiva 77/388/Cee è stata sostituita dalla direttiva 2006/112/Ce, nella quale, l’articolo 136, lettera a), della nuova disposizione è tale da non concedere più alcun dubbio interpretativo.
Secondo tale indiscusso orientamento, il Collegio di legittimità mostra di aver preso atto dell’affermazione della Corte di giustizia sul punto (ordinanza 6 luglio 2006, cause riunite C-18/05 e C-155/05), secondo cui la prima parte dell’articolo 13, parte B, lettera c), della sesta direttiva, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – sistema comune di imposta sul valore aggiunto – base imponibile uniforme, deve essere interpretata nel senso che l’esenzione da essa prevista si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata in forza di detto articolo, in quanto l’Iva versata in occasione dell’acquisto iniziale dei beni non ha formato oggetto di un diritto a detrazione.
La Corte europea giunge a questa conclusione ribadendo principi vigenti nella giurisprudenza comunitaria (sentenza, causa C-45/95 del 1997), cioè:
•che le esenzioni di cui all’articolo 13 debbano “essere interpretate restrittivamente” in quanto “deroghe al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi o cessione di beni effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo”
•che costituiscono “nozioni autonome del diritto comunitario” che mirano “ad evitare divergenze nell’applicazione da uno Stato membro all’altro del sistema dell’IVA e devono pertanto ricevere una definizione comunitaria”.
Quanto alla specifica disposizione esentativa, afferma inoltre che il più volte richiamato articolo 13:
a) impone agli Stati membri di esentare le forniture di beni destinati esclusivamente a un’attività esente da Iva a norma del medesimo articolo, ove questi beni non abbiano formato oggetto di un diritto a detrazione
b) mira a evitare una doppia imposizione contraria al principio della neutralità del tributo, inerente al sistema comune dell’Iva
c) permette di evitare che la rivendita di beni formi oggetto di una nuova imposizione, mentre questi ultimi sono stati preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata in forza dello stesso articolo e, pertanto, in occasione di tale acquisto, l’Iva è stata versata in maniera definitiva, senza possibilità di detrarla.
In sostanza, per i giudici comunitari l’esenzione prevista dall’articolo 13 va applicata solo nei confronti di coloro che – non avendo potuto detrarre l’Iva corrisposta al momento dell’acquisto del bene, in ragione del regime di esenzione applicabile all’attività dagli stessi svolta – successivamente decidono di rivendere detto bene a terzi.
I principi emergenti dall’ordinanza del 2006 della Corte di giustizia sono stati poi assunti dalla stessa Amministrazione finanziaria, la quale ha affermato (circolare 3/2007) che, anche sulla scorta della disposizione rifusa nell’articolo 136 della direttiva 2006/112/Ce, deve ritenersi ormai pacifico che l’articolo 13 della sesta direttiva vada interpretato nel senso che l’esenzione ivi prevista sia riferita alla sola rivendita dei beni che non hanno formato oggetto di detrazione, e non anche a quei beni per i quali l’acquirente non può esercitare il diritto alla detrazione in quanto destinati a un’attività esente da imposta.
Peraltro, occorre considerare che l’articolo 19 del Dpr 633/1972, di diretta derivazione dall’articolo 17 della direttiva 77/388/Cee, consente la detrazione dell’imposta pagata al momento dell’acquisto o dell’importazione di beni e servizi solo nella misura in cui tali beni e servizi siano impiegati “ai fini di sue operazioni soggette ad imposta”, sia con l’applicazione del pro-rata di detrazione.
In conseguenza e per effetto della vincolante interpretazione delle norme comunitarie, direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, la sentenza impugnata è stata quindi cassata per avere erroneamente affermato la spettanza alla società ricorrente del rimborso dell’Iva dalla stessa corrisposta per l’acquisto di beni e/o di servizi inerenti la sua attività di impresa.