Beni confiscati alle mafie – milioni di euro al vento mentre il Paese arranca
L’Italia fa fatica ad intravedere uno spiraglio di luce dopo il tunnel di una crisi economica ed occupazionale durata oltre otto anni. Eppure vi sono patrimoni da milioni e milioni di euro che potrebbero fruttare al Paese ingenti risorse economiche e nuova occupazione. Sono i beni confiscati alle mafie, che nella maggioranza dei casi deperiscono e finiscono in rovina, senza generare altra ricchezza che quella delle onerose parcelle destinate agli amministratori giudiziari.
A lanciare l’allarme – già diffuso da alcune lungimiranti sigle antimafia – sono stati da ultimi i giovani imprenditori di Confindustria, riuniti a Capri per la convention annuale che si è conclusa sabato scorso. «Le risorse confiscate alla
mafia – si legge nella nota ufficiale – ammontano a circa 60 miliardi, praticamente due finanziarie, ma non sono
una risorsa per il Paese, anzi sono un costo, perché i beni non vengono
reimmessi nel mercato finanziando le casse pubbliche, ma vengono gestiti a
tempo indeterminato, con spese altissime e con procedure poco trasparenti».
Gli imprenditori dicono dunque “NO al malaffare sul malaffare” e spingono sul progetto già presentato da
Confindustria per velocizzare le assegnazioni e rendere redditizi i beni. «Non ci riferiamo – hanno chiarito i manager – ai beni simbolo, che devono restare patrimonio
pubblico e memoria futura, come la casa di Riina, ma ai beni commerciali,
mobili ed immobili, che potrebbero produrre lavoro e ricchezza per la comunità
e che invece vengono fatti marcire».
Un patrimonio enorme: si tratta – viene dettagliato – di quasi
17mila immobili, fra appartamenti, alberghi e terreni agricoli, che potrebbero
essere immediatamente rivenduti. Quasi 800 milioni di opere d’arte, lasciate ad
ammuffire in qualche cantina. Quasi 2500 aziende, di cui ormai sono rimaste
attive solo in 300, con 700 addetti e 92 milioni di fatturato, perché passano
mesi, anni prima che dal sequestro si passi alla confisca, e non va meglio con la successiva gestione. Di qui la richiesta di un albo certificato di amministratori giudiziari con competenze manageriali.
«Ci associamo senza esitazioni alla richiesta dei giovani industriali – afferma il presidente di Noiconsumatori.it Angelo Pisani – che va nel segno della trasparenza e della legalità. Basta con l’arbitrio degli affidamenti, che ha prodotto risultati tanto deludenti. Ben venga un albo pubblico, peraltro già da tempo previsto ma mai attuato, che si basi su criteri di merito e integrità di queste delicate figure giudiziarie. Occorre, come chiedono gli industriali, definire tempi certi per reimmettere le aziende sul mercato tramite gare pubbliche e stabilire forme concrete di collaborazione con chi fa già impresa».