Cassazione penale , sez. V, sentenza 11.04.2011 n° 14482
La Quinta Sezione penale della Suprema Corte affronta il tema della violenza privata, istituto governato dall’art. 610 c.p., siccome chiamata a giudicare in relazione ad un episodio concernente una disputa fra due conducenti, l’uno alla guida di un’auto, l’altro al volante di un autobus.
L’uno (la parte offesa) aveva omaggiato l’altro (l’imputato) di un epiteto poco commendevole, ed il destinatario dell’insulto – che non aveva certo gradito l’esternazione – aveva, a propria volta, deciso di domandare ragione di quanto da lui sentito, bloccando la circolazione del veicolo pubblico, con la proprio vettura, fino a farsi tamponare.
I giudici di merito avevano, però, assolto l’imputato, ritenendo che la condotta posta alla loro attenzione non costituisse reato.
La S.C., con la sentenza 11 aprile 2011, n. 14482, è apparsa, però, di diverso e contrario avviso, annullando – su ricorso del PG – la sentenza di assoluzione.
In buona sostanza, i giudici di legittimità, pur ammettendo in via del tutto ipotetica ed astratta – e comunque diversamente da quanto sostenuto dal PG ricorrente – che le ragioni addotte dall’imputato (il volere chiedere spiegazioni) potessero avere un loro fondamento fattuale, ha ritenuto preminente, ai fini della decisione, l’antigiuridicità della condotta materiale tenuta dall’imputato.
Essa è, infatti, apparsa sintomatica di una precisa volontà orientata sia nel senso di costringere – tramite il ricorso ad un atto non solo ingiusto, ma, soprattutto, violento (art. 610 c.p.) – la parte offesa a fermare la propria marcia, sia in quello di provocare la interruzione di un servizio pubblico.
La violenza privata, nella fattispecie in esame, dunque, si è resa palese in maniera evidente e non discutibile, perchè sostenuta da un atteggiamento caratterizzato da accenti di indiscutibile violenza (che costituisce, come detto, uno dei requisiti specifici previsti dalla norma codicistica), connotato questo che rende l’istituto in parola simile, (seppure quale reato minor) al più grave sequestro di persona previsto dall’art. 605 c.p..
Il criterio discretivo fra i due istituti è, infatti, ravvisabile, per quanto attiene al delitto di sequestro di persona previsto dall’art. 605 c.p., nella sufficienza e concretezza della limitazione della libertà fisica della persona, cui si contrappone, per quel che riguarda la violenza privata ex art. 610 c.p., la lesione della libertà psichica di determinazione del soggetto passivo (Cfr. App. Milano, 19-06-2009)
Elemento, infatti, comune, sotto il profilo dell’elemento materiale, è quello della costrizione [Cfr. Cass. pen. Sez. V, 03-02-2009, n. 9731 (rv. 243022) , R.M., CED Cassazione, 2009, Conf. Cass. pen. Sez. VI, 27-09-2004, n. 41972 (rv. 229900) e Cass. pen. Sez. II, 01-10-2004, n. 47972 (rv. 230710].
La soluzione adottata dai Supremi Giudici appare, quindi condivisibile, posto che la condizione soggettiva e psicologica del singolo, il quale versi uno stato di ira, non può essere scriminata, giusto il disposto dell’art. 90 c.p..
Questa norma, infatti, esclude tassativamente ed inequivocamente che gli stati emotivi o passionali possano, anche solo minimanente, fungere da causa di giustificazione che escluda l’antigiuridicità insita in una condotta penalmente rilevante.