(Sentenza Cassazione penale 24/02/2011, n. 7155)
Il sequestro preventivo, allorché cada su di un qualsiasi supporto destinato a comunicare fatti di cronaca ovvero espressioni di critica o ancora denunce su aspetti della vita civile di pubblico interesse non incide solamente sul diritto di proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione ma su di un diritto di libertà che ha dignità pari a quella della libertà individuale. Oggetto del contendere è, da un lato la pretesa illogicità dell’impugnato provvedimento sul punto della ritenuta equiparazione alle pubblicazioni su supporto cartaceo delle pubblicazioni a mezzo rete Internet ma senza la conseguenziale equiparazione anche delle garanzie giurisdizionali. Inoltre, si contesta la presunta ma non definitivamente accertata diffamatorietà delle frasi oggetto del provvedimento cautelare e, quindi, l’inesistenza delle condizioni di legge per operare, in via generale, il sequestro (articolo 1 del RD.Lgs. 31 maggio 1946 n. 561, articolo 2 della legge 8 Febbraio 1948 n. 47 e articolo 21, primo comma della Costituzione) tutela di diritti di pari dignità costituzionale e nel rispetto, altresì, delle norme di legge, di grado inferiore, con le quali dl legislatore disciplina in concreto I’esercizio delle attività indicate. Il sequestro preventivo, a sua volta, allorché cada su di un qualsiasi supporto destinato a comunicare fatti di cronaca ovvero espressioni dl critica o ancora denunce su aspetti della vita civile dl pubblico interesse non incide solamente sul diritto di proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione ma su di un diritto di libertà che ha dignità pari a quella della libertà individuale. Occorre, quindi, che la sua imposizione sia giustificata da effettiva necessità e da adeguate ragioni. Il chè si traduce, in concreto, In una valutazione della possibile riconduciblità del fatto all’area del penalmente rilevante e delle esigenze impeditive tanto serie quanto è vasta l’area della tolleranza costituzionalmente imposta per la libertà dl parola. A tal ultimo proposito si osserva come nell’impugnata ordinanza si faccia riferimento al fumus commissi delicti, ritenuto sussistente dal Gip e come il decidente abbia, poi, condiviso e fatte proprie le asserzioni in merito alla sussistenza del reato ipotizzato e del pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato, a cagione del mantenimento in rete delle frasi oggetto del procedimento penale. Essendo le suddette motivazioni logicamente espresse e correttamente ispirate ai principi penali sostanziali e processuali e non venendo neppure in contestazione la loro sussistenza ecco che in conclusione, appare legittimo il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.