Bonus baby sitter alle neomamme
Alle mamme che corrono tutto il santo giorno cercando di incastrare ufficio, scuola dei figli, spesa, varie ed eventuali, l’affermazione potrà sembrare fuori luogo. Ma uno dei problemi dell’Italia è che le donne lavorano poco. Meglio, sono poche quelle che hanno un lavoro: il 46% contro il 58% della media europea. Mentre sono troppe quello che un posto ce l’hanno ma lo lasciano dopo l’arrivo del primo figlio: il 27%, una su quattro, una strage. Per provare a invertire questa tendenza e «favorire il rientro nel mondo del lavoro al termine del congedo di maternità», il governo è pronto a sperimentare il bonus per baby sitter e asili nido. Un contributo di 300 euro al mese, per un massimo di sei mesi, che potrà essere utilizzato a partire dal 2013 dalle madri lavoratrici nel primo anno di vita del bambino.
Non si tratta di un versamento una tantum, come fatto in passato. Ma di una somma che dovrà essere utilizzata solo o per pagare l’asilo nido, e il versamento sarà fatto direttamente dallo Stato, oppure la baby sitter, e in questo caso verrà utilizzato il meccanismo dei voucher, i buoni per i lavori occasionali. Il principio era già contenuto nella riforma del mercato del lavoro approvata quest’estate. Ma somme e procedure sono fissate dallo schema di regolamento di 10 articoli preparato dal ministro del Welfare Elsa Fornero, e arrivato ieri all’ufficio legislativo del ministero dell’Economia.
Visti i tempi, le risorse sono quelle che sono: 20 milioni di euro l’anno per tre anni. Se tutte chiederanno il contributo massimo, 1.800 euro in sei mesi, basteranno per poco più di 11 mila madri lavoratrici. Briciole se si pensa che l’anno scorso in Italia di bambini ne sono nati più di mezzo milione. In ogni caso è la prima volta che si tenta di cambiare una rotta alla quale finora ci siamo arresi. Come funzionerà nel dettaglio? Chi ottiene il contributo dovrà rinunciare per lo stesso periodo di tempo al congedo facoltativo successivo alla maternità obbligatoria, quei sei mesi di aspettativa con stipendio al 30% che si possono prendere fino a quando il bambino compie tre anni. Ci sarà un’unica graduatoria nazionale e un click day, un giorno per presentare domande per via informatica come già fatto in passato per la regolarizzazione di colf e badanti. Avrà la precedenza chi ha il valore più basso per l’Isee, l’indicatore che misura la «ricchezza» delle famiglie. E, a parità di «ricchezza», l’ordine di presentazione della domanda. Una procedura spietata ma necessaria che, insieme al tetto di 20 milioni l’anno, ha «eliminato in radice il rischio del superamento del plafond finanziario», come sottolinea la relazione tecnica.
Il decreto fissa i paletti anche per il congedo dei papà, sempre previsto dalla riforma Fornero: un giorno di permesso sarà obbligatorio e pagato al 100%, con un costo per lo Stato di 78 milioni di euro l’anno. Ce ne saranno poi altri due facoltativi, sempre pagati al 100%. Ma potranno essere concessi solo se la madre rinuncerà a due giorni della sua maternità obbligatoria, in modo da non avere un costo aggiuntivo per lo Stato. Altrimenti per i papà che si vogliono godere il pupo appena nato non resta che il vecchio metodo: le ferie (a patto di avere qualche arretrato).