Buone notizie per l’indennità di maternità in caso di adozione nazionale da parte di lavoratrici autonome
La norma secondo cui l’indennità di maternità spetta, in caso di adozione o affidamento nazionale, solo fino al limite massimo di sei
anni di età del bambino, è illegittima. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza 205 del 2015. Viene così esteso anche per le mamme “partite iva” o libere professioniste, che adottano un bimbo italiano, il diritto già previsto per
le lavoratrici dipendenti dalla legge 244 del 2007, e per le autonome finora solo in caso
di affidamenti internazionali, con la sentenza 71/2003 della stessa Corte Costituzionale.
Il provvedimento di questi ultimi giorni abolisce di fatto una ingiusta discriminazione, che penalizzava le lavoratrici autonome in caso di adozione nazionale.
Era stato il Tribunale di Verbania ad inoltrare alla Consulta il quesito sulla legittimità costituzionale di questa norma (l’articolo 72 del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternità e della paternità), chiamato a decidere su un procedimento vertente tra una neo mamma e la Cassa nazionale di
previdenza ed assistenza ragionieri e periti commerciali.
La Corte Costituzionale ritiene tale discriminazione «carente di ogni
giustificazione razionale, idonea a dar conto del permanere, soltanto per
questa fattispecie, di un limite rimosso per tutte le altre ipotesi», tanto che «nel negare l’indennità di
maternità soltanto alle madri libere professioniste che adottino un minore di
nazionalità italiana, quando il minore abbia già compiuto i sei anni di età, la
disciplina si pone in insanabile
contrasto con il principio di eguaglianza e con il principio di tutela della maternità e
dell’infanzia, declinato anche come tutela della donna lavoratrice e del
bambino».
«Vi è inoltre da considerare – scrivono ancora gli alti giudici – che la posizione della madre e del minore di nazionalità italiana non risulta
meno meritevole di tutela per il
solo fatto che il minore abbia superato i sei anni di età, nel momento in cui
il decreto di affidamento preadottivo interviene a formalizzarne l’ingresso nel
nucleo familiare. L’inserimento del minore nella nuova famiglia non è meno
arduo e bisognoso di “una speciale adeguata protezione” se il minore è di
nazionalità italiana e per il dato contingente, e legato a fattori
imponderabili, che il minore abbia superato i sei anni di età. Nel limitare la
concessione di un beneficio, che tutela il preminente interesse del minore, la
norma censurata si traduce, in ultima analisi, in una discriminazione pregiudizievole non solo per la madre libera
professionista che imbocchi la strada dell’adozione nazionale, ma anche e
soprattutto per il minore di nazionalità italiana, coinvolto in una procedura
di adozione».