Calcio, Cassazione: via dallo stadio i tifosi che intonano cori razzisti
Roma. Via dallo stadio i tifosi che intonano cori razzisti. La linea dura arriva dalla Corte di Cassazione che, in una sentenza della Terza sezione penale depositata oggi, si è occupata della vicenda accaduta al calciatore di colore del Messina, Marc André Zoro, che il 27 novembre del 2005 nello stadio ‘San Filippo’ di Messina subì “reiterati episodi d’intolleranza razzista” consistiti in “slogan di scherno provenienti dal settore dei tifosi dell’Inter, la squadra ospite”.La Suprema Corte, che ha confermato il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive ad un ultras interista di 30 anni Riccardo D. C., ha sottolineato come nei confronti di Zoro siano stati compiuti episodi di vero razzismo, “forieri di uno sperimentato allarme sociale con serio pericolo per l’ordine pubblico quando in tempi utili non si apprestino le necessarie cautele”.Più in generale, i supremi giudici, nella sentenza 1872 con la quale è stato respinto il ricorso dell’ultras al quale il Gip del Tribunale di Messina il 23 dicembre del 2005 aveva intimato il divieto di accesso allo stadio, ricordano che con “razzismo” si deve intendere “tutto quel complesso di manifestazioni o atteggiamenti d’intolleranza originati da profondi e radicati pregiudizi sociali ed espressi attraverso forme di disprezzo e di emarginazione nei confronti di individui o gruppi appartenenti a comunità etniche e culturali diverse, assai spesso ritenute inferiori”.Dunque, “se il razzismo è tutto questo – scrive il relatore Luigi Tardino – e se il suo contenuto fattuale è impastato di angherie, prevaricazioni, soperchierie, sopraffazioni e vessazioni, il suo contenuto ideologico è solo violenza: così che una persona che canzoni, nel contesto di una manifestazione sportiva (dove è molto spesso inconsciamente sotteso il pregiudizio della superiorità etnica) un giocatore di colore, eccitando il disprezzo e lo scherno nei suoi confronti con grida di intolleranza, pone in essere una di quelle condotte” che sono state convertite nel d.l. 336 del 2001 con cui si è inteso punire la “specifica istigazione alla violenza” e che richiama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.In questo senso, rileva piazza Cavour “l’ordine del questore era perfettamente spiegato, perché richiamava atti di intolleranza razziale che sono da tutti percepiti come fatti di incentivazione alla violenza”.