Cancun, si entra nel vivo del congresso
Dopo due giorni in sordina, dove le uniche dichiarazioni che si ascoltavano erano pessimistiche, al congresso di Cancun comincia a salire la temperatura. Mentre il presidente del Brasile Lula ha lanciato un segnale negativo, decidendo di non recarsi al meeting, cominciano a fioccare le prime richieste. Da una parte troviamo i Paesi ricchi che chiedono a quelli in via di sviluppo di fare la loro parte, mentre questi ultimi rivendicano la loro fetta di “diritto di inquinare”.
In particolare la prima richiesta arriva da alcuni rappresentanti delle superpotenze Occidentali che chiedono ai grandi Paesi in via di sviluppo come Cina e India di ridurre le proprie emissioni di gas serra.
Servono delle regole di misurazione e delle verifiche molto più severe per la Cina che per un piccolo paese povero
ha spiegato Artur Runge-Metzger, membro della delegazione dell’Unione europea, unica ad avere il diritto di fare la voce grossa visti i risultati positivi dell’Ue. A questo proposito, proprio oggi arriva la notizia che l’Europa è riuscita, con due anni di anticipo, a raggiungere la quota prevista dal protocollo di Kyoto della riduzione delle emissioni dell’8%. In questo modo ci portiamo avanti anche con la riduzione delle emissioni al 2020, le quali ammontano al 20%, che potrebbe essere raggiunta a breve. Inoltre l’Ue chiede che i Paesi in via di sviluppo vengano costantemente monitorati, tramite supervisione internazionale, per controllare che le politiche di riduzione delle emissioni vengano attuate.
Dall’altra parte insorgono i Paesi asiatici, con l’India che si fa portavoce del malcontento generale, e chiede un compromesso apparentemente accettabile, e cioè che tutte le grandi economie rendano pubblici i propri livelli di emissioni. Insieme a queste dichiarazioni dovrebbero fornire i dettagli dei piani con i quali intendono aiutare i Paesi poveri ad adeguarsi ai cambiamenti climatici. Queste proposte piacciono anche a Greenpeace, ed effettivamente potrebbero comportare un aumento della trasparenza delle economie che non sempre alcuni Paesi, come in particolare gli Stati Uniti, forniscono