Cartelle nulle senza responsabile
Un’ordinanza della Corte costituzionale considera l’obbligo garanzia di trasparenza
Mancata indicazione nel procedimento rende illegittimo l’atto
È illegittima la cartella di pagamento priva dell’indicazione del responsabile del procedimento. L’indicazione del responsabile del procedimento costituisce infatti un requisito fondamentale della cartella esattoriale. Ciò è quanto emerge da un’ordinanza del 9 novembre scorso della Corte costituzionale (ordinanza n. 377 del 9/11/2007), la quale ha dichiarato che «l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento [_] ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, della Costituzione».Posizione, questa, contrastante con quanto sostenuto dalla Commissione tributaria regionale di Venezia la quale, rimettendo la questione alla Corte, dichiarava che «l’attività svolta dai concessionari della riscossione al fine di formare la cartella non pare configurabile come un vero e proprio procedimento». È importante, quindi, come la Corte, al fine della salvaguardia del concetto di buona amministrazione, abbia voluto chiarire l’applicazione dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000 n. 212) anche alla fase di riscossione ribadendo ciò che è già previsto dallo Statuto stesso all’art.7, ossia l’obbligo di indicazione del responsabile ai concessionari «in quanto soggetti privati cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche». La soluzione, d’altronde, non poteva essere diversa in quanto è sufficiente osservare le disposizioni contenute nel capo I della legge 7 agosto 1990, n. 241 laddove sono indicati i principi generali in materia di procedimento amministrativo e a cui anche lo Statuto dei diritti del contribuente si ispira. In tali disposizioni, infatti, si chiarisce come siano parificate alle amministrazioni pubbliche le regioni, le province, i comuni e tutti gli enti che gestiscono servizi pubblici o di pubblica utilità. Tra questi soggetti è compreso anche il concessionario del servizio nazionale di riscossione (ex Riscossione spa ora Equitalia spa) e i suoi agenti territoriali in quanto, a seguito dell’introduzione del comma 1-ter nell’articolo 1 della predetta legge, è previsto che «i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1». Principi che, come è noto, riguardano la modalità di svolgimento dell’attività amministrativa la quale è chiamata necessariamente a perseguire «i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza» (art. 1, comma 1 della legge 241/90) . È importante chiarire, poi, che non vi sono dubbi in merito all’applicazione in ambito tributario dei predetti principi dal momento che alcune prescrizioni della predetta legge, come, per esempio, l’articolo 13, comma 2 oppure l’articolo 24, comma 1, lettera b), prevedono espressamente quando la categoria dei procedimenti tributari risulta esclusa. Ne deriva, quindi, che per tutto quanto non espressamente eccettuato, il trattamento giuridico ivi tracciato non può che ricomprenderli. A ulteriore conferma, inoltre, è intervenuta anche la Suprema corte che, con sentenza del 23 gennaio 2006, n. 1236, ha affermato il principio secondo cui la normativa dettata dalla legge 241/90 si applica anche in ambito tributario, specificando che «l’atto impositivo tributario è il risultato di un processo cognitivo e determinativo disciplinato dalla legge e imputabile nel suo insieme alla pubblica amministrazione». Assodata, pertanto, l’applicazione dei principi, si fa presente come in ambito tributario il criterio della trasparenza risulta assicurato sia per mezzo dell’indicazione del responsabile del procedimento e sia, più in generale, attraverso una cartella esattoriale chiara e ben motivata. E proprio relativamente a tali requisiti, la citata pronuncia della Corte costituzionale offre l’occasione per fare il punto della situazione in merito alle più recenti posizioni giurisprudenziali in materia. Conseguenze A seguito di quanto illustrato, dunque, occorre ricordare solamente che tali comportamenti oltre a essere di per sé illegittimi assumono ancora maggior vigore se analizzati, nel contempo, di concerto con la recente legge 11 febbraio 2005 n. 15, a mezzo della quale il legislatore, nell’originario corpo normativo della legge 7 agosto 1990 n.241, ha innestato un intero nuovo capo, il IV-bis, rubricato «Efficacia e invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso». In questo capo, composto di otto disposizioni (dall’articolo 21-bis al 21-nonies), si rivela di particolare interesse l’articolo 21-septies, il quale, al primo comma, prevede che: «È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, [_] nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge», tra i quali è compreso senza dubbio il vizio di motivazione che, come già ampiamente ricordato, è citato espressamente nello Statuto del contribuente.