Cartelle pazze di Equitalia condannate dalla Corte di Cassazione
L’errore commesso dal contribuente durante la compilazione della denuncia dei redditi è emendabile anche in sede d’impugnazione della cartella pagamento; questo è il “principio di diritto” ribadito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10647 del 7 maggio 2013.
Secondo la Suprema Corte, infatti, il contribuente può impugnare la cartella esattoriale, emessa per il pagamento di tasse, non solo quando questa contenga errori imputabili all’amministrazione finanziaria, ma anche quando l’errore è dovuto all’errata compilazione della dichiarazione dei redditi fatta dal contribuente. Per i giudici, dunque, i vizi che rendono invalida la cartella di Equitalia non sono solo quelli propri dell’atto (errori dovuti all’Agenzia delle Entrate o ad Equitalia stessa), ma anche eventuali cause esterne, come gli errori imputabili al cittadino.
Il ragionamento seguito dalla Corte è un’applicazione del principio costituzionale secondo cui ogni cittadino deve pagare le tasse solo nei limiti della propria capacità contributiva. In pratica, se il contribuente ha commesso un errore a proprio danno nella compilazione della dichiarazione dei redditi, e gli sono state pertanto richieste delle tasse superiori a quelle dovute, oltre a poter chiedere il rimborso, ha sempre un’ultima possibilità per pagare solo il giusto: impugnare la cartella esattoriale. La vicenda giudiziaria è originata da una cartella di pagamento liquidata ai sensi dell’articolo 36 bis del D.P.R. n. 600/1973 e relativa all’IRAP per l’anno d’imposta 2004.
Tale atto, dapprima annullato dal giudice di primo grado, è stato successivamente dichiarato valido dalla CTR di Venezia – Mestre. Di qui il ricorso per cassazione della parte privata, che ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 19, comma primo e terzo, del D. Lgs. n. 546/1992, 2 e 19 del D. Lgs. n. 446/1997. I Giudici della Suprema Corte hanno chiarito che il contribuente che abbia commesso un errore a suo danno nella compilazione della denuncia dei redditi può emettere una dichiarazione correttiva e non è tenuto a seguire la procedura di rimborso di cui all’articolo 38 del D.P.R. n. 602/1973 (cfr. Cass. n. 4776/2011).
La correzione è pure possibile in sede di impugnazione di una cartella di pagamento, emessa in base alla dichiarazione del contribuente, non essendo di ostacolo il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 19 del D. Lgs. n.546 del 1992 (secondo cui la cartella sarebbe impugnabile solo per vizi propri), perché non viene in rilievo un vizio della cartella, ma l’errore del contribuente, e l’esigenza del rispetto del principio della capacità contributiva e della obiettiva legalità dell’azione amministrativa (cfr. Cass. n. 26512/2011).
La Suprema Corte ha ritenuto che CTR del Veneto abbia fatto malgoverno di tali consolidati principi, laddove ha dichiarato infondata la pretesa del contribuente, nella considerazione che l’impugnazione della cartella di pagamento fosse solo consentita per vizi propri e non anche – come avvenuto nel caso di specie – allorquando la liquidazione sia stata effettuata ai sensi dell’articolo 36 bis del D.P.R. n. 600/1973 sulla base della dichiarazione del contribuente. Ne è derivata la cassazione con rinvio della sentenza gravata.
Fonte: www.bachecatermolese.org