Cartello dei prezzi, i pastai: la qualità si paga
L’atmosfera dell’antica tradizione che si fa industria si respira
ancora a Gragnano. È il tuffo tra i «maccheronai» di due secoli fa
diventati imprenditori appezzati ovunqu. È questa realtà urbana sopra
Castellammare con poco meno di trentamila abitanti che Ferdinando II di
Borbone battezzò cin compiacimento la «città dei maccheroni».
Artigiani, imprenditori, cultori di metodi in attesa di ottenere un
marchio doc. Un’ «arte bianca» che ha avuto persino nobilitazione in un
romanzo. Undici aziende, che danno lavoro a 400 persone, tecniche di
produzione tramandate da almeno due secoli, un volume di vendite da
298600 tonnellate di pasta che significano fatturati da 370 milioni di
euro. Un piccolo grande polo, che hada sei anni il suo consorzio di
promozione, il «Gragnano città della pasta», e sta per inaugurareanche
un museo su quello che viene anche considerato «l’oro bianco». Da
Nocera Inferiore a Gragnano, si passa per aree benedette dalla natura.
Sarà leggenda, sarà realtà, che un clima caldo e mai troppo umido e la
presenza di sorgenti d’acqua per gli antichi mulini favorirono la
concentrazione dei pastai. E nacque una fiorente attività economica.
Qui la pasta è ricchezza. In controtendenza. In piena crisi economica,
il consorzio di Gragnano ha aumentato il suo fatturato totale del 25
per cento. E i clienti restano soprattutto stranieri, con
un’esportazione massiccia diretta negli Stati Uniti, in nord Europa, in
Francia, Germania, Giappone. Un limbo, in un panorama che resta
difficile anche in questo settore, se in Campania, negli ultimi mesi,
sono falliti tre pastifici industriali. Un limbo scosso due giorni fa
dalla notizia della perquisizione al pastificio «Garofalo» in via dei
Pastai, uno degli assi portanti del consorzio con fatturato da 39,1
milioni di euro e vendite all’estero per 56,4 milioni di euro. Un
piccolo grande gigante, cresciuto negli anni con una produzione da
68mila tonnellate di pasta. Un’inchiesta della Procura di Roma,
delegata alla guardia di finanza, sospetta che la «Garofalo», insieme
con altri quattro pastifici di varie zone d’Italia (tra cui la
«Barilla» di Parma), abbia promosso un accordo sui prezzi dei loro
prodotti, di fatto aumentati sulla pelle dei consumatori. L’ingegnere
Massimo Menna, amministratore delegato e proprietario del «Garofalo»
dal 1997, ripete ancora il suo commento, che aveva espresso a caldo:
«Mai fatto speculazioni, né accordi sulle spalle dei nostri clienti. Il
nostro stabilimento di 30mila metri quadri dà lavoro a 130 addetti. Ma
le quote di mercato occupate dai pastai di qualità gragnanesi non
superano mai il 4 per cento. Come potevamo fare trust sui prezzi?» Giri
per i pastifici e tutti ripetono che «il prezzo della pasta gragnanese
è dettato dalla sua nota qualità di apprezzato prodotto di nicchia».
Con un’aggravante: l’aumento del prezzo del grano, cresciuto nel 2008
del 30 per cento rispetto all’anno precedente dopo aver raggiunto
valori minimi nel 2005. Un’analisi del consorzio dei pastai gragnanesi
cita dati sui costi di produzione, aumentati nel 2007 del 28 per cento
e l’anno successivo ancora del 19 per cento. «Abbiamo oneri di materie
prime, personale, confezionamento e soprattutto di tecnologia – spiega
il presidente del consorzio, Giuseppe Di Martino – Ma è proprio la
qualità, la storia di una tradizione che risale al sedicesimo secolo a
rendere competitiva la pasta gragnanese. E ad avere sempre mercato». In
questi giorni, i pastifici del consorzio gragnanese espongono alla
fiera invernale «Fancy food» di San Francisco. La promozione e il
marchio di qualità sono gli obiettivi principali degli associati,
insieme dal 2003. E l’impressione è che, in questo piccolo «polo
d’eccellenza», paradiso degli amanti dello slow food, la scossa di due
giorni fa sia passata.