Caso Quelle: sulle garanzie nella vendita di beni di consumo
A Distanza di quasi dieci anni dall’emanazione della direttiva 99/44/CE su alcuni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, la Corte di Giustizia della Comunità Europea1 si è trovata a decidere sulla corretta attuazione della normativa comunitaria nell’ordinamento tedesco che, come noto, ha trasposto la direttiva in sede di modifica del BGB nel 2001.
La sentenza certamente non può passare inosservata e merita di essere segnalata innanzitutto perché rappresenta la prima pronuncia relativa alla corretta attuazione della direttiva comunitaria, ma anche in quanto offre alcuni spunti di riflessione ai fini applicativi molto interessanti se considerati alla luce del processo di armonizzazione del diritto europeo dei contratti.
È noto a tutti che la direttiva 99/44 rientra tra quelle ad armonizzazione minima per cui gli Stati membri al momento del recepimento, effettuato secondo le più svariate modalità e cioè tramite modifica del civile oppure tramite leggi speciali oppure tramite modifiche ai codici di settore, si sono avvalsi proprio della clausola che gli consentiva di elevare il livello di tutela, con la conseguenza che la libertà di “azione” legislativa conferita ha determinato numerose differenze in sede di attuazione tra le normative dei vari Paesi e la possibilità, come è avvenuto nel caso di specie, di trasposizioni non corrette ed addirittura contrastanti con l’obiettivo del perseguimento dell’elevata tutela dei consumatori.
Ecco perché anche la direttiva sulla vendita rientra tra quelle che sono oggetto di revisione2 da parte dell’Unione Europea; infatti, il legislatore comunitario ha preso coscienza dell’inadeguatezza dello strumento della direttiva di armonizzazione minimale per realizzare l’obiettivo dell’armonizzazione giuridica degli Stati membri3. Le direttive emanate e poi implementate nei vari Stati – ed in particolare la direttiva sulla vendita di beni di consumo un banco di prova piuttosto interessante da analizzare – hanno dato vita ad un quadro normativo frammentario e anche contraddittorio che, in base ai “propositi” comunitari, richiede una rivisitazione per renderlo più organico, per eliminare lacune e norme confliggenti, il tutto “ovviamente” per porre rimedio alla mancanza di fiducia dei consumatori e degli imprenditori nei riguardi del commercio transfrontaliero: i primi dovrebbero essere più stimolati ad acquistare beni e servizi da imprese aventi sede in Stati diversi da quello in cui risiedono, ed i secondi dovrebbero essere maggiormente portati ad offrire i propri beni e servizi anche a consumatori residenti in altri Stati dell’UE4.
Ovviamente le questioni più problematiche, che emergono effettuando un indagine di tipo comparato5, riguardano tutti quegli aspetti in cui ogni Paese era stato lasciato libero di fare le sue scelte, quindi, non su argomenti in cui l’armonizzazione, sebbene minimale, fosse obbligatoria.
Il caso “Quelle” solleva varie questioni tra cui quella dell’influenza sulla efficacia della tutela dei consumatori delle modalità di attuazione delle direttive comunitarie, e di come la mancanza di “punti di riferimento” utilizzabili dagli Stati al momento della trasposizione generi difficoltà interpretative e di applicazione delle normative comunitarie “inglobate” negli ordinamenti nazionali.
2. Il caso può essere brevemente così riassunto: la società Quelle, nell’agosto del 2002 nell’ambito di una vendita per corrispondenza, inviava all’acquirente una cucina per uso privato. Nel gennaio 2004, l’acquirente, appurato il distacco di uno strato di smalto nella parte interna del forno della cucina, ne chiedeva la riparazione, ma risultata impossibile ed essendo ancora il bene coperto dalla garanzia biennale, chiedeva l’applicazione del rimedio della sostituzione; di conseguenza, restituiva la cucina difettosa alla Quelle che, nell’inviarne una nuova, chiedeva il pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso per l’uso del bene.
La questione pregiudiziale sollevata dal giudice tedesco riguarda proprio la conformità o meno alla direttiva 99/44/Ce su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo delle norme del codice civile tedesco che, in caso di sostituzione di una merce viziata, consentono al venditore di esigere dall’acquirente un rimborso in denaro per l’uso della detta merce.
In particolare la norma di riferimento della direttiva è l’art. 3, rubricato “diritti del consumatore”, in base al quale il consumatore ha diritto al ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione senza spese; la normativa tedesca, tirata in ballo per la valutazione della corretta attuazione della norma comunitaria, è contenuta nell’art. 439 n. 4 BGB sull’ “adempimento successivo” che a sua volta richiama l’art. 346 n. 1-3 sugli “effetti del recesso”. In base alle norme tedesche richiamate, il venditore avrebbe diritto, in caso di sostituzione di un bene non conforme, ad una indennità a titolo di compensazione dei vantaggi che l’acquirente ha ritratto dall’uso di tale bene fino alla sua sostituzione con un nuovo bene.
Vale la pena, preliminarmente, osservare che nel dare attuazione alla direttiva la Germania ha colto l’occasione per riformare la disciplina della compravendita contenuta nel codice civile, ciò ha fatto si che l’ambito di operatività delle norme contenute nel libro II non sia circoscritto alle sole vendite di beni di consumo, ma valgono per qualsiasi compravendita le disposizioni sulla conformità al contratto, sui diritti del compratore, sulla prescrizione. Al momento dell’attuazione della direttiva comunitaria, il legislatore tedesco, evidentemente interpretando non correttamente il quindicesimo considerando, ha previsto che il venditore che consegna un bene privo di vizi per sostituirne uno difettoso può pretendere la restituzione del bene difettoso ai sensi degli artt. 346-348 in base ai quali i proventi ottenuti dalla cosa, ed anche quelli provenienti dalla sua utilizzazione, devono essere restituiti al venditore; nel caso in cui la restituzione non sia possibile, il compratore è tenuto al pagamento di una somma di ammontare pari al loro valore economico.
È evidente la discrasia tra le norme del BGB richiamate e quanto indicato dalla normativa comunitaria, per tale motivo, il Bundesgerichtshof, rilevando una possibile non corretta attuazione della direttiva 99/44, ha sospeso il procedimento per sottoporre alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: “se l’art. 3, n. 2 e, in combinato disposto, nn. 3, primo comma, e 4, della direttiva (…), ovvero l’art. 3, n. 3, terzo comma, della detta direttiva debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale ai sensi della quale il venditore, in caso di ripristino della conformità di un bene di consumo mediante sostituzione del medesimo, può esigere dal consumatore un’indennità per l’utilizzo del bene non conforme inizialmente consegnato”.
3. La soluzione fornita dalla Corte è netta: la normativa tedesca è senz’altro in contrasto con il dettato comunitario dovendosi interpretare l’articolo 3 “nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale consenta al venditore, nel caso in cui abbia venduto un bene di consumo presentante un difetto di conformità, di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso di tale bene non conforme fino alla sua sostituzione con un bene nuovo”.
La motivazione si fonda sostanzialmente sulle seguenti considerazioni: i) il consumatore ha diritto di esigere dal venditore del bene la riparazione o la sostituzione, in entrambi i casi, senza spese, e l’elenco contenuto nel n. 4 dell’art. 3, laddove si esplicita l’espressione “senza spese”, è solo esemplificativo e non tassativo, ii) il legislatore comunitario ha inteso fare della gratuità del ripristino della conformità da parte del venditore un elemento essenziale della tutela garantita al compratore – consumatore dalla direttiva 99/44/CE, iii) un’interpretazione difforme, che consenta al venditore di chiedere un’indennità per l’uso del bene, sarebbe in contrasto con l’obiettivo di garantire un livello elevato di protezione dei consumatori, iv) la previsione dell’ammontare del rimborso al consumatore in ragione dell’uso del bene è ammissibile, in base al quindicesimo considerando della direttiva, solo qualora si attui il rimedio della risoluzione del contratto, v) la mancata previsione dell’indennità a carico del consumatore in caso di sostituzione del bene non conforme non determina arricchimento senza causa in quanto la direttiva prevede la responsabilità del venditore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene.
È utile ai fini dell’analisi della sentenza prendere in considerazione anche le conclusioni dell’avvocato generale Verica Trstenjak presentate il 15 novembre 2007, in cui anche ampi riferimenti bibliografici; dalla lettura congiunta, infatti, è possibile scorgere alcuni profili interessanti.
Innanzitutto, la Corte, giungendo alla conclusione sopra indicata, sembra avvalorare la tesi che considera l’obbligo di consegnare beni conformi al contratto un’obbligazione distinta ed autonoma rispetto a quella di consegna; il venditore, per adempiere correttamente alla propria obbligazione, è tenuto a consegnare al consumatore un bene che presenti le caratteristiche e le qualità contrattualmente previste; la mancanza di tale conformità, riscontrata durante il periodo di garanzia, determina in capo al venditore l’obbligo di intervenire sul bene difettoso per ripristinarla. La consegna di un bene non conforme determina, pertanto, inadempimento del venditore.
Come emerge dalle conclusioni dell’avvocato generale, la dottrina tedesca si è più volte interrogata in merito alla fondatezza del diritto al rimborso per l’uso del bene da parte dall’acquirente, tanto da dividersi tra coloro che rivendicano la conformità della disciplina di attuazione della direttiva basandola sul richiamo al quindicesimo considerando e sul fatto che la mancata previsione del diritto al rimborso determinerebbe un vantaggio ingiustificato per il compratore, e tra coloro che, di contro, sostengono la non corretta trasposizione della normativa comunitaria che darebbe luogo ad uno squilibrio favorevole al venditore che godrebbe degli utili ottenuti con il pagamento del prezzo6.
Pretendere un rimborso dal consumatore in caso di esperimento dei rimedi primari offerti dalla direttiva, cioè dei rimedi ripristinatori della conformità, significherebbe svuotare di significato la disciplina sulle garanzie nelle vendita la cui finalità è proprio quella di elevare il livello di tutela del consumatore; nessun esborso, pertanto, può essere chiesto al compratore, nel caso in cui possa essere qualificato come consumatore ai sensi della direttiva, per il ripristino della conformità del bene.
Occorre considerare un ulteriore aspetto. Il quarto comma dell’art. 439, che rinvia alla normativa sul recesso e che quindi consentirebbe al venditore di chiedere il rimborso al compratore, non solo deve essere letto alla luce della ratio della normativa comunitaria sulle garanzia, ma anche in combinato disposto dell’art. 478 del BGB che, contenuto nel sottotitolo III dedicato alle compravendite di beni di consumo, ha attuato la norma della direttiva comunitaria relativa al diritto di regresso del venditore nei confronti del responsabile del difetto di conformità. L’interpretazione non sistematica, quindi, delle norme citate porterebbe al paradosso di far conseguire un vantaggio economico al venditore che, sostituendo il bene e ricevendo il rimborso per l’uso dal compratore, comunque avrebbe la possibilità “di esercitare nei confronti dell’imprenditore, dal quale aveva a sua volta acquistato la cosa (“fornitore”), i diritti che, nei confronti di quest’ultimo, gli competono a causa del vizio fatto valere dal consumatore”7.