Cassazione: agenzia di viaggio è tenuta al risarcimento in mancanza di controllo sul visto
Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 27 settembre-12 novembre 2013 n. 25410), l’agenzia di viaggio è tenuta a risarcire la coppia in viaggio di nozze nel caso in cui la moglie considerata ancora cittadina extracomunitaria, una volta scesa a destinazione, non abbia il visto e quindi non possa soggiornare nel luogo scelto.
Ecco quanto accaduto. Con atto di citazione notificato il 3 novembre 2004 due coniugi hanno convenuto davanti al Giudice di pace un’agenzia di viaggio presso cui avevano acquistato i biglietti aerei a/r per la loro luna di miele in Thailandia. I coniugi chiedevano il risarcimento dei danni poiché l’Ufficio Immigrazione thailandese ha negato l’ingresso alla sposa (cittadina ecuadoregna), sequestrandole passaporto e il biglietto di viaggio, perché priva del visto di ingresso del Consolato competente, necessario per i cittadini extracomunitari.
I due coniugi hanno contestato all’Agenzia “di non averli informati della necessità del visto, in violazione dei principi della Convenzione internazionale di Bruxelles del 1970 sui contratti di viaggio, ratificata in Italia con legge 27 dicembre 1977 n. 1084 (CCV)”. A norma del Dlgs 17 marzo 1995 n. 111 sui contratti del turismo, i due hanno contestato la violazione degli obblighi derivanti dal contratto di mandato, ivi incluso il dovere di buona fede e di protezione del cliente, anche nella veste di consumatore, come dal relativo Statuto.
L’agenzia ha declinato ogni responsabilità sull’assunto “che essa aveva solo venduto i biglietti di viaggio e che non era tenuta a fornire informazione alcuna sui visti turistici”. Il giudice di pace adito aveva respinto la domanda. Il successivo appello in tribunale aveva confermato la decisione di primo grado.
Ebbene secondo i giudici, non è condivisibile la tesi sostenuta dalla Corte d’appello. “Il principio – sottolinea la Suprema Corte – per cui il mandatario è tenuto ad eseguire solo le prestazioni che gli siano specificamente richieste dal mandante è in linea di principio corretto. (….). È frequente (soprattutto in tema di mandato) che i contraenti enuncino solo lo scopo perseguito; non necessariamente le singole attività necessarie per raggiungerlo, ed è compito dell’interprete stabilire – anche in base ai principi in tema di buona fede nella conclusione, nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto (art. 1337, 1366 e 1375 cod. civ.) – se una determinata attività preparatoria o accessoria sia da ritenere compresa nella prestazione dovuta, pur se non espressamente menzionata, perché ordinariamente richiesta o comunque strumentale al perseguimento dello scopo dichiarato: in particolar modo quando la relativa omissione vanifichi l’utilità della prestazione principale”.
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