Cassazione, alcolici: ragazzo mente sull’età, barista condannato
Prima di servigli degli alcolici, il barista deve sempre accertarsi
che il cliente sia maggiorenne. Fino in fondo e chiedendogli i
documenti. Se invece vende un bicchiere di vino ad un minorenne che gli
ha raccontato una bugia aumentandosi l’età, l’esercente rischia
conseguenze penali. Lo stabilisce la Cassazione confermando la condanna
inflitta dal giudice di pace di Rovereto a un barista che aveva versato
una birra a un 16enne.
Gli ermellini hanno applicato una
linea dura nell’affrontare la causa. Del resto, il tema del consumo di
alcolici tra giovani e giovanissimi è diventato una vera emergenza
nazionale oggetto di campagne mediatiche, battaglie legali e
provvedimenti normativi.
Il barista aveva tentato di
difendersi in Cassazione sostenendo di avere espressamente chiesto
l’età al ragazzo e di avere ricevuto come risposta che aveva più di 16
anni. Ma la Suprema corte ha respinto l’istanza. La legge, si legge
nella sentenza dei giudici di piazza Cavour, “ha affidato al gestore di
spaccio di bevande alcooliche una peculiare responsabilità”. Di
conseguenza, la “negligenza e imprudenza” del lavoro del barista
“devono essere punite con severità”.
L’esercente del locale, insomma, deve tassativamente chiedere i
documenti prima di servire alcolici. Soprattutto se i suoi avventori
sono presumibilmente minorenni. Per salvarsi dalla responsabilità
penale, dice infatti la Cassazione, non basta avere
chiesto semplicemente l’età del cliente.