Cassazione civile, Sezioni Unite, ordinanza n. 14669 del 1 ottobre 2003
Cassazione civile, Sezioni Unite, ordinanza n. 14669 del 1 ottobre 2003 |
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. Angelo GRIECO – Primo Presidente f.f.Dott. Paolo VITTORIA – Rel. ConsigliereDott. Antonino ELEFANTE – ConsigliereDott. Roberto PREDEN – ConsigliereDott. Luigi Francesco DI NARNI – ConsigliereDott. Maria Gabriella LUCCIOLI – ConsigliereDott. Federico ROSELLI – ConsigliereDott. Stefanomaria EVANGELISTA – ConsigliereDott. Giuseppe Maria BERRUTI – Consigliere ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso per REGOLAMENTO DI COMPETENZA proposto da: ABRESCIA CHIARA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SCANDRIGLIA 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA PIA BUCCARELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati PASQUALE CASO, VITO SQUICCIARINI, giusta delega a margine del ricorso; – ricorrente – contro CONSULTUR S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. BETTOLO 54, presso lo studio dell’avvocato MARIANO PICCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Enrico Sales, giusta delega a margine del controricorso; – resistente – avverso la sentenza n. 44/01 del Tribunale di BARI, depositata il 12/07/01; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 05/06/03 dal Consigliere Dott. Paolo VITTORIA; lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Giovanni Giacalone, il quale chiede che in via principale che codesta Corte, trasmetta gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite a norma dell’art. 374 secondo comma c.p.c.; in via subordinata, chiede che codesta Corte, in camera di consiglio, rigetti il ricorso, descritto in epigrafe ed emetta i provvedimenti conseguenti per legge. La Corte Ritenuto in fatto. 1. – Tra Chiara Abrescia e la società Consultur S.r.l. è stato concluso un contratto preliminare di compravendita di una quota di comproprietà di un residence sito nel comune di Mezzana. Il contratto si è concluso ad Altamura, luogo di residenza di Chiara Abrescia, dove la Consultur, firmatolo il 4.5.1994, le ha restituito il modulo da essa predisposto, su cui era stata raccolta la proposta di contratto, che Abrescia aveva sottoscritto il 23.4.1994. Il modulo contiene la clausola 11, approvata per iscritto, che per le controversie relative al preliminare ed all’atto definitivo di compravendita indica come esclusivamente competente il foro di Milano. 2. – Chiara Abrescia ha agito in giudizio davanti al tribunale di Bari sezione distaccata di Altamura. Rifiutatasi di concludere il contratto definitivo perché le venivano chieste somme ulteriori rispetto al prezzo pattuito; sul presupposto che la clausola 7 del contratto le desse diritto a ricevere in restituzione la metà del prezzo versato; con ricorso depositato il 9.6.1998, ha chiesto di ingiungere alla Consultur il pagamento della somma di L. 7.900.000. Il tribunale di Bari, accogliendo l’eccezione di incompetenza per territorio, che la Consultur aveva sollevato con l’opposizione al decreto d’ingiunzione rifacendosi alla clausola di deroga, ha dichiarato la propria incompetenza e la competenza per territorio del tribunale di Milano: ha perciò revocato il decreto. 3. – La sentenza è stata pubblicata il 12.7.2001 e ne è stata data comunicazione alle parti il 17.7.2001. Chiara Abrescia l’ha impugnata con ricorso per regolamento di competenza. Il ricorso è stato notificato l’1.10.2001. La Consultur ha depositato una memoria l’8.11.2001. 4. – Il 10.4.2002 sono state notificate alle parti le conclusioni del P.M. e la Consultur ha depositato una seconda memoria. La Corte, nella camera di consiglio del 14.5.2002, ha deliberato di trasmettere il ricorso al primo presidente per la sua assegnazione alle sezioni unite, in base al secondo comma dell’art. 374 cod. proc. civ.. Ha considerato che il ricorso presenta una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni semplici. Il primo presidente ha disposto in conformità. Sono state nuovamente notificate le conclusioni del P.M. e la Consultur ha depositato una terza memoria. Ritenuto in diritto. 1. – La ricorrente, nel giudizio di opposizione proposto dalla Consultur, ha chiesto al tribunale di dichiarare inefficace la clausola del contratto, che aveva attribuito al foro di Milano la competenza esclusiva a decidere della controversia. La difesa è stata svolta sulla base di quanto all’epoca disponeva l’art. 1469-bis, primo e terzo comma n. 19, cod. civ., nel testo risultante dall’art. 25 della L. 6 febbraio 1996, n. 52, prima della modifica che vi è stata apportata con l’art. 25.1. della L. 21 dicembre 1999, n. 526. 1.1. – L’art. 25 L. 6 febbraio 1996, n. 52, com’è noto, ha dato attuazione alla direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Secondo l’art. 1469-bis, primo comma, cod. civ., nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, che ha per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi (inciso rimosso dalla legge 526 del 1999), si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Per il terzo comma dello stesso articolo, si presumono vessatorie fino a prova contraria 19 diversi tipi di clausole. L’ultimo tipo è quello delle clausole che hanno per oggetto o per effetto di «stabilire come sede del foro competente località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore». 1.2. – Il tribunale di Bari ha considerato che le norme richiamate sono state introdotte con l’art. 25 della L. 6 febbraio 1996, n. 52, in data successiva alla conclusione del contratto ed ha perciò ritenuto di non poterle applicare. Ha osservato che vi faceva ostacolo il generale principio di irretroattività della legge ed ha richiamato la decisione resa in tal senso da questa Corte con la sentenza 29 novembre 1999 n. 13339. Il tribunale ha detto di non poter condividere un orientamento emerso nella giurisprudenza di merito, secondo il quale, ai fini della applicazione della disciplina dettata dalla legge 52 del 1996, si deve avere riguardo al momento in cui si realizzano concretamente gli effetti delle singole clausole e quindi, per le clausole di deroga della competenza territoriale, al momento della domanda. Non si può, infatti, ragionevolmente sostenere – ha osservato il tribunale – che l’inefficacia della clausola lascerebbe intatto il fatto generatore contrattuale: si deve ritenere che l’impresa contraente non avrebbe concluso il contratto o l’avrebbe concluso a condizioni diverse, se avesse dovute sostenere maggiori costi in caso di liti da instaurarsi presso fori lontani dalla sua sede. 1.2.1. – Il tribunale ha anche escluso che la questione di competenza potesse essere decisa in base alla diretta applicazione di disposizioni contenute nelle direttive 85/577/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985 in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, 93/13/CEE di cui si è già detto e 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 1994 in materia di diritti di godimento a tempo parziale di beni immobili. Quanto alla prima ha osservato che non era stata data prova che il contratto rientrasse nell’ambito di applicazione della disciplina dettata nella direttiva, quanto alle altre che il contratto era stato concluso prima che scadesse il termine perché lo Stato italiano vi si dovesse conformare. 2. – La ricorrente ha svolto argomenti critici a proposito di alcune delle ragioni prima riassunte. 3. – La decisione della questione di competenza è stata attribuita alle sezioni unite in considerazione del fatto che sul primo dei due punti affrontati dal tribunale le sezioni semplici della Corte si sono espresse in modo difforme. Avanti di iniziarne l’esame appaiono, tuttavia, necessarie due premesse. 4.1. – Prima e dopo che la domanda fosse proposta, nel campo dei contratti del consumatore, sono entrate in vigore discipline di settore che presentano norme volte in modo espresso a regolare la competenza per le controversie inerenti alla applicazione delle medesime discipline. Ci si intende riferire al D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 ed al D. Lgs. 9 novembre 1998, n. 427. Se la domanda, per le sue ragioni ed il suo oggetto, potesse rientrare nella materia disciplinata da parte di tali normative e se alla loro applicazione non si frapponesse un diverso tipo di ostacolo, la questione di competenza andrebbe risolta in base alle pertinenti disposizioni. In riferimento al D. Lgs. 427 del 1998 si deve, infatti, considerare che l’art. 5 cod. proc. civ. è interpretato dalla Corte nel senso per cui anche le norme sopravvenute, che regolano diversamente la competenza, sono applicabili nei giudizi in corso, se ne deriva che la causa resta attribuita alla competenza del giudice davanti al quale la causa già pende. 4.1.1. – Il D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, che ha dato attuazione alla direttiva 577/85 in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, contiene un art. 12, a norma del quale «Per le controversie civili inerenti all’applicazione del presente decreto la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato». Tuttavia, questa norma, anteriore alla stessa conclusione del contratto, non si può applicare per la ragione assorbente, già indicata dal tribunale, che per il suo oggetto il contratto ricade in una delle ipotesi escluse dall’ambito di applicazione del decreto e della direttiva, poiché si tratta di un contratto di vendita di una quota di bene immobile (art. 3.1. lett. a, del decreto e 3.2. lett. a, della direttiva), mentre non è stato provato che avesse anche ad oggetto la fornitura di servizi di valore superiore (Corte giust. 22 aprile 1999, in causa C-423/97, Travel Vac SL). 4.1.2. – Il D. Lgs. 9 novembre 1998, n. 427 ha dato attuazione alla direttiva 94/47/CE del 26 ottobre 1994 concernente la tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili. Il suo art. 10 detta norma di contenuto analogo a quello dell’art. 12 del decreto 50 del 1992: dispone, infatti, che «Per le controversie derivanti dall’applicazione del presente decreto legislativo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio dell’acquirente, se ubicati nel territorio dello Stato». Il contratto in questione, per il suo oggetto, rientra nell’ambito di applicazione del decreto (art. 1.1. lett. a). La Corte osserva, tuttavia, che, a proposito della norma contenuta nell’art. 12 del decreto 50 del 1992, il quale, come si è già visto, presenta lo stesso tenore di quella appena riportata, nella sentenza 25 settembre 1996 n. 8465 è stato ritenuto che la norma regolatrice della competenza riguardi le sole controversie sorte da contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore e ciò per il fatto di essersi riferita alle controversie inerenti alla applicazione del decreto, ovverosia alla disciplina di natura sostanziale dettata con il medesime decreto. 4.1.3. – Sembra, allora, alla Corte più conducente affrontare il tema in discussione sulla base delle norme introdotte nel codice civile con il D. Lgs. 52 del 1996, che riguardano le modalità di contrattazione ed il contenuto del regolamento negoziale, e che, rimossa la delimitazione originariamente contenuta nel primo comma dell’art. 1469-bis e salve le particolari deroghe previste, nello stesso articolo, ai commi successivi al terzo, non riguardano particolari tipi contrattuali. 4.2. – La seconda premessa ha lo scopo di mettere in rilievo, anticipatamente, che il tema del rapporto tra contratti stipulati anteriormente e nuova disciplina delle clausole vessatorie è stato oggetto di un duplice tipo di approccio e si può prestare ad indagine da più punti di vista. 4.2.1. – Un tipo di approccio è quello che il tribunale di Bari ha dichiarato di non poter condividere. Ad esso si può ascrivere anche la sentenza 29 novembre 1999 n. 13339 di questa Corte, che il tribunale ha richiamato. E’ consistito nel ricercare se, perdurando il rapporto, dalla nuova disciplina dovesse trarsi la conseguenza di negare ulteriore efficacia alle clausole contrattuali, destinate a regolare aspetti della esecuzione del contratto, divenuti attuali dopo l’entrata in vigore della stessa disciplina, che quelle clausole qualifica come vessatorie negando che possano avere effetto. Quando si è utilizzato questo approccio non si è operata distinzione a proposito del diverso oggetto delle clausole, se relativo al contenuto del regolamento negoziale o ad aspetti del modo della sua tutela nel processo. La soluzione negativa data al problema, ha portato alla conclusione per cui, pur dopo l’entrata in vigore della legge, nelle controversie che sorgono da contratti anteriori, si deve continuare a dare applicazione alle clausole che la nuova legge consentirebbe di qualificare vessatorie. La nuova legge non potrebbe produrre l’effetto di negare ulteriore efficacia a quelle clausole, perché essa disciplina le condizioni della loro validità e questo tipo di condizioni è regolato dalla legge del tempo in cui il contratto è stato concluso. 4.2.2. – Un secondo tipo di approccio, al quale ha dato occasione in particolare il tipo di clausola definito dal n. 19 del terzo comma dell’art. 1469-bis cod. civ., è, invece, mosso dalla distinzione tra disposizioni che qualificano come vessatorie clausole attinenti al regolamento negoziale e disposizioni che qualificano come vessatorie clausole attinenti alla disciplina processuale della controversia sorta dal rapporto: ciò sul presupposto della immediata applicabilità delle seconde. Tale è il piano di indagine scelto dalle successive tre decisioni della Corte di cui si darà conto. Di queste, la sentenza 22 novembre 2000 n. 15101 è pervenuta alla conclusione che la disposizione contenuta nel n. 19 dell’art. 1469-bis, terzo comma, anch’essa, non diversamente dalle altre, ha natura di norma sostanziale. Il risultato finale è stato naturalmente il medesimo raggiunto dalla precedente sentenza della Corte, sebbene diverso sia stato l’approccio al problema. 4.2.3. – Un terzo tipo di approccio è consistito nell’indagare sulla portata della disposizione contenuta nel n. 19. Si è trattato di stabilire come resti regolata la competenza una volta che si debba negare efficacia a clausola da considerare vessatoria secondo l’art. 19. Questa indagine è stata svolta dalle altre due sentenze. Dalla sentenza 24 luglio 2001 n. 10086 lo è stata con riferimento a clausola stipulata in contratto anteriore, ma destinata ad operare in relazione a rapporto rinnovatosi tacitamente; nella sentenza 28 agosto 2001 n. 11282 in riferimento a clausola contenuta in contratto anteriore ed al rapporto da esso sorto, cui la norma è stata però considerata applicabile, perché norma processuale. Nel quadro di questo approccio, l’interrogativo è stato questo: se la disposizione dettata dall’art. 19 si sia limitata a descrivere una ipotesi di deroga alla competenza territoriale cui negare efficacia, senza però modificare la disciplina della competenza per territorio quale stabilita nel codice di procedura, che tornerebbe, quindi, a dover essere applicata quando è negata efficacia alla clausola perché vessatoria. O se, invece, la disposizione dettata dall’art. 19 non abbia prima di tutto configurato un criterio di competenza territoriale diverso da quelli previsti dal codice di procedura e che ad essi è stato sostituito, in particolare il criterio per cui sede del foro competente è quello del luogo di residenza o domicilio elettivo del consumatore: se ciò fosse, negata efficacia, perché vessatoria, alla clausola che regoli il foro in modo diverso, resterebbe come foro competente quello stabilito dal n. 19. La prima delle due sentenze ha scelto la prima soluzione, la più recente l’altra. 4.3. – Emerge, dunque, che due sono i punti di contrasto. Il primo attiene ad un problema di diritto intertemporale: si discute sul se la norma abbia natura sostanziale o processuale. Il secondo riguarda la portata della disposizione: se abbia introdotto, in luogo dei criteri di competenza territoriale previsti dal codice di procedura, un foro del consumatore, sebbene passibile di deroga, tuttavia esclusivo, o si sia limitata a dire vessatoria e così a negare applicazione alla clausola che fissi un foro territoriale diverso, lasciando operare quelli anteriori. Nel caso si discute appunto di una clausola che rientra nel tipo considerato dal n. 19 del terzo comma dell’art. 1469-bis cod. civ. e dunque si tratta di risolvere i due punti su cui la Corte si è espressa in modo difforme. 5. – Dopo queste premesse, conviene riferire più distesamente sui casi, gli argomenti e le soluzioni delle precedenti sentenze. 5.1. – Una prima volta la questione è venuta in considerazione nella sentenza 29 novembre 1999 n. 13339. Un contratto di assicurazione contro gli infortuni, stipulato in data anteriore alla entrata in vigore della legge 52 del 1996, conteneva una clausola di devoluzione delle controversie in arbitrato. Sopravvenuta nel corso del giudizio, in appello, dopo la precisazione delle conclusioni, la legge 52, l’infortunato aveva proposto ricorso incidentale allo scopo che, sulla base della legge, la cassazione dichiarasse vessatoria la clausola col risultato di pervenire a confermare per una diversa ragione la sentenza di secondo grado, che aveva ritenuto per altro verso non operante la clausola. Se l’approccio fosse stato quello di distinguere nell’ambito delle disposizioni dettate al terzo comma dell’art. 1469-bis tra disposizioni relative a clausole di rilievo sostanziale e clausole di rilievo processuale, si sarebbe, in primo luogo, dovuto ricondurre la clausola tra quelle contemplate al n. 18, di deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria e, quindi, interrogarsi sulla natura di tale clausola e sulla possibilità di dare immediata applicazione alla relativa norma, se qualificata come processuale. Nell’occasione, invece, la Corte, sulla premessa che la disciplina dettata dalla legge 52 del 1996, nel suo complesso, disciplini la validità del contratto, si è limitata a riaffermare il principio che la validità del contratto è regolata dalle norme vigenti al momento in cui è concluso, sicché giudicarne in base a norme sopravvenute significherebbe fare di queste una applicazione retroattiva, che l’art. 11, primo comma, delle preleggi non consente. 5.2. – La sentenza 22 novembre 2000 n. 15101 è stata resa in un caso in cui il consumatore aveva proposto la domanda al giudice da lui individuato come competente per essere quello del foro della sua residenza, perciò sulla base dell’art. 1469-bis, terzo comma, n. 19, considerato come norma che avrebbe essa configurato tale criterio di competenza territoriale. I giudici di merito hanno accolto l’eccezione di incompetenza, e la Corte in sede di regolamento di competenza è pervenuta alla stessa decisione del tribunale. La Corte, però, in questa occasione, si è interrogata sulla natura processuale della disposizione dettata al n. 19, ma l’ha negata. Ha considerato rilevante, in primo luogo, la ratio degli artt. 1469-bis e ss.: questi articoli, ha detto, si propongono di tutelare, nell’ambito dei contratti conclusi tra il consumatore ed il professionista, il contraente consumatore che non abbia avuto adeguata informazione su pattuizioni accessorie al contratto, per non aver partecipato attivamente o comunque sufficientemente alla formazione del regolamento negoziale. Ha aggiunto che è in questo contesto che si iscrive anche la clausola, da presumere vessatoria fino a prova contraria, contemplata dal n. 19 dell’art. 1469-bis. La disposizione – ha osservato la Corte – è compresa nell’ambito di una normativa ispirata a salvaguardare per le ragioni indicate i diritti del consumatore nei contratti conclusi con il professionista, e istituisce un criterio legale in ordine alla determinazione della competenza territoriale finalizzato a riverberare i suoi effetti sul piano della tutela sostanziale, avendo il legislatore ritenuto che il foro di residenza o di domicilio elettivo del consumatore si configuri come un garanzia di riequilibrio delle rispettive posizioni delle parti contraenti. 5.3. – La successiva sentenza 24 luglio 2001 n. 10086 perviene allo stesso risultato, ma dopo aver esteso l’indagine ad altre norme contenute negli artt. 1469-bis a 1469-sexies cod. civ.. La Corte, in primo luogo, rileva una contraddizione nella motivazione della precedente decisione, notando che, se il legislatore, con la norma dettata al n. 19 dell’art. 1469-bis, avesse istituito per il consumatore un foro esclusivo, ci si troverebbe di fronte ad una norma processuale e non ad una norma sostanziale. Si nota, invece, che quando il legislatore ha inteso istituire fori esclusivi per le cause del consumatore lo ha fatto in modo espresso: una prima volta, in epoca anteriore, con l’art. 12 del D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 – di attuazione della direttiva (CEE) n. 577/85 in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; una seconda volta, in epoca successiva, con l’art. 10 del D. Lgs. 9 novembre 1998, n. 427 – di attuazione della direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 1994. La norma di cui si discute, invece, ha solo configurato una ipotesi di vessatorietà presunta di una clausola contrattuale. Il primo argomento svolto nella motivazione della sentenza è, dunque, desunto dal modo in cui la norma è stata redatta, dalla sua costruzione sintattica. Un secondo argomento è tratto, invece, da quanto è stato disposto con il terzo comma dell’art. 1469-ter cod. civ., il quale recita che «Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge…». Orbene, l’art. 20 del codice, per le cause relative a rapporti di obbligazione, dispone che è anche competente il giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è sorta o deve eseguirsi e, si è osservato, indipendentemente dalla circostanza che essa sia stata oggetto di trattativa individuale: non potrebbe essere, perciò, considerata vessatoria una clausola che, derogando al foro della residenza o del domicilio elettivo del consumatore, indicato nel n. 19 dell’art. 1469-bis, riproducesse il contenuto dell’art. 20 cod. proc. civ.. Avrebbe potuto esserlo se il legislatore, ritenendo la disposizione dell’art. 20 in ogni caso gravosa per il consumatore, avesse dettato un diverso criterio di competenza territoriale. A questa conclusione – terzo argomento – non si può pervenire in base ad una interpretazione condotta sulla ragione della norma e la intenzione del legislatore. La presenza delle due disposizioni mostra che il legislatore ha considerato che la disciplina della competenza territoriale posta dal codice di procedura non è vessatoria ed ha inteso, invece, evitare, presumendole vessatorie, deroghe a questa disciplina imposte dal professionista al consumatore. Infine – quarto ed ultimo argomento – non è possibile ritenere la disposizione dettata dall’art. 20 del codice abrogata per implicita incompatibilità o per nuova intera regolamentazione della materia. La prima non si può configurare perché le due norme – quella del codice civile e quella del codice di procedura – hanno diverso oggetto ed operano su diverso piano. La seconda neppure si può configurare, perché tutte le norme introdotte nel codice civile mirano solo ad evitare che il contenuto del contratto tra professionista ed il consumatore presenti clausole vessatorie, ma non regolamentano in modo nuovo la tutela processuale del consumatore; anzi, l’unica norma che ha un contenuto parzialmente processuale, l’art. 1469-sexies sull’azione inibitoria, dichiara solo che essa è proponibile davanti al giudice competente e così recepisce le norme già esistenti del codice di procedura in materia di competenza. 5.4. – In contrasto con questo indirizzo si è posta la sentenza 28 agosto 2001 n. 11282. La Corte ha ritenuto che la norma dettata al n. 19 dell’art. 1469-bis cod. civ. abbia natura di norma processuale e debba essere perciò applicata, nei giudizi iniziati dopo la sua entrata in vigore, anche se la controversia è sorta da contratti stipulati prima. All’argomento che era stato svolto nella sentenza 22 novembre 2000 n. 15101, a proposito della funzione di riequilibrio delle posizioni dei contraenti, che la norma in questione condividerebbe con le altre introdotte nel codice con la medesima legge, la Corte ha contrapposto l’osservazione per cui gran parte delle norme processuali, che determinano la competenza territoriale, è ispirata all’esigenza di tutela di questa o quella posizione contrattuale meritevole di maggiori garanzie. All’argomento svolto nella sentenza 24 luglio 2001 n. 10086 sulla base della contemporanea presenza delle norme dettate al n. 19 dell’art. 1469-bis ed al terzo comma dell’art. 1469-ter e perciò del rapporto tra la prima norma e quella dettata dall’art. 20 cod. proc. civ., la Corte ha obiettato che la nuova legge ha introdotto un foro esclusivo, anche se derogabile a seguito di trattativa individuale (come consentito dal quarto comma dell’art. 1469-ter), che esclude in quanto tale, sia sotto il profilo dell’incompatibilità che per il principio della successione delle leggi nel tempo, ogni altro criterio di competenza ed in particolare quelli di cui agli artt. 18 e 20 cod. proc. civ., indipendentemente dalla posizione processuale assunta dal consumatore. Solo in questo modo verrebbe infatti rispettata la finalità della norma, che resterebbe altrimenti elusa, se, coincidendo uno dei fori alternativi di cui all’art. 20 con la sede del professionista, si ritenesse tale pattuizione legittima perché coperta dall’art. 1469-ter, cioè per il fatto di riprodurre una disposizione di legge. 6. – Le sezioni unite ritengono sia da preferire il secondo e più recente orientamento interpretativo. 7. – Conviene muovere da alcune considerazioni. La prima è questa. La norma dettata dall’art. 5 cod. proc. civ., per cui la giurisdizione e la competenza si determinano in base alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della domanda sta a significare che le relative questioni si risolvono applicando allo stato di fatto esistente al momento della domanda la legge vigente alla stessa data. Orbene, risolvere questioni di giurisdizione e di competenza in base alla legge vigente alla data della domanda non significa solo stabilire quale criterio di collegamento sia pertinente alla causa, ma anche se giurisdizione e competenza in tal modo individuate possono o no essere derogate dalle parti e quali siano le condizioni di validità ed efficacia dell’accordo di proroga. Ma se ciò è, questo significa anche che, a decidere della validità ed efficacia dell’accordo di proroga sarà non la norma che era in vigore nel momento in cui l’accordo è stato concluso ma quella in vigore nel momento in cui la domanda è proposta. E questo nel duplice senso del doversi attribuire rilevanza ad un accordo che presenti secondo la legge vigente alla data della domanda le condizioni da essa previste per essere efficace, anche se non le presentava secondo la legge in vigore nel momento in cui è stato concluso (Sez. Un. 26 novembre 1993 n. 11718); e per converso del doversi negare rilevanza ad un accordo di proroga che, valido secondo la legge dell’epoca in cui è stato concluso, non presenti le condizioni di validità ed efficacia richieste dalla legge in vigore alla data della domanda. La seconda considerazione da fare è questa. L’accordo di proroga della giurisdizione e della competenza non costituisce un aspetto del regolamento dato alle parti al rapporto sostanziale da loro disciplinato con il contratto. Le condizioni della sua validità costituiscono oggetto di norme apposite (art. 2 cod. proc. civ. 1942 e art. 4.2. della L. 31 maggio 1995, n. 218; artt. 29 cod. proc. civ. e art. 1341, secondo comma, cod. civ.; artt. 807 e 808, primo comma, cod. proc. civ.) e sono, quindi, diverse da quelle dei contratti cui accedono. L’accordo può essere valido anche se non lo è il contratto (art. 808, secondo comma, cod. proc. civ.) (Cass. 20 giugno 2000 n. 8376; 14 aprile 2000 n. 4842), la sua invalidità non richiama l’applicazione sulla nullità parziale del contratto. Terza ed ultima considerazione, quella per cui l’appena indicato rapporto tra un accordo di proroga della competenza, nullo o inefficace, ed il contratto cui accede, non trova ostacolo nella disciplina dettata dall’art. 1469-quinquies quanto al rapporto tra clausole vessatorie e contratto cui accedono, disciplina che è anzi informata allo stesso criterio (primo comma). 8. – Si tratta a questo punto di stabilire, tenendo conto delle considerazioni appena svolte, se la disposizione dettata al n. 19 dell’art. 1469-bis cod. civ., contenga o no una norma diretta a regolare la competenza. 8.1. – La formula usata dalla specifica norma che si tratta di interpretare dice che si presume vessatoria ed è inefficace la clausola che ha come oggetto o per effetto «di stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore». La disposizione descrive due aspetti: una clausola che abbia come contenuto quello di stabilire la sede del foro competente per la controversia; costituire contenuto della clausola quello per cui, come sede del foro competente, è stabilita località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore. La clausola con questo contenuto si presume vessatoria. La disposizione si presta ad essere letta nel senso che segue. Essa pone in contrapposizione tra loro due fattori: la sede del foro competente, che è individuata attraverso il riferimento alla residenza od al domicilio elettivo del consumatore, e, dall’altro lato, la deroga attuatane mediante lo spostamento della competenza ad un foro diverso, quindi ad un qualsiasi foro diverso, deroga che è bensì consentita, ma è presunta determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Dunque, la norma si presta ad essere interpretata nel senso per cui essa presenta il contenuto logico di una disposizione che, da un lato, configura il pertinente criterio di collegamento di competenza territoriale, dall’altro, ne esclude in linea di principio la deroga, ma, in quanto non la esclude in modo assoluto, indica la condizione alla quale può essere ammessa: ed a questo fine richiede al professionista di provare che, nel caso concreto, la deroga non determina squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Se alla disposizione contenuta al n. 19 dell’art. 1469-bis si presta il significato d’aver anzitutto indicato in quello della sede del consumatore il foro delle controversie che lo riguardano, la norma viene a sostituirsi, nel relativo campo di disciplina, a quelle del codice di procedura che individuano per le controversie nascenti da contratto altri criteri di collegamento. 8.2. – Questa interpretazione valorizza appieno il dato letterale, perché se, in base a questo dato, è vessatoria la clausola che stabilisce il foro competente in località diversa da quella della sede del consumatore, si deve dire che il foro competente non può essere stabilito in nessun altro luogo che sia diverso da quello in cui il consumatore ha sede. Ma questo significa che è da considerare vessatoria anche la clausola che stabilisca come foro competente, se il consumatore non vi ha sede, uno di quelli che avrebbero potuto risultare individuati in base al funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile. Appare, allora, più razionale l’interpretazione, che attribuisce alla norma il prioritario significato di fissare nella sede del consumatore un criterio di collegamento esclusivo, che si sostituisce a quelli già previsti dal codice di procedura, piuttosto che l’interpretazione che qui si rifiuta. Il risultato cui quest’ultima interpretazione perviene è quello per cui, in presenza di una disciplina della competenza per le obbligazioni da contratto, che prevedeva fori della persona del convenuto e fori collegati alla obbligazione dedotta in giudizio, il legislatore avrebbe sentito solo la necessità di sancire l’inefficacia di specifiche clausole di deroga del foro della sede del consumatore. Con questa duplice conseguenza. Di dare della norma una interpretazione restrittiva, perché conduce a dire vessatoria la clausola non già ogni volta che stabilisca il foro in luogo diverso dalla sede del consumatore, ma solo se lo stabilisca in luogo diverso anche dagli altri previsti dal codice. Di lasciare operare la disciplina del codice in assenza di una clausola di deroga: sì che il giudizio sulle controversie tra consumatore e professionista si possa svolgere presso ognuno degli altri fori individuabili sulla base dei preesistenti criteri di collegamento. In questo modo, in presenza di una norma, che il legislatore ha introdotto nell’ordinamento, senza esservi tenuto ed a maggior protezione del consumatore, nel procedimento di interpretazione assume valore predominante non questa norma speciale, ma quella di generica salvezza delle clausole che riproducono norme di legge, dettata nel terzo comma dell’art. 1469-ter, che però in tanto può assumere rilevanza, in quanto si neghi che le norme del codice di procedura civile siano state derogate dalla disposizione dettata col n. 19 dell’art. 1469-bis. 8.3. – Contro questa interpretazione non può poi essere tratto argomento dal diverso modo in cui, prima e dopo della legge 52 del 1996, sono state formulate le disposizioni dagli artt. 12 del D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 e 10 del D. Lgs. 9 novembre 1998, n. 427. La diversa formulazione si presta ad essere spiegata. Le disposizioni appena richiamate sono state inserite nel corpo di normative di settore ordinate alla tutela del consumatore in rapporto a specifiche modalità di conclusione del contratto o del suo oggetto. Ciascuna di queste normative di settore è venuta a costituire il contenuto di un apposito decreto legislativo volto ad adeguare l’ordinamento nazionale alla corrispondente direttiva ed in ognuna delle due leggi hanno trovato collocazione norme di diritto sostanziale e processuale, ciascuna delle quali formulata secondo la pertinente tecnica. L’intento del legislatore di estendere la protezione del consumatore al piano processuale ha potuto essere realizzato mediante formule con cui si è detto che le relative controversie venivano attribuite alla competenza territoriale della sede del consumatore. La direttiva 93/13 presentava l’ampio oggetto di disciplina costituito dalle clausole inserite nei contratti intercorsi tra professionisti e consumatori, considerate capaci di determinare un significativo squilibrio degli obblighi e diritti delle parti: ne conteneva anche un elenco indicativo. La tecnica utilizzata per l’adeguamento alla direttiva ha riprodotto lo schema già impiegato dal codice civile, quello della disciplina delle condizioni generali di contratto e nell’ambito di queste delle clausole vessatorie; le relative norme sono state inserite nel codice civile. Questo spiega agevolmente la diversa formulazione della norma, nel caso della disposizione dettata al n. 19 dell’art. 1469-bis. Come quelle che la precedono nell’elenco contenuto nell’art. 1469-bis, essa è centrata sul qualificare vessatoria la clausola che presenti un certo contenuto contrario ad un altro. Ma, il legislatore, qualificando come vessatoria la clausola che assuma un certo contenuto contrario ad un altro, rivolge il suo intento di fondo a far sì che il rapporto presenti in linea di principio questo secondo contenuto. Si può dunque dire che, attraverso la disposizione dettata al n. 19, è appunto a fissare come competente il foro della sede del consumatore che si indirizza l’intento del legislatore. 8.4. – Un’ultima considerazione. L’interpretazione accolta si inserisce armonicamente in un indirizzo legislativo che, in modo costante, viene individuando quello della residenza o del domicilio del consumatore come il foro delle controversie che lo riguardano. D’altra parte che, nel caso, tale foro, bensì esclusivo, si presti a deroga, al contrario di quanto è stato stabilito nelle altre disposizioni richiamate, è circostanza che si spiega con l’ampio spettro della disciplina in cui questa disposizione è venuta ad inserirsi. A favore della interpretazione accolta sta, dunque, anche un argomento di ordine sistematico. 9. – Il contrasto può dunque essere composto enunciando i seguenti principi di diritto: – «La disposizione dettata dall’art. 1469-bis, terzo comma, n. 19 cod. civ. si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, abbia stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo della sede o del domicilio elettivo del consumatore, presumendo vessatoria la clausola che individui come sede del foro competente una diversa località»; – «La disposizione dettata dall’art. 1469-bis, terzo comma, n. 19 cod. civ. ha natura di norma processuale e si applica nelle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima». 10. – I principi di diritto prima enunciati, applicati nel caso in discussione, conducono a statuire sulla competenza nel senso che spetti al tribunale di Bari. La presunzione di vessatorietà non è stata, infatti, superata. Il ricorso per regolamento di competenza è di conseguenza accolto. Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate. P. Q. M. La Corte accoglie il ricorso, dichiara la competenza del tribunale di Bari, compensa le spese del giudizio di cassazione. Così deciso il giorno 5 giugno 2003, in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili della Corte suprema di cassazione. |