Cassazione, diffamazione sul web tramite forum
Cassazione Penale – Sentenza n. 8824 del 07/03/2011
Tra le varie argomentazioni la difesa sosteneva una possibile manomissione dei messaggi da parte di un altro utente della rete ma la corte ha ribadito che “il numero identificativo sulla rete internet mondiale (indirizzo IP n.d.r.) è assegnato in via esclusiva ad un determinato computer connesso”, che “un altro utente delle rete, per realizzare l’intromissione modificativa, avrebbe dovuto conoscere dettagliati particolari di tempi e modalità della connessione in cui intromettersi” ed inoltre che il nickname utilizzato nel forum era intestato all’imputato.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con sentenza del 13/10/09, la corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza 28/3/08 del tribunale di Benevento, ha condannato M.G. alla pena di Euro 600 di multa e M. G. alla pena di Euro 800 di multa, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili.
Il M. è stato ritenuto colpevole del reato di diffamazione, in quanto il 17 giugno 2003, attraverso l’utenza telefonica n. (…omissis…), installata presso la propria abitazione e utilizzando la username (…omissis…) (a lui intestata) si collegava con il sito SNAP WEB, inserendo stabilmente, nel forum intitolato ” (…omissis…)” frasi offensive dell’onore e del decoro di B. V. e della sua famiglia.
Il Ma. è stato ritenuto colpevole del reato di diffamazione, perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, attraverso i numeri permanentemente assegnati alla rete informatica della società C.S.C. Italia, nella quale era l’unico dipendente nato e residente a (…omissis…), si collegava al sito SNAP WEB, inserendo stabilmente nel forum intitolato “che si dice e (…omissis…)” frasi offensive dell’onore e del decoro di B. V. e di sua moglie D.B.M.T..
Il difensore di M. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:
1. vizio di motivazione e travisamento della prova: vi è una palese difformità tra i risultati della prova testimoniale di un agente di polizia postale (sulla riconducibilità del messaggio all’imputato) e della relazione del consulente della parte civile (sulla modificabilità del messaggio), e i risultati che ne ha tratto la corte di appello. La corte non ha tenuto conto degli accertamenti effettuati dal consulente dell’imputato, secondo cui era possibile modificare i messaggi già postati e soprattutto era impossibile attribuire con certezza un determinato messaggio a un certo utente.
2. violazione di legge in riferimento all’art. 82, comma 2 e all’art. 74 c.p.p.: i signori B. e D.B. successivamente alla costituzione di parte civile hanno instaurato processo in sede civile contro la SNAPWEB, che a sua volta ha chiamato in causa gli imputati.
Si è così costituita una duplicazione della pretesa risarcitoria davanti a due giudici e, in applicazione dell’art. 82 c.p.p., comma 2, deve considerarsi avvenuta la revoca della costituzione dinanzi al giudice penale.
La parte civile D.B. non ha inoltre alcun interesse concreto ed attuale al risarcimento dei danni, in quanto il messaggio erroneamente attribuito al M. non si riferisce a lei, neanche indirettamente. Manca quindi la legittimatio ad causam.
A dimostrazione dell’assunto, il ricorrente ha allegato l’atto di costituzione di parte civile.
3. violazione dell’art. 595 c.p., comma 3: la corte non ha esaminato se ricorra l’ipotesi dell’esimente del diritto di critica. Nel caso in esame, le parole usate dal M. vanno ricondotte a una discussione accesa, su argomenti di carattere politico, a cui partecipavano vari soggetti identificati solo dai nickname. Secondo una consolidata giurisprudenza, il linguaggio della polemica politica può assumere toni più pungenti ed incisivi rispetto a quelli adoperati nei rapporti interpersonali tra privati. Andava quindi riconosciuta l’esimente, in quanto il M. ha espresso una propria opinione su un Forum, rispondendo ad un argomento postato da altri, per confrontarsi su un avvenimento politico che lo coinvolgeva, quale membro della comunità, nonchè protagonista della vita politica del paese.
Quanto all’elemento soggettivo, la corte ha omesso l’analisi sull’animus diffamandi: in assenza della dimostrazione della volontà del M. di usare espressioni offensive e con la consapevolezza di offendere l’altrui reputazione, deve ritenersi che queste espressioni erano finalizzate solo a dare forza al suo dictum.
Il difensore di Ma. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:
1. violazione di legge in riferimento agli artt. 178 e 179 c.p.p.: il decreto di citazione a giudizio è stato, senza alcuna giustificazione, notificato direttamente al difensore e non al domicilio dell’imputato. Trattasi di nullità a regime intermedio, in quanto la notifica al difensore è idonea a determinare la conoscenza dell’atto, in ragione del rapporto fiduciario, sempre che non risultino elementi di fatto contrari. Tale elementi sussistono, in quanto il difensore ha inviato all’indirizzo di via (…omissis…), comunicazione della data dell’udienza, ma la raccomandata non è pervenuta al Ma. ed è stata restituita al mittente;
2. violazione di legge in riferimento all’art. 192 c.p.p., illogicità della motivazione: i messaggi di cui al capo di imputazione sono stati attribuiti al Ma., in base agli accertamenti svolti dalla polizia postale, secondo i quali questi messaggi erano stati inoltrati attraverso numeri I.P. permanentemente assegnati alla rete informatica della società C.S.C., presso cui lavorava il ricorrente. La corte di appello non ha tenuto conto che la consulenza prodotta dall’imputato ha dimostrato che il messaggio proveniente dalla sede di Padova, risulta inviato in una data (9.5.03) in cui il Ma. era impegnato a lavorare nella sede di (…omissis…). Inoltre risulta che in detta società lavoravano altre persone provenienti dalla provincia di Benevento, su cui non sono state svolte indagini. La corte ha ritenuto questa omissione ininfluente senza alcuna giustificazione, sebbene risulti che tutti i dipendenti avessero in uso le postazioni dalle quali sono partiti i messaggi incriminati.
Quanto alla telefonata tra il Ma. e la persona offesa essa non può essere interpretata come una ammissione di responsabilità, in quanto non vi è ragione di confessare un fatto non commesso. E’ poi da escludere un movente del comportamento diffamatorio, in quanto i rapporti tra le parti sono sempre stati buoni e il Ma. non si è mai interessato alla politica.
Il difensore delle parti civili ha depositato memoria, nella quale è prospettata l’infondatezza delle argomentazioni contenute negli atti di impugnazione.
I ricorsi non meritano accoglimento.
Il M. propone critiche alle valutazioni della sentenza della corte, le cui argomentazioni sono esenti da censure.
Infatti i giudici di merito, con valutazioni pienamente fedeli alle risultanze processuali e improntate a evidente razionalità, sono giunti all’incontestabile dimostrazione che per l’invio del messaggio attribuito al M. è stato utilizzato il codice numerico IP (…omissis…), – fornito di Snap Web – gestore del Forum, accessibile in internet, intitolato “(…omissis…)”
Questo indirizzo IP è stato associato, attraverso il gestore del servizio telefonico, Wind Autostrada, alla linea telefonica (…omissis…), che è quella di casa M.; il nick name utilizzato (..omissis..) è intestato all’imputato.
Lo stesso M. ha poi riconosciuto di utilizzare il sito Snapweb, con uno specifico username, ottenuto in abbonamento, servendosi di uno pseudonimo.
La corte, con adeguata e articolata argomentazione tecnica ha dimostrato il carattere irreale e irrazionale dell’assunto difensivo secondo cui un inverosimile personaggio si sia impegnato a trasformare un lecito messaggio del M. in uno strumento aggressivo e lesivo della reputazione delle parti civili.
L’accertamento tecnico – a cui la corte ha attribuito forza persuasiva con una articolata valutazione assolutamente incensurabile in questa sede – ha posto in luce che:
a) il numero identificativo sulla rete internet mondiale è assegnato in via esclusiva ad un determinato computer connesso;
b) un altro utente delle rete, per realizzare l’intromissione modificativa, dovrebbe esattamente conoscere dettagliati particolari di tempi e modalità della connessione in cui intromettersi;
c) questo scorretto utente avrebbe dovuto compiere una complessa e difficile serie di interventi finalizzati all’eliminazione di tracce dell’irregolare intervento invasivo. La corte ha ritenuto contrario al senso comune che tanto impiego di tempo e tanto impegno tecnico siano stati profusi da questo sconosciuto per offendere i B..
La corte ha poi messo in luce – ai fini dell’identificazione del responsabile – che nella famiglia dell’imputato, il solo figlio era capace di utilizzare internet, ma non conosceva l’esistenza del “Forum”, nè l’username per accedervi.
L’identificazione nel M. dell’autore del messaggio offensivo è stata confermata dall’accertato movente costituito dal dissidio esistente tra questi e la famiglia B. – D.B. oltre che con lo stesso B.V..
Con adeguata e razionale valutazione, la corte ha poi disconosciuto credibilità ai testi della difesa del M., sull’alibi costituito da una cena avvenuta proprio nel giorno e nell’ora in cui è stato postato il messaggio in questione. I giudici cioè hanno posto in evidenza la logica incompatibilità tra la trascurabile rilevanza del fatto rievocato (una cena tra amici) e la minuziosa scansione dei particolari di tempo e di cibarie memorizzate e narrate dai testi. Quanto alla censura relativa alla posizione delle parti civili, si rileva innanzitutto la non configurabilità di una duplicazione dell’azione civile nei confronti degli imputati, esercitata mediante l’instaurazione di un’altra azione nei confronti della SNAP WEB. Inoltre, va rilevato che l’art. 75 c.p.p. non prevede nell’ipotesi di tale pluralità di azione civile una preclusione alla prosecuzione di quella instaurata in sede penale, ma dispone solo la sospensione della successiva azione proposta dinanzi al giudice civile (sull’autonomia delle due azioni, sez. 5° n. 28753 dell’8/6/05, rv 232298).
Quanto all’asserita assenza di legittimazione della D.B. all’esercizio del diritto al risarcimento dei danni, tale tesi è nettamente smentita dal contenuto del messaggio offensivo riportato nel capo di imputazione, che è inequivocabilmente indirizzato contro i componenti della famiglia B. (“i grandi c..oni dei B. che fanno sempre più schifo”), tra cui è naturalmente compresa la moglie di B.V..
La pretesa, infine, di ottenere il riconoscimento dell’esimente del diritto di critica, in nome di una desensibilizzazione alle offese, da parte dei protagonisti e dei participi nella vita politica di questo paese, è del tutto infondata, in quanto non è invocabile, in base al senso comune e alla generale condizione di uguaglianza tra i consociati, una sorta di desensibilizzazione ai termini offensivi, sedimentatasi nel mondo politico: è da escludere che in una società di matura cultura democratica il confronto politico possa avvenire – nelle istituzioni e tra i consociati – impunemente al di fuori dei limiti di legalità che si devono rispettare in tutte le situazioni della vita sociale (sul rifiuto della desensibilizzazione alla violazione dei diritti della persona, v. sez. 5^ n. 31096 del 4.3.09 rv 244811).
Non sussiste quindi l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica qualora l’espressione consista non già in un dissenso motivato, espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale, lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario e del contraddittore. Quanto all’elemento psicologico del reato di diffamazione, secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, non è necessaria l’intenzione di offendere l’altrui reputazione (animus diffamandi), essendo sufficiente la volontà dell’agente di usare parole lesive del bene giuridico, con la consapevolezza di offendere la dignità personale del destinatario delle espressioni. Nel caso in esame è del tutto evidente l’immediata e inequivoca consapevolezza, da parte del M., di ferire profondamente il credito sociale dei due cittadini contro i quali ha lanciato le dure e smodate invettive riportate nel capo di imputazione.
Le doglianze del Ma. sono ugualmente articolate in motivi infondati.
L’asserita nullità della sentenza susseguente all’omessa notifica del decreto di citazione a giudizio in grado di appello, è del tutto inesistente, in quanto emerge dagli atti che il Ma. ha ritirato il plico raccomandato, contenente tale atto, il 30.5.09, presso l’ufficio postale.
Per il resto, il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova, ex art. 192 c.p.p., non critica in realtà la violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì pretende la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione. Tale riesame non è compatibile con la struttura razionale della motivazione della sentenza, che ha una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa ed è saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio.
Gli accertamenti della polizia giudiziaria, confermati dalle deposizioni testimoniali, sono stati correttamente ritenuti dimostrativi dell’identificazione dell’imputato con l’autore dei messaggi diffamatori, partiti dalla rete informatica CSC Italia, presso cui lavorava l’imputato, quale unico dipendente residente a (…omissis…), per di più impegnato nel posto di lavoro nel giorno e nell’ora in cui erano partiti i messaggi (per gli altri due dipendenti provenienti dalla provincia di Benevento, non è stato rinvenuto alcun collegamento con quel comune) La corte di merito inoltre ha, da un lato, rilevato l’assenza di dimostrazione documentale e comunque l’irrilevanza dell’asserita presenza, il 9.5.03, del Ma. in altro ufficio di Padova (in quanto risulta accertato che da qualsiasi sede poteva essere inviato il messaggio);
dall’altro ha dato razionale rilievo a un dato storico assolutamente incontestabile e univocamente interpretabile: il rincrescimento per l’illecita condotta e la disponibilità per il risarcimento dei danni manifestati dal Ma. (risultato, tra l’altro, in stretto collegamento con il M., avversario politico dei B.).
La sentenza quindi è del tutto esente da censure e conseguentemente i ricorsi vanno rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate in complessivi Euro 1.600 per onorari, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate in complessivi Euro 1.600 per onorari, oltre accessori come per legge.