Cassazione: dipendente pubblico, le mansioni svolte non contano ai fini retributivi
I dipendenti pubblici devono ricevere lo stipendio in base alla loro qualifica e non in base al lavoro effettivamente svolto. Il fatto che un dipendente svolga mansioni impegnative e superiori a ciò che permette la sua qualifica per esigenze di servizio, non giustifica una retribuzione maggiore, nè sono da retribuire eventuali straordinari non autorizzati. A questa conclusione – che desterà sicuramente polemiche – è giunto il Tar Sicilia con la sentenza n. 1821 del 20 novembre 2009, respingendo il ricorso di un dipendente di una Asl che chiedeva una
retribuzione parametrata agli incarichi effettivamente svolti. In particolare, leggiamo in sentenza: “Nel pubblico impiego in caso
di lavoro di fatto, non è invocabile l’art. 36 Cost., in base al quale
l’ente pubblico avrebbe l’obbligo d’integrare il trattamento economico
del dipendente nella misura corrispondente alla qualità – quantità del
lavoro effettivamente prestato. Infatti, tale norma, non può trovare
incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego
concorrendo, in detto ambito, altri principi di pari rilevanza
costituzionale (artt. 97 e 98 Cost. ), in forza dei quali la
valutazione del rapporto d’impiego pubblico non può essere ridotta alla
pura logica del rapporto di scambio e comunque nell’esercizio dei
propri poteri d’organizzazione (art. 97, comma 1 Cost. )
l’amministrazione potrebbe, per esigenze particolari di buon andamento
dei servizi, prevedere anche la possibilità d’assegnazione temporanea
di dipendenti a mansioni diverse, finanche superiori, rispetto alla
qualifica originariamente rivestita, senza però diritto a variazioni
del trattamento economico”.