Cassazione: il giornalista è libero nell’interpretazione dei fatti, salvo non cada negli insulti
Il giornalista è libero di interpretare i fatti della realtà. Egli nel suo ruolo di controllo nella società democratica “anche nell’informare il pubblico del funzionamento del sistema pubblico” può varcare la soglia della provocazione – qualora sia limitata -. L’unico limite resta la sua abilità nel far sì che il suo lavoro non scivoli nell’insulto. A questa conclusione è giunta la V Sezione penale con la sentenza n. 40408/2009 che ha sancito, richiamando quanto affermato dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo, come “la stampa è uno dei mezzi attraverso i quali la politica e la pubblica opinione possono verificare se i giudici assolvono le loro alte responsabilità in modo conforme alle finalità
per le quali sono stati investiti”. Questo tipo di ragionamento deve essere esteso “all’ attività giornalistica riguardante ogni apparato del potere
pubblico, compreso quello amministrativo in generale per la sua
rilevanza e capacità di coinvolgimento degli interessi dei privati”. Sulla base di questa interprestazione la Cassazione ha prosciolto un giornalista
accusato di diffamazione per aver scritto in occasione di
una ispezione subita da un Istituto autonomo delle case popolari da parte di incaricati del ministero del Tesoro che “il presidente
dell’Ente avrebbe invitato i dipendenti a tenere un atteggiamento di ostracismo nei riguardi degli ispettori”.
La procura di Palermo aveva giudicato l’interpretazione del giornalista offensiva e meritevole di condanna. Gli Ermellini non sono stati dello stesso parere, motivando così la loro conclusione: “la critica che si
manifesti attraverso l’esposizione di una personale interpretazione ha
valore di esimente” e questo perchè “la
critica costituisce attività speculativa che non può pretendersi
asettica e fedele riproposizione degli accadimenti reali ma, per sua
stessa natura consiste nella rappresentazione critica di questi ultimi
e, dunque, in una elaborazione che conduce ad un giudizio che, in
quanto tale, non può essere rigorosamente obiettivo e imparziale,
siccome espressione del retroterra culturale e politico di chi lo
formula”.