Cassazione: il legale iscritto all’estero non deve dare alcuna comunicazione del reddito professionale alla Cassa
Il legale di uno Stato dell’Unione Europea iscritto all’albo del paese
di provenienza e alla relativa cassa previdenziale estera, non è tenuto a comunicare alla cassa italiana il reddito professionale
percepito nel nostro Paese. Lo ha stabilito la Corte
di Cassazione con la sentenza n. 24784 del 25 novembre 2009, con la quale ha
accolto il ricorso di un avvocato tedesco, iscritto
all’ordine e alla Cassa in Germania, che si era rifiutato di comunicare alla C.N.P.A.F. il reddito che percepito in Italia. La Corte, a tal proposito, ha spiegato che “l’art. 17 della legge n. 576 del 1980 (che prevede che “tutti
gli iscritti agli albi degli avvocati e dei procuratori, nonché i
praticanti procuratori iscritti alla Cassa devono comunicare alla Cassa
con lettera raccomandata, da inviare entro trenta giorni dalla data
prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei
redditi, l’ammontare del reddito professionale di cui all’art. 10
dichiarato ai fini dell’IRPEF per l’anno precedente nonché il volume
complessivo d’affari di cui all’art. 11 dichiarato ai fini dell’IVA per
il medesimo anno… Chi non ottempera all’obbligo di comunicazione di
cui ai precedenti commi o effettua una comunicazione non conforme al
vero, è tenuto a versare alla Cassa, per questo sol fatto, una penalità
pari a metà del contributo soggettivo minimo previsto per l’anno solare
in cui la comunicazione deve essere inviata…”) deve essere
interpretato nel senso che il presupposto dell’obbligo di comunicazione
sia costituito non solo dalla iscrizione all’albo degli avvocati, ma
anche dal concorrente requisito dell’iscrizione alla Cassa di
previdenza, per essere tale requisito riferibile non solo ai praticanti
procuratori, ma anche agli iscritti all’albo degli avvocati”. E ancora. La “ratio dell’obbligo in
questione, connesso all’iscrizione alla Cassa, può ravvisarsi
nell’utilità per quest’ultima di conoscere i flussi di reddito
professionale degli iscritti all’albo degli avvocati, destinatari o
potenziali destinatari delle prestazioni previdenziali erogate dalla
Cassa stessa ed, in ogni caso, soggetti all’obbligo del contributo
soggettivo, la previsione di analogo obbligo risulterebbe
irragionevole, e tale da ingenerare dubbi di costituzionalità, ove
riferibile (come nel caso) a soggetti che, in quanto non iscritti alla
Cassa, perché esonerati dal relativo obbligo, non potrebbero essere
destinatari delle relative prestazioni, né soggetti ai previsti
obblighi contributivi”. Gli Ermellini hanno concluso che “l’avvocato di un paese dell’Unione europea iscritto all’albo del paese
di provenienza, nonché alla relativa cassa previdenziale estera deve
ritenersi destinatario della situazione di esonero dall’obbligo
dichiarativo, voluta dalla stessa Cassa, ed, al tempo stesso, che
l’opposta interpretazione, in quanto ritroverebbe la sua esclusiva
giustificazione nella nazionalità estera del professionista, ancorchè
cittadino europeo, o, in altri termini, nel rilievo che verrebbe ad
assumere solo l’iscrizione in albi nazionali, sarebbe idonea a
determinare una discriminazione sulla base della nazionalità, ed un
pregiudizio per la libertà di stabilimento, in violazione dei principi
del Trattato”.