Cassazione: imperizia del medico? La responsabilità è dell’ospedale
“Ove un istituto
ospedaliero autorizzi un chirurgo od un medico ad operare al suo
interno, mettendogli a disposizione le sue attrezzature e la sua
organizzazione, e con esso cooperi, concludendo con il paziente il
contratto per la degenza e le prestazioni accessorie, esso viene ad
assumere contrattualmente, rispetto al paziente, la posizione e le
responsabilità tipiche dell’impresa erogatrice del complesso delle
prestazioni sanitarie, ivi inclusa l’attività del chirurgo.”.
Con questo motivo la Corte di Cassazione respinge il ricorso,
presentato da una clinica, avverso la sentenza della Corte di appello
che aveva confermato la responsabilità ascrittagli, in primo grado, in
merito all’esito infausto di un intervento chirurgico, effettuato da un
chirurgo con la quale l’ente aveva delle collaborazioni saltuarie.
In
particolare, la clinica assumeva di non dover rispondere personalmente
e solidamente dell’operato del chirurgo in quanto la paziente prese
accordi direttamente ed esclusivamente con il chirurgo per l’intervento
e fu quest’ultimo, e non la paziente a scegliere la clinica nella quale
eseguire l’intervento, oltre a disbrigare tutte le pratiche inerenti il
ricovero e riscuotere direttamente dalla cliente il proprio onorario.
Rileva la ricorrente che il chirurgo non era legato da alcun rapporto
di lavoro dipendente o di collaborazione stabile con la clinica, presso
la quale solo sporadicamente eseguiva interventi per la sua personale
clientela.
Su questo punto la Cassazione ribadisce che: “Premesso
che non si può escludere, in linea di principio e in astratto, che le
parti liberamente assumano accordi di tal genere, è indubbio che una
tale, inconsueta regolamentazione richiederebbe quanto meno la prova
certa e rigorosa dell’esistenza dei due separati contratti, con
espressa specificazione nelle relative clausole – approvate dal
paziente in piena libertà e consapevolezza – delle prestazioni incluse
nell’uno e nell’altro e dei soggetti su cui gravano le conseguenti
responsabilità (nei limiti in cui la legge permette l’esplicarsi
dell’autonomia privata in materia), considerato che non è sempre
agevole parcellizzare e separare fra loro i diversi contributi inerenti
una prestazione sanitaria quale un intervento chirurgico (…). Nella
specie nulla di tutto ciò risulta dimostrato ed è chiaro che si tratta
di un modello a dir poco inconsueto e difficilmente praticabile. “.