Cassazione: impiegata che emette fatture false e pagamenti in nero va condannata insieme al capo anche se ha solo seguito indicazioni del datore di lavoro
La Corte di Cassazione, con sentenza 4638/2011, ha ritenuto infondati i motivi di ricorso avanzati da una dipendente condannata, nei precedenti gradi di giudizio, per aver eseguito modalità di illecita gestione del personale concretizzante gli illeciti di truffa nei confronti degli enti previdenziali, nonché l’emissione di fatture irregolari. La Suprema Corte non accoglie le difese delle lavoratrice basate sull’affermazione che i comportamenti penalmente rilevanti dovevano essere attribuiti esclusivamente alla responsabilità del datore di lavoro, di cui la stessa si era limitata ad eseguire gli ordini finalizzati a coprire, tra l’altro, pagamenti in nero e una doppia contabilizzazione interna dei movimenti finanziari. Nel ricorso la dipendente sostiene la non rilevanza all’esterno della sua attività materiale di compilazione dei documenti e la mancanza di artifici e raggiri che concretizzassero il reato di truffa; precisa inoltre che non sarebbe configurabile nei suoi confronti il dolo specifico in ordine al reato di falsa fatturazione, essendosi limitata ad eseguire indicazioni del proprio datore di lavoro. Gli Ermellini, affermando che le censure mosse dalla lavoratrice si risolvono in valutazioni di fatto inammissibili in sede di legittimità poiché la valutazione operata dai giudici di merito appare esente da censure logico-giuridiche, accolgono però il motivo di ricorso relativo alla prescrizione, annullando senza rinvio la sentenza impugnata in quanto tutti i reati sono comunque prescritti.